Sulla tua parola

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Introduzione alla lectio divina su Lc 5,1-11

 

10 febbraio 2013 – V domenica del tempo ordinario

In quel tempo, mentre la folla faceva ressa intorno a Gesù per ascoltare la parola di Dio, egli vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti. Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca.  Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: “Prendi il largo e calate le reti per la pesca”. Simone rispose: “Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti”. E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano.
Allora fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano. Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù dicendo: “Signore, allontanati da me che sono un peccatore”. Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto; così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedeo, che erano soci di Simone.
Gesù disse a Simone: “Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini”.
Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

                               

Sulla tua parola getterò le reti (Lc 5,5). E la mia confessio fidei. Dalla Parola tutto è partito: dalla Parola vorrei ricominciare”, così scriveva il Cardinale Carlo Maria Martini nella sua lettera pastorale alla Chiesa di Milano per l’anno 2001/2002, intitolata proprio, significativamente, “Sulla tua parola”.

E intorno a Gesù, come dice Luca in apertura di questo brano, la folla faceva ressa per ascoltare la Parola di Dio. E Gesù non lesina quella Parola, anzi, sempre in mezzo alla gente, si fa prestare una barca e la fa diventare cattedra e tempio, seduto come un rabbi ammaestra in una spiaggia che si fa sinagoga. Non c’è più sacro e profano, ma la vita tutta, nella sua ferialità, assurge a liturgia, plasmata da questa parola che si riversa abbondante incrociando gli uomini nel loro oggi, mentre lavorano, come stavano facendo Pietro e gli altri compagni. Anzi, in effetti, la giornata lavorativa era finita, ed era finita male. Poco pesce, addirittura nulla dice Pietro, solo una immensa fatica trascinata per una notte intera.

Ed ecco che Gesù viene a chiamare, perentorio, quei pescatori, viene a dare un senso a quell’arrabattarsi vano e faticoso che è a volte la nostra vita stessa. “Prendi il largo”, o, come dice il testo, “Vai verso la profondità”: rischia, rimettiti in gioco, esorta Gesù, vai nel mare aperto. L’invito è folle, ma anche Pietro è folle e affamato, di pane e di Parola. E su quella Parola getta le sue reti.

Ed è splendida la notazione secondo la quale Pietro da solo non ce la fa a raccogliere i frutti della Grazia. Ha bisogno dei fratelli per sopportare il carico di gioia, per condividere una fatica finalmente felice e gravida di senso. “Nel nostro testo viene abbozzata la nascita della comunità. L’altra barca viene in aiuto a quella di Pietro che è in difficoltà: nella comunità cristiana ci si aiuta, ci si sostiene, si riconosce il bisogno che uno ha dell’altro e allora il gruppo diviene una vera fraternità” (Luciano Manicardi).

L’esperienza di grazia lascia in Simone il senso della propria indegnità: “Allontanati da me che sono un peccatore”. Le sue parole fanno eco a quelle pronunciate dal profeta Isaia in occasione della sua chiamata da parte di Dio: “Sono perduto, perché un uomo dalle labbra impure io sono!”(Is 6,1-2.3-8: la I lettura). A colmare il senso paralizzante di inadeguatezza, arriva pronta la rassicurazione di Gesù. “Non temere” è espressione cara a Luca, che la indirizza tra gli altri anche a Maria, colta dai medesimi sentimenti nel momento della sua particolarissima chiamata alla maternità.

L’invito a non avere paura, a perseverare in quella fiducia che ha fatto rimettere in acqua le reti ormai lavate per essere dismesse, si unisce a un’importante notazione temporale: “d’ora in poi”. Essa dice la proiezione verso il futuro, la chiusura con ciò che era stato finora, la definitività di una scelta che non ammette obiezioni. Luca è l’unico degli evangelisti che sottolinea che i discepoli lasciarono “tutto” e lo seguirono: la radicalità insita in questo “tutto” è anch’essa un tratto tipico di Luca, che la attribuisce anche a Matteo, l’esattore che “lasciando tutto, si alzò e lo seguì” (5,28).

Il cristiano non è l’uomo dei rimpianti, né può indulgere su vane nostalgie di un passato migliore dei tempi di oggi. Incrociato Cristo non si può che essere presi da un dinamismo nuovo, che riconosce nella propria immensa e irriducibile debolezza, l’opportunità di un perdono risanante di cui farsi testimone con gli altri uomini. Solo in questa fiduciosa consapevolezza sta l’origine del primato di Pietro: “Pietro era colui che era caduto più pesantemente, ma anche più prontamente, per primo, era stato risollevato e perdonato: come gli aveva predetto Gesù, “Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (André Louf). Un primato di peccato perdonato che si fa annuncio mite e gioioso della speranza che è in noi.

 

Valentina Chinnici

 

 

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