Senza categoria

L’islam, il cristianesimo e le donne

Loading

 

 

di Giuseppe Savagnone

 

 

    Di fronte alle frequenti accuse, rivolte all’islam, di  avere una concezione della donna incompatibile con la sua dignità, non mancano voci, anche femminili,  che respingono tali accuse (l’ultima è stata quella di Tawakkol Karman, una  giornalista yemenita di 38 anni, che  nel 2011 ha ricevuto il Nobel per la pace proprio per il suo contributo alla causa dell’emancipazione delle donne). «Il ‘nemico’ dell’ emancipazione femminile», ha affermato in una recente intervista la Karman,  «non è il Corano, bensì i regimi, la corruzione e le tradizioni arcaiche» («Avvenire» del 21 settembre 2016).

 

    Come stanno le cose veramente? Dal Corano, in effetti, risulta che Maometto, rispetto al regime pre-islamico, ha  introdotto delle norme che  implicavano un maggior rispetto per la donna. Così, per esempio, in contrasto con l’usanza che, in caso di morte del marito, prevedeva il passaggio automatico delle mogli all’erede, si legge nella sura 4, detta «sura delle donne»: «O voi che credete! Non vi è lecito ereditare mogli contro la loro volontà, né di impedire loro di rimaritarsi (…). Trattatele comunque con gentilezza, ché, se le trattate con disprezzo, può darsi che voi disprezziate cosa in cui Dio ha invece posto un bene grande» (19). E, nella stessa sura, si dice: «E se una donna teme maltrattamenti o avversione da parte di suo marito non sarà male per essi che  si mettan d’accordo fra loro, in pace; poiché la pace è bene» (128).

 

    Esplicito, a proposito dei rapporti familiari, un detto attribuito a Maometto suona: «O uomini! (…) Voi avete dei diritti verso le vostre donne, ma anche le vostre donne hanno dei diritti su di voi. Trattatele bene, esse sono il vostro aiuto». Tutti passi, spesso dimenticati dai critici dell’islam, che effettivamente parlano di un riconoscimento della dignità della donna.

 

    E le innegabili, pesantissime umiliazioni che essa subisce nei paesi islamici, allora? Forse, per capire, è necessario distinguere i costumi delle popolazioni islamiche dal messaggio del fondatore dell’islam. Per citare solo un esempio tra i più significativi, «la circoncisione», osserva un autorevole teologo cattolico, Joachim Gnilka,  «non è prevista nel Corano» (Gnilka 2006, p.153). E in effetti, l’uso della circoncisione e delle altre mutilazioni genitali femminili era diffuso in Africa molto prima dell’islam. Si tratta, dunque, di una sopravvivenza di costumi molto arcaici, legati al territorio e non alla fede religiosa, come dimostra il fatto che in quelle zone, sia pure in misura minore, è presente anche tra i cristiani e i credenti in altre religioni.

 

    Anche su un altro punto molto enfatizzato nel dibattito attuale, lo stesso Gnilka fa notare che «il Corano non impone neppure il velo sul capo delle donne».

 

    La “questione femminile” nell’islam è dunque solo una leggenda?  Anche questo non sembra vero. Nella stessa sura 4 del Corano si legge:  «Gli uomini sono preposti alle donne, perché Dio ha prescelto alcuni esseri sugli altri e perché essi donano dei loro beni per mantenerle (…); quanto a quelle di cui temete atti di disobbedienza, ammonitele, poi lasciatele sole nei loro letti, poi battetele; ma se vi ubbidiranno, allora non cercate pretesti per maltrattarle; ché Iddio è grande e sublime» (34).

 

    Anche Paolo, nella prima lettera ai Corinti, sembra affermare una superiorità dell’uomo sulla donna, quando scrive che «l’uomo (…) è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non è l’uomo che deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo» (11,7-9). Con la sua consueta disinvoltura, Vito Mancuso ne ha tratto la conclusione che «l’islam rappresenta la medesima impostazione» («Repubblica» del 27 agosto 2016).

 

     A questa tesi ha risposto una biblista seria come Rosanna Virgili («Avvenire» del 1 settembre 2016), ricordando che qui Paolo  non fa altro che rievocare il testo della Genesi, dove si parla dell’origine della donna, tratta dal fianco di Adam perché non rimanesse solo. Rispetto a questo antico racconto, però, l’apostolo aggiunge di suo – e questa è la novità del cristianesimo rispetto alla precedente tradizione -: «Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l’uomo, né l’uomo è senza la donna. Come infatti la donna deriva dall’uomo, così l’uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio» (1Cor 11, 11-12).

 

    Solo così, del resto, nota la Virgili -,  si spiega la chiara affermazione della reciprocità fra uomo e donna enunciata nella stessa lettera da Paolo: «La moglie non ha potere sul proprio corpo, bensì il marito e, allo stesso modo, anche il marito non ha potere sul proprio corpo, ma la moglie» (1Cor 7,4).

 

   Qui lo sfondo, sottolinea la biblista, è la novità realizzata da Cristo: in lui «non c’è più giudeo, né greco, schiavo, né libero, maschio, né femmina» (Gal 3,28). Cadono tute le gerarchie di potere. Perciò non c’è posto, in tutto il Nuovo Testamento,  per un invito, come quello contenuto nel Corano,  a picchiare le proprie mogli in caso di disobbedienza. Anzi nella  lettera agli Efesini si legge: «Voi mariti, amate le vostre mogli, come Cristo amò la Chiesa e diede se stesso per lei» (Ef 5,25).

 

    Si capisce, allora, perché, pur nell’astratta affermazione della dignità delle donne, l’islam abbia potuto  adattarsi assai meglio del cristianesimo a costumi tribali anteriori, come quello delle mutilazioni genitali femminili. Scrive a questo proposito un’antropologa, Carla Pasquinelli: «L’attribuzione che spesso viene fatta all’Islam dell’origine delle mutilazioni dei genitali femminili in Africa è probabilmente dovuta alla facilità con cui si è saputo adattare al tessuto tradizionale conformandosi al modo di vita locale (…). Questa “africanizzazione dell’Islam” (…) ha reso la religione islamica più tollerante nei confronti delle mutilazioni dei genitali femminili, che invece sono state più contrastate da parte cristiana, venutasi spesso a trovare in aperto conflitto con le culture locali. Il caso più clamoroso resta la ribellione nei confronti dei missionari che avevano proibito di fare l’escissione delle donne Kikuyu in Kenya nel 1929(…). Pur non essendo stata all’origine di tali pratiche nel continente africano, la religione islamica le ha di fatto legittimate, le ha difese e le ha giustificate contribuendo così a perpetuarle e a diffonderle, anziché combatterle come hanno cercato di fare le chiese cristiane».

 

    Alla luce di quello che si è detto prima, è chiaro che la differenza tra l’acquiescenza, e perfino la complicità, dell’islam, rispetto a costumi che pure non sono basati sul Corano, e la resistenza, a volte pagata a caro prezzo, a quei costumi, da parte dei cristiani, non è solo una contingenza storica, ma ha le sue radici in una  diversa visione contenuta nei testi sacri di queste due religioni, il Nuovo Testamento (interprete anche dell’Antico, come si è visto) e il Corano.

 

 

{jcomments on}

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *