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Abitare la relazione. Trasfigurare il pasto comune

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di Alfio M. Briguglia

 

 

Stare a tavola insieme è un’arte che non si improvvisa. Non basta il galateo.

Non ci si riunisce attorno alla tavola solo perché si ha fame. Tutto ciò che noi facciamo ha sempre un significato simbolico. Prendere cibo insieme ha valenza fortemente simbolica. Attraverso il cibo che assumiamo noi entriamo in relazione con l’ambiente, con questo mondo che ci sostiene. Dichiariamo la nostra non autosufficienza il nostro dipendere da qualcosa che sta fuori di noi, che ci deve essere donato e che qualcuno deve procurare per noi, per continuare a vivere.

Iniziare il pasto con consapevolezza ci aiuta ad uscire dal narcisismo sempre in agguato:qualcuno ha prodotto per noi quel cibo, qualcuno lo ha cucinato, qualcuno lo serve in tavola, qualcuno poi dovrà anche rimettere in ordine, pulire, preparare per un altro pasto.

Ci aiuta a riscoprire qualcosa che abbiamo perduto: il senso del dono e della gratitudine, la necessità di ringraziare. La preghiera che apre il pasto ci aiuta a percepire la traccia di una Presenza discreta che “serve” alla nostra tavola, di una Alterità trascendente che abita le nostre dimore.

Ogni famiglia ha le proprie tradizioni alimentari: “questo lo faceva mia madre”, “questo lo mangiavamo a casa una volta la settimana”, “questo per Pasqua o per Natale” … La scelta del cibo diventa così un modo di legarsi alle tradizioni, di sentirsi parte di una storia.

Uno dei modi di prendere le distanze dai genitori è per i figli quello della rottura alimentare. I ragazzi, spesso, scelgono di aggregarsi con i coetanei nei fast food, alimentandosi di cibi che appartengono ad altre tradizioni e questo può essere il segno di una perdita di identità, di una massificazione.

Il pasto comune è una forma di rito familiare, cioè un’azione significativa, simbolica, efficace. Si mangia seguendo delle regole. Una delle prime cose che fanno i genitori è insegnare ai bimbi svezzati a mangiare. E poi a stare a tavola con i grandi. Ci si siede insieme, ci si alza insieme. Non ci si butta sul cibo al modo di animali affamati. Non si fanno rumori molesti. Non si mangia in fretta.

E, come per tutti i riti, si inizia con una preghiera di ringraziamento. La preghiera apre lo spazio sacro del pasto familiare, ci immette nel mistero di questo stare insieme, noi che siamo una stessa famiglia anche se ci sembra di essere tanto diversi tra noi.

Spesso si mangia in fretta; ci sono urgenze che premono; allora si dimentica che ciò che è urgente può far mettere in secondo piano ciò che è necessario!

I Vangeli ci mostrano Gesù a tavola in diverse occasioni e con le persone più disparate. Gesù ha condiviso la tavola con scribi e farisei, ma anche con pubblicani e peccatori. Dando scandalo! E’ stato ospite. Attorno ad una mensa ha avuto incontri mirabili, ha detto parole di salvezza. Gislain Lafont in uno splendido libro, L’eucarestia, il pasto e la parola, fa un’affermazione solo apparentemente strana: “di Gesù si diceva: nessuno ha mai parlato come quest’uomo; ma forse bisognava anche dire: nessuno ha mai mangiato come quest’uomo!”. Lo stare a tavola rivela così il modo in cui stiamo al mondo.

La tavola è anche il luogo della parola, della conversazione. Il cibo che entra nei nostri corpi è accompagnato dalle parole che ricostituiscono il tessuto delle relazioni familiari. E’ il momento in cui si fa il punto della situazione, ci si accorge di quanto uno dei familiari sia impegnato in momenti lieti o difficili, di leggerezza o di pesantezza. E’ il momento nel quale gli occhi e le espressioni del viso dichiarano e mettono in comune problemi che angustiano. Si comprende se c’è qualcosa che non va.

I figli leggono sul volto dei genitori nel tono della voce il ‘meteo’ familiare. Li sentono come comandanti nella navigazione quotidiana o come marinai in balia delle onde, … che non sanno dove andare.

E’ anche il momento per aprirsi sul mondo, per ricordarsi di coloro cui vogliamo bene o che ci fanno soffrire, di chi non ha cibo o affetti. E’ il momento della solidarietà.

Se non impariamo in famiglia il linguaggio del mangiare come possiamo sperare di comprendere cosa sia l’eucarestia?

Gesù ha trasfigurato il pane e il vino. Li ha trasformati nel suo corpo. Per i credenti ogni pasto ricorda l’eucarestia, l’eucarestia rimanda al pasto familiare.

Ci si dovrebbe alzare da tavola ogni volta  con la consapevolezza di aver fatto un altro passo verso la comunione, verso la festa promessa come destino finale dell’uomo.

 

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