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La coscienza personale nell’Esortazione Apostolica “Amoris Laetitia”

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 di Andrea Volpe

 

 

 

   Papa Francesco percepisce la formazione delle coscienze da parte della Chiesa in un modo nuovo, nel senso che non è più intesa letteralmente nel voler “dare forma” (e contenuti) alle singole coscienze dei fedeli, ma come pedagogia, attenta e rispettosa, per promuovere al meglio la grazia in ciascuno, a partire dall’ascolto mirato ad accompagnare discernere e integrare tutti i fedeli.

 

   Questo cambio di prospettiva è mirabilmente applicato nell’Esortazione “Amoris laetitia”, con specifico riferimento all’uso della parola “coscienza”.

 

   In “Amoris Laetitia” la parola coscienza (al singolare e al plurale) compare 21 volte. Non prendendo in considerazione le sei volte che essa viene utilizzata o come “obiezione di coscienza” al n. 85 e al n. 279 o come sentimento per due volte al n. 149 o come consapevolezza al n. 188 e al n. 218, essa viene assunta come elemento primario in cui rispecchiarsi dal punto di vista etico e spirituale ben quindici volte.

 

   La coscienza è la chiave interpretativa decisiva per la corretta comprensione di tutta l’Esortazione postsinodale: solo alla luce della comprensione della prospettiva con la quale Papa Francesco entra in dialogo con i fedeli, appellandosi alla loro coscienza morale, è possibile condividere le sue posizioni, per molti aspetti rivoluzionarie, rispetto a temi come i sacramenti alle “cosiddette” coppie irregolari, ai metodi per la programmazione della maternità/paternità responsabile e all’omosessualità.

 

   La prima volta che nell’Esortazione compare la coscienza è al n. 37, dove, partendo da un’autocritica ecclesiastica sul passato, il Pontefice invita a non diffidare dell’autonomia soggettiva dei fedeli di Cristo: «Stentiamo anche a dare spazio alla coscienza dei fedeli, che tante volte rispondono quanto meglio possibile al Vangelo in mezzo ai loro limiti e possono portare avanti il loro personale discernimento davanti a situazioni in cui si rompono tutti gli schemi. Siamo chiamati a formare le coscienze, non a pretendere di sostituirle».

 

    Quindi per Francesco la formazione delle coscienze non consiste nella loro oggettivizzazione mediante contenuti esternamente elaborati ed aventi presunzione di universale validità, ma nel riconoscimento della dignità e della propositività di una soggettività credente.

 

   La seconda volta la coscienza compare al n. 42, nella accezione di coscienza degli sposi nei riguardi della maternità/paternità responsabile, la cui peculiare libertà viene elevata a sollecitudine ecclesiale contro ogni forma di prevaricazione da parte dello Stato: «E’ vero che la retta coscienza degli sposi, quando sono stati molto generosi nella trasmissione della vita, può orientarli alla decisione di limitare il numero dei figli per motivi sufficientemente seri, ma sempre “per amore di questa dignità della coscienza la Chiesa rigetta con tutte le sue forze gli interventi coercitivi dello Stato a favore di contraccezione, sterilizzazione o addirittura aborto”».

 

  La terza volta compare al n. 222 nell’ambito di una citazione della Relatio Synodi 2015 n. 63, fatta propria dal Papa, ancora in riferimento alla maternità/paternità responsabile: «La scelta responsabile della genitorialità presuppone la formazione della coscienza, che è “il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità” (GS16). Quanto più gli sposi cercano di ascoltare nella loro coscienza Dio e i suoi comandamenti (cfrRm 2,15), e si fanno accompagnare spiritualmente, tanto più la loro decisione sarà intimamente libera da un arbitrio soggettivo e dall’adeguamento ai modi di comportarsi del loro ambiente».

 

   Al n. 265 la coscienza compare come soggetto morale a cui obbedire senza interferenze esteriori: «Per quanto la coscienza ci detti un determinato giudizio morale, a volte hanno più potere altre cose che ci attraggono».

 

   Altre otto volte la coscienza è citata in riferimento al discernimento delle situazioni dette “irregolari”.

 

   Due volte al n. 298 la coscienza viene citata come tribunale ultimo delle proprie decisioni in merito a questioni spirituali e responsabilità sociali: «Una cosa è una seconda unione consolidata nel tempo, con nuovi figli, con provata fedeltà, dedizione generosa, impegno cristiano, consapevolezza dell’irregolarità della propria situazione e grande difficoltà a tornare indietro senza sentire in coscienza che si cadrebbe in nuove colpe. […] C’è anche il caso di quanti hanno fatto grandi sforzi per salvare il primo matrimonio e hanno subito un abbandono ingiusto, o quello di “coloro che hanno contratto una seconda unione in vista dell’educazione dei figli, e talvolta sono soggettivamente certi in coscienza che il precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto, non era mai stato valido”».

 

    Altre due volte la coscienza viene citata al n. 300 come atteggiamento personale rispetto ad un approccio sacramentale risolutivo: «I presbiteri hanno il compito di “accompagnare le persone interessate sulla via del discernimento secondo l’insegnamento della Chiesa e gli orientamenti del Vescovo. In questo processo sarà utile fare un esame di coscienza, tramite momenti di riflessione e di pentimento. I divorziati risposati dovrebbero chiedersi come si sono comportati verso i loro figli quando l’unione coniugale è entrata in crisi; se ci sono stati tentativi di riconciliazione; come è la situazione del partner abbandonato; quali conseguenze ha la nuova relazione sul resto della famiglia e la comunità dei fedeli; quale esempio essa offre ai giovani che si devono preparare al matrimonio. Una sincera riflessione può rafforzare la fiducia nella misericordia di Dio che non viene negata a nessuno”. Si tratta di un itinerario di accompagnamento e di discernimento che “orienta questi fedeli alla presa di coscienza della loro situazione davanti a Dio. Il colloquio col sacerdote, in foro interno, concorre alla formazione di un giudizio corretto su ciò che ostacola la possibilità di una più piena partecipazione alla vita della Chiesa e sui passi che possono favorirla e farla crescere”».

 

   Al n. 302 la coscienza del fedele viene citata come interlocutore del discernimento che i Pastori devono applicare: «Nel contesto di queste convinzioni, considero molto appropriato quello che hanno voluto sostenere molti Padri sinodali: “In determinate circostanze le persone trovano grandi difficoltà ad agire in modo diverso. […] Il discernimento pastorale, pur tenendo conto della coscienza rettamente formata delle persone, deve farsi carico di queste situazioni. Anche le conseguenze degli atti compiuti non sono necessariamente le stesse in tutti i casi”».

 

   Infine al n. 303 la coscienza viene citata per tre volte come la sede dove i discernimenti congiunti, personale del fedele ed ecclesiale del pastore, possano pervenire ad una “sicurezza morale” di quello che Dio stesso sta chiedendo in quel momento contingente, sebbene questo venga riconosciuto come ideale soggettivo e non oggettivo: «A partire dal riconoscimento del peso dei condizionamenti concreti, possiamo aggiungere che la coscienza delle persone dev’essere meglio coinvolta nella prassi della Chiesa in alcune situazioni che non realizzano oggettivamente la nostra concezione del matrimonio. Naturalmente bisogna incoraggiare la maturazione di una coscienza illuminata, formata e accompagnata dal discernimento responsabile e serio del Pastore, e proporre una sempre maggiore fiducia nella grazia. Ma questa coscienza può riconoscere non solo che una situazione non risponde obiettivamente alla proposta generale del Vangelo; può anche riconoscere con sincerità e onestà ciò che per il momento è la risposta generosa che si può offrire a Dio, e scoprire con una certa sicurezza morale che quella è la donazione che Dio stesso sta richiedendo in mezzo alla complessità concreta dei limiti, benché non sia ancora pienamente l’ideale oggettivo».

 

   L’Esortazione “Amoris Laetitia” risulta permeata dalla profonda revisione con cui il magistero ecclesiale si rapporta alla coscienza: essa non viene più vista con la diffidenza di alcuni precedenti documenti magisteriali, ma con benevolenza e fiducia nelle sue capacità di pervenire al migliore discernimento possibile anche nelle singole anime dei fedeli di Cristo.

 

   Viene cosi modificata la posizione ecclesiale rispetto alla coscienza personale: viene abbandonata la prospettiva difensiva di alcuni documenti recenti, come l’”Humanae Vitae” o la “Veritatis Splendor”, per aprire la coscienza morale ecclesiale ai contributi dei singoli soggetti, per quanto applicabili solo a specifici casi personali, senza alcuna presunzione di generalizzazione.

 

   La fonte della coscienza morale non è più esclusivamente ecclesiale, ma alla sua formazione sono chiamati a partecipare attivamente le coscienze individuali di tutti i credenti. La coscienza non è più percepita come un contenitore da riempire con norme confezionate in relegati luoghi di produzione etica, ma essa stessa viene chiamata a contribuire alla formazione della coscienza ecclesiale a partire dal singoli fedeli di Cristo e dalle loro vicissitudini esistenziali.

 

   Questo verosimilmente appare come il più evidente e significativo tributo nei confronti del Concilio Vaticano II e alla sua Costituzione Pastorale Gaudium et Spes (1966), che così recita: “la coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell’uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell’intimità” (GS16).

 

 

 

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