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L’ “intrinsece malum” da “Humanae Vitae” a “Veritatis Splendor”

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Durante il recente XXVII CONGRESSO NAZIONALE dell’ASSOCIAZIONE TEOLOGICA ITALIANA PER LO STUDIO DELLA MORALE (ATISM) tenutosi a Torino e avente per tema l’Humanae Vitae (HV) a 50 anni dalla sua promulgazione (1968), affrontando il tema dei metodi per la “paternità responsabile” (chissà mai perché solo al “maschile”), ci si è dovuti confrontare con il “principio dell’intrinsece malum“, che fonda l’accettazione solo dei “metodi naturali” nell’esercizio della sessualità degli sposi.

L’Humanae Vitae così sintetizzava le ragioni morali dell’esclusione di metodi diversi dai “metodi naturali”: «In verità, se è lecito, talvolta, tollerare un minor male morale al fine di evitare un male maggiore o di promuovere un bene più grande, non è lecito, neppure per ragioni gravissime, fare il male, affinché ne venga il bene, cioè fare oggetto di un atto positivo di volontà ciò che è ‘intrinsecamente disordine’ e quindi indegno della persona umana, anche se nell’intento di salvaguardare o promuovere beni individuali, familiari o sociali». Quindi i “metodi artificiali” – senza che nemmeno l’enciclica sentisse il bisogno di entrare nel merito di quali essi potessero essere o in che cosa essi potessero consistere – vennero valutati un ‘intrinsecamente disordine’. Tale affermazione si fondava sulla convinzione che il ricorso a “metodi artificiali” nell’esercizio della “paternità responsabile” tra sposi cristiani avesse una connotazione morale sempre negativa, in quanto “atto intrinsecamente cattivo”, cioè, in latino, intrinsece malum.

Papa_Paolo_VI_e_cardinale_Karol_WojtylaL’insegnamento sugli atti intrinsecamente cattivi, intrinsece malum appunto, è stato più specificatamente e dettagliatamente ripreso e ribadito ai nn. 79-83 della successiva enciclica del 1993 Veritatis Splendor (VS), che, in via sintetica, venne espresso da questa proposizione: «è da respingere come erronea l’opinione che ritiene impossibile qualificare moralmente come cattiva secondo la sua specie la scelta deliberata di alcuni comportamenti o atti determinati, prescindendo dall’intenzione per cui la scelta viene fatta o dalla totalità delle conseguenze prevedibili di quell’atto per tutte le persone interessate» (VS 82b). Cioè, esisterebbero atti per i quali il discernimento sulle intenzioni dell’agente morale e l’analisi delle conseguenze di essi in nessun caso possono cambiare da negativa a positiva la loro valutazione etica, perché appartengono agli atti intrinsecamente cattivi (intrinsece malum): infatti questi, a partire dal loro oggetto, sarebbero sempre e per tutti irriducibilmente in contrasto con l’«ordine morale oggettivo».

Respingere la connessione del soggetto all’atto da lui compiuto, secondo l’enciclica  Veritatis Splendor consentirebbe quindi l’esistenza di un «ordine morale oggettivo».

Da tale nucleo, così espresso da questa proposizione dell’enciclica, appare necessario ripartire per approfondire la riflessione etica e teologica, in base ad alcune considerazioni formulabili sull’argomento e delle quali mi si consenta di riportarne di seguito alcune:

  1. La prima è che l’«ordine morale oggettivo» non appare fondabile sul male, ma è necessariamente fondato sul bene. L’ordine dei valori ha il suo principio in Dio, Sommo Bene, e non ha alcun corrispettivo ontologico opposto a sé, se non nelle possibili determinazioni e azioni errate da parte delle Sue creature. Quindi anche gli enunciati dell’«ordine morale oggettivo», riguardanti comportamenti che vengono definiti atti intrinsecamente cattivi, non hanno una propria consistenza oggettiva, ma sono sempre elencazione di atti in cui nella pratica si esplica la disobbedienza delle creature all’unico comandamento divino che è l’amore.
  2. La reale oggettività del male di atti come quelli elencati in VS 80 (ripresi da Gaudium et Spes 27) scaturiscono sempre dalla volontà cattiva dell’agente morale che li pone in essere. Se non c’è un agente morale che opera tali atti, questi non hanno possibilità di esistere. Per esempio la tortura, atto malvagio oggettivo, non si ha se non per l’azione dei torturatori. Quindi a livello pratico l’oggettività del male non può mai essere disgiunta dalla soggettività che la realizza. Per chiarezza e onestà espositiva appare opportuno anche evidenziare che nel passaggio di Gaudium et Spes 27 – ripreso poi nell’enciclica Veritatis Splendor – questi atti sono menzionati in un contesto specificatamente socio-religioso, senza alcun riferimento all’enunciato morale dell’intrinsece malum, la cui applicazione è quindi da attribuire tutta all’enciclica. Tra l’altro in questa lista non risulta inserita la contraccezione ai fini della “paternità responsabile”.
  3. L’intenzionalità dell’atto e la valutazione delle conseguenze non possono che essere interpretate alla luce del comandamento dell’amore e del rispetto di tutte le persone interessate: non può esserci egoismo o solipsismo nell’agire cristiano. Ove ci fossero, l’atto risulta malvagio, ma non per sé, ma perché, per responsabilità chiara di uno o più agenti morali, non realizza il “bene possibile” per tutti gli interessati.
  4. La fondazione tomistica di Veritatis Splendor risulta non completa e andrebbe arricchita delle parti prese in considerazione ai nn. 291-308 di Amoris Laetitia (2016) sul perseguimento del “bene possibile”.
  5. Come ultima considerazione si potrebbe pensare che un’applicazione restrittiva della disciplina definita nella Veritatis Splendor destrutturerebbe le “azioni supererogatorie”, – cioè quelle che vanno al di là di ciò che risulta moralmente richiesto – per cui eroismi spirituali, come quelli di Padre Massimiliano Maria Kolbe o del Carabiniere Salvo D’Acquisto, potrebbero essere derubricati a suicidi volontari.

Alla luce dell’opportunità di approfondire alcuni aspetti dell’enunciato dell’intrinsece malum e volendo tornare al tema dei metodi per la gestione della “paternità responsabile”, appare comunque eccessivo inserire tra gli atti intrinsecamente cattivi il ricorso a metodi differenti da quelli definiti naturali nell’Humanae Vitae, se questi vengono applicati nel contesto sponsale e nel rispetto di tutte le persone coinvolte, comprese i nascituri. E questo appare pure moralmente accettabile anche alla luce di una comprensibile maturazione e di una più adeguata comprensione medica e bioetica degli aspetti della contraccezione, sia naturale sia artificiale, e di un variato contesto esistenziale e culturale a 50 anni dall’Humanae Vitae.

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