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Tasche piene e tasche vuote

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di Giuseppe Savagnone

 

 

   Le allarmanti notizie di questi giorni relativamente al futuro delle pensioni – o, meglio, dei pensionati – nel nostro Paese ci inducono a riflettere sulla passività degli italiani di fronte a problemi che, in un regime democratico, quale il nostro pretende di essere, dovrebbero essere oggetto di una capillare informazione e coinvolgere la gran parte dei cittadini in un serio dibattito. Quello delle pensioni mi sembra sia sicuramente uno di questi e mi rattrista il pensiero che, dopo una fugace apparizione sulle prime pagine dei giornali, esso ricadrà di fatto nel dimenticatoio.

 

   Molti ignorano, per esempio, che già all’inizio dell’estate il presidente dell’INPS, l’economista Tito Boeri, aveva presentato al governo in forma riservata un piano di riforma pensionistica che poi, davanti al silenzio  dell’interlocutore istituzionale, a novembre è stato  reso pubblico dall’INPS, forse per tentare di coinvolgere l’opinione pubblica. Il piano, che si chiama ufficialmente “Non per cassa, ma per equità”, prevede tra le altre cose un reddito minimo per le persone con più di 55 anni rimaste senza impiego, un taglio per le pensioni retributive sopra i 3.500 euro e la possibilità di andare in pensione in anticipo rinunciando a una parte della propria pensione.

 

   Sia la risposta del governo che quella di molti parlamentari e dei sindacati alla “proposta Boeri” è stata (per usare un’espressione eufemistica) decisamente negativa. Magari con buone ragioni, che però forse andavano discusse più approfonditamente, cercando di spiegare meglio alla gente la posta in gioco. In questa sede vorrei solo prendere in considerazione il punto dei tagli alle pensioni più alte.

 

   Il ministero del Lavoro ha definito il documento «un contributo utile al dibattito», ma ha obiettato che le misure proposte «mettono le mani nel portafoglio a milioni di pensionati, concosti sociali non indifferenti e non equi». Espressioni che riportano alla memoria un recente passato in cui  è stata spesso sbandierata, da parte di chi governava, la scelta di «non mettere le mani nelle tasche degli italiani». Una linea a prima vista convincente, salvo che per la sua genericità. Perché i «milioni di pensionati» a cui ci si riferisce non si trovano tutti nella stessa situazione e adottare misure uguali – in questo caso l’astensione da ogni intervento statale che riduca le pensioni – per casi molto diversi, può anche rivelarsi una grave ingiustizia.

 

   Per esempio, forse può essere significativo distinguere le pensioni contributive, quelle, cioè, maturate attraverso i contributi versati negli anni dal lavoratore, e che sarebbe effettivamente iniquo diminuire, da quelle retributive, in cui il pensionato percepisce una somma che non dipende da quanto ha versato e che in molti casi è assai superiore. Ebbene, la “proposta Boeri” riguarda solo le seconde.

Così come è rilevante la distinzione tra chi percepisce una pensione di duemila, duemilacinquecento euro mensili e chi ne percepisce una molto più ricca (ce ne sono di decine di migliaia di euro al mese). La proposta in questione riguarda solo quelle (retributive) superiori ai 3.500 euro.

 

   Che queste differenze siano importanti è difficile negarlo e sembra strano che il governo – un governo di sinistra, votato, in linea di principio, al promuovere la giustizia sociale! – abbia tanto scrupolo a «mettere le mani nel portafoglio» di persone che usufruiscono di pensioni per cui non hanno pagato e di livello così elevato da meritare la definizione di “pensioni d’oro”, a fronte della necessità di darne una, peraltro minima, a chi si trova, a 55 anni, privo di reddito.

 

   E’ vero, qualcuno dovrebbe accettare una riduzione dei guadagni finora percepiti, per pagare i costi di questo riassestamento. Ma non certo “gli italiani” in generale. Anzi, molti di loro – i più poveri – ne sarebbero avvantaggiati. L’idea di Boeri è che a sostenere questi costi dovrebbero essere 230.000 famiglie ad alto reddito(appartenenti per lo più al 10% della popolazione con redditi più alti), che si vedrebbero ridurre trasferimenti assistenziali loro destinati in virtù di una cattiva selettività degli strumenti esistenti, e 250.000 percettori di pensioni elevate, nongiustificate dai contributi versati durante l’intero arco della vita lavorativa.

 

   A questi andrebbero  aggiunti i più di4.000 percettori di vitalizi per cariche elettive, i quali, spesso, cumulano i redditi percepiti grazie alla loro originaria attività e quelli che spettano loro in base alla carica cui sono stati elettiIn questa categoria rientrano  i 2.470 ex parlamentari e i 1.650  consiglieri regionali. Ma nella riforma sarebbero coinvolti anche  numerosi altri membri di quella che purtroppo è difficile non definire una “casta” di privilegiati, inclusi anche i dirigenti dei sindacati.

 

   Non sono un “tifoso” della proposta Boeri. Semplicemente che a prendere parte alla discussione su di essa non fossero solo coloro che si avvantaggiano dell’attuale sistema. In ogni caso, prendo atto che le resistenze dei politici e degli stessi sindacalisti sul punto specifico che ho preso in esame non possono essere motivate, come lo sono state finora, appellandosi al rispetto per le tasche degli italiani. Perché non distinguono tra quelle che sono piene e quelle che sono vuote.   

 

 

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