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Affettività e scuola: una storia, molte voci.

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di Magda Pitrè

 

Nei contesti educativi come quello scolastico capita sovente di avere a che fare, nella posizione di adulti educatori (insegnanti, presidi, genitori) con bambini e adolescenti che mettono in atto comportamenti più o meno violenti nei confronti dei pari o dell’adulto. Dai racconti dell’adulto che osserva sembra che i bambini, gli adolescenti di fronte ai tentativi di comprensione proposti ( e, forse, talvolta imposti) mostrino dei comportamenti definibili come “incuranti”, “strafottenti”. Gli effetti di tali situazioni sull’adulto possono essere molteplici e rimandano, ad esempio, alla paralisi (“Non so cosa fare”), all’impotenza (“Non posso fare niente nella mia posizione” “Non c’è niente da fare”), alla delega (“Non è compito mio”, ”Non ho gli strumenti”), all’accusa(”questi ragazzi sono dei buoni a nulla, non capiscono, sono delinquenti”).

I casi che fanno più rumore, poi, trovano voce anche sui mezzi di informazione: le storie raccontano di bambini o adolescenti criminali che, davanti agli operatori (giudici, psicologi, psichiatri e quant’altro) incaricati dalla società di fornire aiuto e sostegno, sembrano ottusi. In altre parole si ha l’impressione che non gliene importi niente se sono in galera, se devono affrontare un processo, rispondere dei reati commessi.

Le storie riferite, pur differenti per ordine di gravità, rimandano ad una dimensione centrale nel processo di sviluppo di ciascun individuo: l’affettività.

L’affettività costituisce un ambito molto complesso che ha a che fare con la relazione con l’altro, con il processo di riconoscimento dell’altro, con il regolare le distanze e le vicinanze. Il linguaggio dell’affettività è ricco di sfumature: esso, spesso, non rientra nel bagaglio di competenze del bambino, dell’adolescente ma anche dell’adulto. Così, per essere anche forse un po’ banali, riconoscere un’emozione, descriverla con le parole, comunicarla agli altri e connetterla con le situazioni contingenti appaiono passaggi non scontati nella vita di tutti i giorni.

Quali sono i luoghi d’elezione per osservare e mettere in atto delle azioni che diano centralità alla dimensione affettiva?

La scuola, tra gli altri, costituisce, un luogo privilegiato divenendo, ad un tempo, luogo di azione possibile per la rilevazione dei disagi che riguardano l’area affettiva e per promuovere il cambiamento. Il livello sociale e culturale trovano nella scuola uno spazio di intreccio: è in esso, inoltre, che si tracciano le molteplici direzioni per la costruzione del sé, dei valori, degli affetti.

Se si pensa alla classe come un micro-universo in relazione, la storia di questo micro-universo, in tale visione, apparirà scandita dalle emozioni di ciascuno: esse scorrono all’interno della vita di questa piccola comunità umana, orientando il modo con cui ogni membro si posiziona rispetto all’altro, dà significato alla relazione con l’altro, adulto o pari, si confronta con la propria storia. In altre parole, il contesto scolastico è un luogo dove ci si confronta con i limiti, ovvero con le regole e si costruisce, per chi vi è dentro, il senso di responsabilità, della scelta.

Per queste ragioni, primo passo per un lavoro con i bambini e gli adolescenti verso una maggiore consapevolezza di sé e degli altri e verso l’acquisizione di responsabilità è assumere una prospettiva della relazione anche nel contesto scolastico. Quindi porre anche se stessi, come adulti, nel micro- universo di senso che è la scuola.

Parlare di affettività richiama sistemi di valori, vissuti emotivi, comportamenti. Appare utile come adulto interrogarsi su quale sia il filo che connette comportamenti, pensieri, emozioni, affetti del bambino e ad un tempo quale sia il filo che connette la storia dell’adulto, insegnante, preside, etc. alla storia di quel preciso ragazzo.

Assumere questa posizione può favorire quello che dovrebbe costituire il primo passo di un intervento ovvero il riconoscere quello che sta succedendo e provare a dargli un nome.

Definire l’alunno come un piccolo criminale oppure come una persona che non sa come entrare in relazione con i compagni può fare la differenza!

Ciascuna situazione può attivare emozioni differenti in persone differenti. Così un episodio che a qualcuno dei ragazzi di una classe può sembrare banale ad un altro può scatenare rabbia o violenza.

Tradurre in parole queste azioni, qualificabili come sopruso, prevaricazione, risulta un compito molto difficile ma appare una strada utile per dare voce ad una dimensione, quella affettiva, che spesso non ha voce, per costruire delle parole in un universo che spesso non ha parole, insomma per costruire insieme all’altro un senso che può aprire nuovi scenari, alternativi alla violenza.

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