Un indice di barbarie: la violazione maschile sulle donne

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Rocco Gumina consiglia alla Redazione di Tuttavia.eu un articolo di Piero Antonio Carnemolla

E’ senz’altro vera follia tentare ancora una volta di mantenere il dominio di stampo maschile sulla donna.

L’efferata uccisione di Giulia Cecchettin e le numerose e vibranti manifestazioni contro una cultura che non rispetta la dignità della donna, inducono a pensare che è finalmente iniziata una svolta – anche nel nostro bel paese – intesa a rifondare una nuova visione dell’essere umano e dell’esser donna.

Il dominio dell’uomo sulla donna ha radici culturali che si perdono nella notte dei tempi. Senza scomodare la preistoria, nel modo greco-romano sono pochi gli esempi in cui la donna viene ad essere riconosciuta nella sua dignità e personalità. Ma anche la visione cattolica della persona, in frange limitate ma sempre agguerrite, non è esente da pregiudizi e false rappresentazioni.

Non è difficile dimostrare come alcune subdole idee hanno trovato breccia e si sono infiltrate nei rinomati testi di autori ammirati, celebrati e anche proclamati santi. Nella maggior parte dei casi un risultato è stato quello di avvalorare e ritenere indiscussa l’inferiorità della donna, rimanendo incontrastato il dominio dell’uomo.

Una domanda aperta: perché cultura e prassi maschiliste non sono state sostituite dal rispetto e riconoscimento della persona e delle virtù delle donne? Perché un sistema di prevaricazione ancora è presente nella nostra società – ma il fenomeno non è soltanto italiano ­– registrandosi, ma con modalità diverse, in tutte le nazioni di cui conosciamo usi e abitudini?

Un tale modo di vivere non può che avere profonde radici culturali, tra le quali bisogna annoverare un particolare sistema di prassi religiosa, sostenuta da teorie facilmente discutibili, che ha stabilizzato il vivere civile.

Tra queste dobbiamo prendere in considerazione la nostra religione cattolica che ha offerto e ancora offre – ma anche numerose sono le eccezioni – una interpretazione del mondo femminile non in linea con quella voluta dal Creatore. Sul tema la letteratura è imponente e sui molti temi trattati non si registrano vistose divergenze di interpretazione per cui esporremo quelli che più ci sembrano incontrastate e fuori discussione.

E’ risaputo che per giustificare la supremazia maschile si è fatto ricorso al pensiero di san Paolo utilizzato a conferma del compito direzionale dell’uomo. E’ fuor di dubbio che una attenta lettura di alcuni passi del suo epistolario inducono a ritenere che, pur riconoscendogli la grandezza del suo apostolato e della sua missione, tuttavia “egli ha conservato della sua concezione rabbinica alcune prevenzioni sulle donne e lo stesso genere di argomentazioni seguite dai rabbini per trarre dai loro testi motivi per screditare le donne” (J.M. Auer, 1978). Il problematico pensiero di san Paolo sulle donne non può essere ridotto a poche righe e la gravità di una interpretazione a senso unico ha avuto lo scopo di legittimare una prassi che oggi non ha alcuna consistenza.

Si pensi al famoso passo di I Cor. 14,34-35 “…le donne nelle assemblee tacciano perché non è loro permesso parlare; stiano invece sottomesse, come dice anche la Legge. Se vogliono imparare qualche cosa, interroghino a casa i loro mariti, perché è sconveniente per una donna parlare in assemblea”. Bisogna precisare che riguardo alle interpretazioni degli scritti neotestamentari il criterio deve essere quello di utilizzare il contesto sociale e la prassi di vita in cui è calato ogni testo. Questo è il metodo interpretativo per spiegare, ad esempio, il passo paolino sopra citato. In questa maniera è facile evidenziare le distorsioni del passato che, volutamente hanno mantenuto in stato di subordinazione e dipendenza le donne.

Questa concezione riduttiva della donna, giustificata dal criterio ermeneutico sopra enunciato, è presente in grandi pensatori cristiani che con i loro studi hanno influenzato e spesso determinato prassi esclusiviste e misogine.

Tommaso d’Aquino, il dottore angelico, seguendo il pensiero di Aristotele, sosteneva che non vi sarebbe complementarietà tra uomo e donna perché quest’ultima è inferiore all’uomo, il che esclude qualsiasi complementarietà ( la si avrebbe soltanto tra esseri simili). Scontato il principio dell’assoluto divieto delle donne all’ordinazione sacerdotale. L’impedimento del sesso femminile per gli ordini fu giustificato dalla teologia medievale che, pur riconoscendo non esserci nessuna differenza sul piano esistenziale, tuttavia nella pratica le applicazioni erano differenti.

Si arrivava a sostenere che poiché Cristo è un uomo, alla donna non si addice l’ordinazione. Tra gli argomenti che fanno amaramente sorridere vi è quello secondo cui la donna non può legare e sciogliere ed è oltremodo sconveniente che ascolti in confessione i peccati, sia per la sua incostanza d’animo che per la sua loquacità ( W. Van Est). Parimenti anche Lutero era del parere che nella Chiesa, quando ci sono uomini che parlano, le donne devono tacere: sono esseri inferiori e adatte primariamente per la riproduzione. Per il riformista le donne sono state create con il solo scopo di servire gli uomini ed essergli di supporto.

La ritrosia, l’avversione e anche un certo tipo di ripugnanza hanno sostenuto il divieto dell’ordinazione sacerdotale delle donne con argomenti che non si armonizzano con la visione universalista annunziata dal Signore. La proclamazione da parte di Gesù di una concezione nuova e nello stesso tempo rivoluzionaria dei rapporti tra uomo e donna escludeva qualsiasi tipo di patriarcato.

Recenti studi biblici hanno dimostrato che non è stato il cristianesimo ad inventare o a cercare il patriarcato, e che originariamente il cristianesimo non era patriarcale. Un tipo di sistema patriarcale lo si può trovare negli strati più tardivi del Nuovo Testamento e nella storia cristiana successiva.

In tempi a noi più vicini alcuni documenti ufficiali della Chiesa, diseguali per provenienza e per autorità, hanno escluso l’ordinazione acclarando in tal modo l’esistenza naturale di un impedimento, sia di carattere teologico che di sesso. Pio XI, nella Casti connubii – lettera enciclica sul matrimonio del 1938, così scriveva: « Rassodata finalmente col vincolo di questa carità la società domestica, in essa fiorirà necessariamente quello che è chiamato da Sant’Agostino ordine dell’amore.

Il quale ordine richiede da una parte la superiorità del marito sopra la moglie e i figli, e dall’altra la pronta soggezione e ubbidienza della moglie, non per forza, ma quale è raccomandata dall’Apostolo in queste parole: Le donne siano soggette ai loro mariti, come al Signore, perché l’uomo è capo della donna, come Cristo è capo della Chiesa ».Subito dopo, ad avvalorare il superiore principio, riproduce un passo dell’enciclica di Leone XIII, la Arcanum divinae, « Il marito è il principe della famiglia e il capo della moglie la quale pertanto, perché è carne della carne di lui ed ossa delle sue ossa, non dev’essere soggetta ed obbediente al marito a guisa di ancella, bensì di compagna; cioè in tal modo che la soggezione che ella rende a lui non sia disgiunta dal decoro né dalla dignità.

In lui poi che governa ed in lei che ubbidisce, rendendo entrambi l’immagine l’uno di Cristo, l’altro della Chiesa, sia la carità divina la perpetua moderatrice dei loro doveri » Ma omette  il passo successivo : «…, come la Chiesa è soggetta a Cristo, così le mogli debbono essere soggette ai loro mariti in ogni cosa” (Ef 5,23-24)».L’enciclica di Leone XIII fu  resa nota nel febbraio del 1880.

Si dirà che sono documenti del passato ma  l’influsso e la conseguente prassi ricalcante  le indicazioni di questi documenti non sono stati del tutto eliminati da insegnamenti, spesso ben celati in discorsi subdoli, in  molte comunità   che si definiscono cristiane  e fedeli agli insegnamenti del magistero.

Una visione così riduttiva ha indirettamente – ma è difficile sapere fino a quale limite – avvalorato, giustificato e promosso un patriarcato che si è sviluppato su più piani. Nell’immaginario popolare, il fatto che la donna non potesse aspirare a funzioni propri dei maschi  ha valorizzato una prassi patriarcale che, in molti casi, ha prodotto dolori e lutti.

Ed è venuto il momento di chiamare in causa anche la Chiesa per le ingiustificate omissioni ma anche per il silenzio con cui vengono coperti azioni delittuose che soltanto il diritto laico dei paesi in cui si consumano è in grado di conoscere e condannare. Mi riferisco a quella purulenta piaga che  deturpa il volto della Chiesa: la pedofilia clericale.

Poiché il tema è circoscritto alle donne, notizieremo sui casi di abusi consumati da chierici a loro danno.

La teologa Doris Reisinger del Dipartimento di Teologia cattolica della  Goethe Universität di Francoforte, ha pubblicato i risultati di un’indagine  relativa ai casi di abuso sessuale da parte del clero cattolico  a danno di donne  con conseguente  indesiderata gravidanza: è stato  definito “abuso riproduttivo”. I molti casi di donne costrette ad amplessi indesiderati da parte di preti suscitano  sdegno  nei confronti di questi orchi  e sincera  pietà verso  queste donne abusate.

Per convincersene basta leggere alcuni casi esposti per rendersi conto di come il patriarcato maschile utilizza  un opinabile  status superior  per soddisfare i propri bassi istinti. Dopo aver premesso che un’analisi corretta dovrà spiegare perché l’abuso riproduttivo nel contesto cattolico sia stato finora pressoché invisibile, è interessante e difficilmente confutabile un passaggio dell’inchiesta che imputa a un sistema mentale di prevaricazione che è  diffuso tra maschi  i quali  si ritengono  d’essere superiori e quindi legittimati ad esercitare un potere tirannico e liberticida.

Scrive la Reisinger: «Un possibile modello esplicativo potrebbe essere il doppio impatto della misoginia in questo particolare contesto. L’abuso riproduttivo è strettamente legato a una logica patriarcale, sessista e misogina ampiamente accettata e normalizzala nella sfera secolare così come nella Chiesa cattolica. Questa logica assegna un posto subordinato alle donne e alle ragazze rispetto agli uomini e distribuisce diritti e doveri in maniera diseguale tra i sessi».

E’ urgente, ma anche doveroso, intervenire con l’indicazione di stili di vita autenticamente cristiani in grado di sconfiggere atteggiamenti e modi di vita originanti da una cultura patriarcale  con conseguenti esiti maschilisti violenti e anche delittuosi. Molte sono le teologhe che denunciano la mancata riconciliazione della Chiesa con l’universo femminile.

E’ uno stallo che ha radici profonde – come sopra brevemente dimostrato – ed è anche sostenuto e protetto da diversi canoni. Stabilito che soltanto il battezzato di sesso maschile può validamente ricevere la sacra ordinazione ( can. 1577) il can. 230 recita: «I laici che abbiano l’età e le doti determinate con decreto dalla Conferenza Episcopale, possono essere assunti stabilmente, mediante il rito liturgico stabilito, ai ministeri di lettori e di accoliti; tuttavia tale conferimento non attribuisce loro il diritto al sostentamento o alla rimunerazione da parte della Chiesa»».  

Si noti che soltanto ai laici, ai maschi,  è riconosciuta quella mansione con esclusione delle donne. Altra limitazione di fatto sinora esercitata è quella che alla elevazione della dignità del cardinalato la scelta del Papa deve ricadere su uomini che siano almeno presbiteri (can.351).Dove è andato a finire il “genio femminile delle donne a cui la società è in larga misura debitrice,” come solennemente  scrisse Giovanni Paolo II nel non lontano 1995? ( Lettera alle donne del 29-6-1995)..

La comunità ecclesiale nel leggere i risultati di un sondaggio in cui si apprende che in Italia una donna su tre è vittima di violenze (La Repubblica del 30-11-2023) dovrebbe quantomeno arrossire e poi intonare un autentico mea culpa con conseguente penitenza riparatoria.

La violenza sulla donna, di qualsiasi genere, è stata giustificata da motivazioni che non reggono se si vuole realizzare quella visione antropologica che scaturisce da una sapiente ed illuminata interpretazione del messaggio cristiano. La soppressione violenta di Giulia Cecchettin  è la riprova che, malgrado tutto, non è ancora spenta la violenza ingiustificata del sesso forte, ma che dimostra con questi atti  tutta la propria debolezza e anche viltà. Le motivazioni che sorreggono questo sistema patriarcale sono le più diverse. Qui ne indichiamo due riferendo episodi lontani nel tempo e diverse per motivazione.

Un vero e proprio femminicidio è quello storicamente avvenuto nella seconda metà del IV sec. d.C.: la morte violenta della scienziata e filosofa Ipazia. Un filologo di classe, quale il prof. L. Canfora, ha pubblicato un dettagliatissimo studio sinora inconfutato, trascrivo solo un passo : “Il tema è certo imbarazzante. Sono di fronte: una scienziata alessandrina trucidata dai monaci cristiani perché non incline a conversioni di comodo ed un vescovo molto potente [si tratta di Cirillo di Alessandria] e ormai soverchiante rispetto al potere statale che si fa mandante morale della uccisione, plateale e sadicamente feroce, di una donna, che è anche una notevole scienziata, colpevole di non voler essere cristiana ma assertrice della filosofia e della scienza greca.

Epilogo: quel vescovo, così politico e così spregiudicato (per non dir peggio) viene – post mortem – proclamato santo e” dottore della chiesa” (per aver escogitato lo stravagante dogma che proclamò Maria” madre di Dio”, θεοτοκοσ , in quanto madre di Gesù, cioè del figlio).

Il trenta novembre del 1943 muore ad Auschwitz Etty( Esther)  Hillesum, giovane ebrea, filosofa e psicologa, allieva dell’analista tedesco Julius Spier. Ha lasciato un diario in cui, tra l’altro, si legge «Sì mio Dio, sembra che tu non possa  fare molto per modificare le circostanze attuali… Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi…

L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi…è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio. E forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini»

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