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Gender e dintorni

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di Augusto Cavadi

 

      L’ampio salone-teatro dell’istituto “Don Bosco – Ranchibile” ha ospitato, la sera di venerdì 6 novembre, un interessantissimo dibattito sulla teoria ‘gender’ avviato, con la moderazione di suor Fernanda Di Monte, da Giuseppe Savagnone (intellettuale di punta del cattolicesimo italiano) e da Giuseppe Burgio (pedagogista molto attivo nella difesa dei diritti degli omosessuali e dei transessuali). Nel corso del civilissimo confronto, Savagnone si è servito di una analogia fra islamofobia e omofobia per illustrare il punto di vista dei cattolici più aperti: “Se incontro un gruppo di fondamentalisti islamici, che pratichino l’infibulazione e impongono lo chador alle donne, mi si può chiedere di rispettare le loro convinzioni e la loro prassi: non certo di condividerle. Così, io eterosessuale, ho il dovere di rispettare chi vive l’omosessualità: ma non mi si può chiedere di condividerla”.

          La similitudine suggerisce delle considerazioni istruttive.

    La prima è che il proprio orientamento religioso-morale si sceglie, mentre il proprio orientamento sessuale-affettivo lo si scopre come innato. La seconda considerazione è che il fondamentalismo islamico (a differenza dell’islamismo ortodosso) è criticabile perché esercita violenza su altri, laddove l’omo-affettività se mai la subisce da parte degli intolleranti.

        L’esemplificazione sarebbe risultata più pertinente se si fosse posto il parallelo fra islamismo (corretto, pacifico) e ‘genere’ omosessuale: come dovrebbe porsi una società a maggioranza cristiana nei confronti dei due fenomeni? Una prima ipotesi è stata (per fortuna) scartata da entrambi i relatori come antidemocratica e anacronistica: la crociata contro gli uni (islamici) e contro gli altri (gli omofili) portata avanti da frange reazionarie e clerico-fasciste.  Una seconda ipotesi è  condivisa da molti ambienti cattolici progressisti: islamismo e omofilia sono modi di intendere e condurre la vita erronei, gravemente deficitari, ma uno Stato democratico deve rispettare (nel senso di tollerare) anche le minoranze ‘eretiche’ rispetto alle ortodossie teologiche e morali. Ci si può accontentare di questa prospettiva? Secondo alcune concezioni filosofiche e teologiche contemporanee, la risposta è negativa.

     L’islamismo – nelle sue versioni fedeli al Corano – possiede una intrinseca dignità teologica: perciò ai cittadini che lo professano va riconosciuta, da parte dell Stato laico, la piena legittimità della scelta religiosa. I cristiani, più che tentare di distogliere i concittadini islamici dalla loro fede, dovrebbero sollecitarli a viverla in maniera sempre più consapevole, critica, pura. Similmente, l’omosessualità costituisce un ‘genere’ ontologicamente e eticamente paritario rispetto al ‘genere’ eterosessuale: chi la incarna ha diritto di essere riconosciuto come cittadino a tutti gli effetti da parte dello Stato laico. Quanto ai cristiani, più che tentare di distogliere gay e lesbiche dalla propria condizione sessuale e affettiva, dovrebbero registrare come volontà divina la presenza “in natura” di questi fratelli e di queste sorelle e, se mai, sollecitarli a vivere la propria omofilia alla luce dell’amore disinteressato e creativo (l’agape) a cui il vangelo del Maestro di Nazareth invita tutti e tutte, a prescindere dai propri orientamenti sessuali. Per dirla con sant’Agostino, che non era certo un lassista in morale: “Ama e fa’ ciò che vuoi”.

 

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