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PAUL RICOEUR, A CENTO ANNI DALLA SUA NASCITA

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                Ricordiamo uno dei filosofi francesi più importanti del XX secolo,

           per l’ampiezza del suo pensiero e l’impatto internazionale della sua opera.

 

 

di Fernanda Di Monte *

 

Ricoeur vede la luce il 27 febbraio 1913, sulle rive della Garonna, nella città francese di Valence. Della sua infanzia si sa poco e quel poco che lui stesso ha raccontato. «Sono stato fin da bambino», dice Ricoeur, «un accanito lettore. A nove, dieci anni compravo i testi scolastici durante il periodo estivo e quando frequentavo la scuola sapevo già tutto».

Ricordava che era uno studente insopportabile perché correggeva i professori quando sbagliavano. «A tredici anni», continua, «ho letto Platone, poi la tragedia greca: la cultura classica è alla base della mia formazione e perciò non ho mai sentito il contrasto tra la filosofia e la fede, ho sempre appartenuto ad entrambi. In Famiglia non avevo molte distrazioni: il tempo lo trascorrevo nelle librerie». La sua infanzia l’ha vissuta in Bretagna, coi nonni calvinisti. Figlio unico, la madre è morta poco dopo la sua nascita; suo padre, professore di inglese al liceo di Valence, durante la prima guerra mondiale è stato richiamato al fronte ed è morto che Ricoeur aveva appena un anno. «Mi sono confrontato molto presto coi problemi speculativi», affermava, e la morte di mio padre mi ha costretto ad affrontare anche i problemi politici, le responsabilità della Francia nella politica delle grandi potenze. La mia appartenenza al cristianesimo sociale ha qui la sua radice».

Nel 1933, a Rennes, conclude con la licenza gli studi di filosofia e si iscrive alla Sorbona dove nel 1935 ottenne l’aggrégation e insegna per alcuni anni nei licei. Allo scoppio della seconda guerra mondiale viene arruolato e fatto prigioniero in Germania dove trascorre cinque anni. Nel tempo della prigionia si accosta alle opere di Jaspers e di Husserl.

Così ricorda quel periodo: «Lì ho potuto leggere molto, così la mia prima vocazione filosofica è diventata approfondire la filosofia tedesca; ancora oggi, oltre la filosofia anglosassone, seguo con particolare cura quella tedesca, con Gadamer con cui ho un intenso scambio epistolare. In Se stesso come un altro, è importante il dialogo con la filosofia anglosassone, in cui l’identità personale è una questione fondamentale. Lì ritrovo anche i problemi politici, ad esempio l’identità delle nazioni. Credo nel concetto di “identità narrativa” contrapposto al nazionalismo. Infatti questo incapsula l’identità, mentre la nostra storia appartiene anche agli altri, e il raccontarla ha una funzione terapeutica, quella appunto di guarire dalla vendetta».

Paul Ricoeur rientrato in patria, dopo la guerra, riprende l’insegnamento, diventa membro del Centro Nazionale della Ricerca Scientifica(CNRS), comincia a pubblicare le sue opere: nel 1948, i due volumi su Jaspers e Marcel; nel 1950, la traduzione di Idee di Husserl e contemporaneamente inizia il suo insegnamento di Storia della Filosofia a Strasburgo, succedendo alla cattedra di Jean Hyppolite(1907-1968), dove rimase fino al 1955. Infatti nel 1956, avrà la cattedra di Filosofia generale a Parigi, alla Sorbona. Nel 1966 si sposa e va ad insegnare all’università di Nanterre. Negli ultimi anni, direttore del Centre de recheches phénomènologiques et herméneutiques, Ricoeur è stato chiamato ad insegnare alla Divinity School dell’Università di Chicago.

Lo abbiamo incontrato quando ha compiuto 80 anni, nella sua casa di Chatenay Malabry, poco fuori Parigi. In quello stesso luogo ha abitato Emmanuel Mounier (1905-1950), fondatore della rivista «Esprit». Ricoeur vi collaborava dall’inizio, cioè dal 1932 con articoli e studi: «Sono il redattore più anziano … i miei articoli più importanti li ho pubblicati su “Esprit” e anche su “Christianisme social”. Ho potuto avere scambi con cattolici, protestanti e non credenti. Mounier credeva fermamente che non poteva esistere un partito cristiano, ma che ci si doveva impegnare all’interno di uno Stato laico. Credeva inoltre che il cristiano non deve rinchiudersi nel privato, ma può e deve impegnarsi con gli altri, anche con i non credenti».

Ricoeur ci ricevette nel suo studio, stipato di volumi; alle nostre spalle una foto in bianco e nero di Gabriel Marcel. Sulla scrivania e tutto intorno vi erano delle civette, simbolo della filosofia, di ogni grandezza e di ogni tipo: i suoi amici sapevano che le piacevano e quindi le arrivavano da ogni parte del mondo. Ce ne indicò una, sorridendo, molto grande, in ceramica proveniente da Capri …

Ricoeur era un uomo schivo, non amava parlare di sé, del suo privato. Una riprova? Quando fu colpito dalla tragedia della morte del figlio nessuno lo venne a sapere. Parlava solo del suo lavoro, della sua ricerca e ogni volta che tentammo di porgli domande più personali divagava …

Della sua formazione, di chi ha inciso maggiormente su di essa raccontava che «aveva avuto la fortuna di essere sottomesso ad influenze contrarie, ciò lo aveva costretto  a cercare la sua strada».

I temi a lui più cari sono gli stessi che poi sono diventati cari a quella che viene chiamata “filosofia dell’esistenzialismo”, come ad esempio: l’incarnazione, l’intersoggettività. A riguardo fu preziosa la riflessione di Marcel circa il rapporto tra “problema “ e “ mistero”. Questa inclusione nel mistero riguarda chiaramente la dimensione religiosa. «Ma altri problemi», notava Ricoeur, «aderiscono talmente a noi stessi che non possiamo oggettivarli: il problema del male, il problema della presenza e assenza dell’altro e così via».

Ricoeur è stato il primo a formulare la categoria dei “maestri del sospetto” (Marx, Nietzesche, Freud). Passando dall’esistenzialismo alla fenomenologia, lungo gli anni elaborò una teoria dell’interpretazione che pone al centro di tutto la persona.

Davanti al fallimento pratico delle grandi ideologie, il personalismo afferma la volontà di ripartire dai dati immediati dell’esperienza umana e di ricostruire un modello di comprensione della realtà a partire da essi. Primario fra questi dati è l’incontro dell’uomo con l’uomo, il mondo di esperienze e valori che in questo incontro si rivela e all’interno del quale è possibile fare esperienza di se stessi, del senso e del valore della propria persona e, insieme e inscindibilmente, del senso e del valore della persona dell’altro.

Paul Ricoeur dimostra che il pensiero centrato sulla persona merita di più che essere assimilato a un sistema o anche a una filosofia.

Molto ci sarebbe da dire su questo grande filosofo: uomo di ricerca e uomo di fede.

Per lui fede e filosofia sono in un rapporto né di separazione, né di confusione. «Seguo della filosofia due aspetti: la sua completa autonomia di pensiero(origine, metodo, tematiche) e la sua apertura al problema religioso. La filosofia, per me, è essenzialmente una riflessione sull’uomo; suo scopo non è dimostrare l’esistenza di Dio, ma di parlare di un uomo capace di incontrare Dio. Nella filosofia si parla di Dio, non a Dio (questo sarebbe la preghiera), compito della filosofia è restare aperta ai diversi tipi di linguaggi, ai simboli e dunque anche a quelli religiosi». E la fede? «Insisto sulla sua autonomia dalla filosofia. La fede è un rischio e poggia sulla testimonianza di chi ne ha fatto esperienza. Essa appartiene alla economia del dono».

Il nostro incontro termina con un ultima domanda: che cosa vorrebbe che rimanesse di lui, oltre le opere che ha scritto, ci guarda attentamente e sorride.

La sua risposta è silenziosa, racchiusa nella sua lunga vita, vissuta nella costante testimonianza della Parola …

 

 

*L’intervista integrale è presente nel volume L’io dell’altro, Confronto con Paul Ricoeur, Marietti

 

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