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Non bastano le bombe

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di Giuseppe Savagnone

 

   Alcuni commentatori hanno individuato nel persistere delle religioni la causa della violenza che, ancora una volta, ha colpito la Francia per mano di cittadini francesi, anche se di origine araba. Eppure dovrebbe far riflettere il fatto che proprio il modello di laicità “alla francese” costituisce, con la sua rigorosa esclusione dei simboli religiosi dalla spazio pubblico,   l’esempio  più coerente di separazione tra la sfera civile e quella delle diverse fedi. I risultati non sembrano esaltanti. E non solo perché evidenziano il fallimento di uno Stato sostanzialmente laicista nel favorire  un vero dialogo con i suoi cittadini, ma anche perché anche la reazione a questo attacco del fanatismo islamico rivela la debolezza di fondo che sta dietro di essa.

   Per quanto riguarda il primo punto, può essere utile ricordare che la linea adottata dalla Francia in occasione della “questione del velo” è stata quella di negare rilevanza pubblica alle diversità culturali e religiose presenti sul suo territorio. Esse non vengono perseguitate né vietate, ma devono rimanere confinate nella sfera privata.  Una soluzione evidentemente in contrasto con le aspirazioni delle religioni, se è vero che nessuna di esse ha  mai avuto di mira solo una intimistica esperienza spirituale dei singoli, ma tutte hanno sempre in qualche modo, sia pure in forme diverse, aspirato ad incidere sulla vita della società. Assumendo la cittadinanza come unica possibile identità delle persone, lo Stato francese ha realizzato una laicità escludente, invece che inclusiva,  e ha messo ai margini le voci delle diverse comunità spirituali che avrebbero potuto e dovuto dialogare con esso e tra di loro, arricchendo il confronto pubblico con le rispettive tradizioni. 

   A questo vuoto comunitario ha fatto riscontro una logica individualista e classista che ha emarginato i soggetti socialmente ed economicamente più deboli, tra cui molti figli degli immigrati, determinandone  il risentimento. I disordini che nel 2005 hanno visto insorgere le periferie parigine ne sono state un segnale eloquente. E forse non è un caso che da queste stesse periferie provenisse almeno uno   dei terroristi del Bataclan.

 Può essere emblematico del collegamento tra laicità escludente ed emarginazione sociale il fatto che la commissione incaricata, nel luglio del 2003, di studiare il problema, nella sua relazione finale  – che fu la base per la “legge sul velo” emanata l’anno successivo – , abbia scritto: «La laicità, pietra angolare del patto repubblicano, si fonda su tre valori indissociabili: libertà di coscienza, uguaglianza davanti alla legge delle opzioni spirituali e religiose, neutralità del potere politico».  Ma i valori della rivoluzione francese erano liberté, egalitè e fraternité, non neutralité! E una libertà ed un’eguaglianza che si sviluppano all’insegna della asettica neutralità dello Stato liberale, invece che nell’orizzonte della fraternità solidale, da un lato rifiuta di prendere atto delle diversità culturali e religiose, dall’altro non favorisce certo la responsabilità verso gli ultimi e l’integrazione sociale delle minoranze.  

   Anche la reazione del governo francese alla terribile strage perpetrata dai fanatici musulmani  risente di questo stesso vuoto spirituale di fondo. La tempesta di bombe e di missili sulla capitale dell’Isis, ammesso che davvero stia colpendo solo bersagli militari, e non invece anche i poveri civili, rivela una segreta impotenza che non deriva solo e principalmente dalla strategia del terrorismo, ma  ha le sue ragioni remote nella mancanza di radici a cui il distacco dalla tradizione cristiana ha condannato la Francia e – in parte per suo impulso –  l’Europa. Non sarà moltiplicando le azioni militari che l’Occidente ritroverà la sua anima. Ed è di questa che oggi si sente terribilmente la mancanza di fronte a un mondo islamico che, anche se spesso in modo strumentale, esibisce le sue certezze fondamentaliste.

    Una formula diversa di laicità può essere quella proposta dall’Italia. I funerali di Stato di  Valeria Solesin, la ragazza veneziana uccisa al Bataclan, ne sono stati un esempio. Erano stati annunciati come “laici”. Ma in essi si è fatto spazio alle tre grandi religioni monoteiste presenti sul nostro territorio, ebraismo, cristianesimo, islamismo, che si sono ritrovate affratellate tra loro e con la comunità civile e politica dal comune rifiuto di ogni forma di violenza esercitata, fallacemente, in nome di Dio. Il padre di Valeria ha ringraziato i loro rappresentanti per la loro presenza. Hanno parlato, nello stesso spazio pubblico,  il presidente della Repubblica Mattarella, il patriarca di Venezia mons. Moraglia, l’imam di Venezia Hamad Al Mohamad, il presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche italiane, Renzo Gattegna.

   Per sconfiggere il fanatismo bisogna riscoprire la fraternità. E si è fratelli non malgrado, ma grazie alle proprie diversità. Azzerarle in una vuota neutralità significa consegnarsi alla violenza di chi un volto ce l’ha, anche se è quello di un cieco assassino. E credere di batterlo con le bombe è un’illusione. 

 

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