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Perché io non sono Charlie

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di Giuseppe Savagnone

 

Ora che l’emozione per la spaventosa  strage di Parigi comincia a lasciare il posto a una più meditata presa di posizione – guai se a subentrare fossero l’oblìo e l’indifferenza! – posso azzardarmi a dire ciò che fin dal primo momento mi ha colpito nei giorni successivi a questa terribile vicenda, senza rischiare (almeno lo spero) fraintendimenti.

La prima cosa è il fatto che, in questa nostra vecchia Europa,  la fede religiosa non è venuta meno, né è stata sostituita del tutto da un cinico utilitarismo, come hanno spesso sostenuto degli osservatori che usavano come unico parametro le religioni tradizionali. La reazione unanime di intensa commozione collettiva che, senza eccezioni, ha fatto seguito al massacro dei giornalisti di «Charlie Ebdo», propagandosi nelle case, per le strade, negli uffici, perfino negli stadi di calcio, non parla soltanto di una umana solidarietà per le vittime, ma soprattutto di una fede diffusa e profonda in ciò che esse rappresentavano agli occhi della gente: la libertà. La divinità delle Chiese sono tramontate, ma la sete di assoluto che c’è nel cuore umano non ha cessato  di cercare nuovi oggetti di culto, e ne ha trovato almeno uno in cui vale la pena di credere. Le manifestazioni di massa, i cori scanditi, i simboli con scritto «Je suis Charlie», non avevano scopi utilitaristici di alcun genere, erano delle vere e proprie liturgie.

La seconda cosa che mi ha colpito è la forza indiscutibile di questa fede. Se mai qualche valore assoluto è stato creduto da esseri umani, al di là di ogni giustificazione razionale, al di là di ogni possibile discussione, quello della libertà ne è stato, in questi giorni, un perfetto esempio. Ogni perplessità, ogni riserva, ogni critica, sarebbero state sentite dai suoi fedeli come un insopportabile sacrilegio. Con lo strano risultato che si sono viste e sentite persone che, in suo nome, gridavano slogan contro tutti i dogmi, senza sospettare che l’oggetto della loro certezza era uno di essi.

La terza cosa che mi ha colpito è che questa libertà è stata identificata con la laicità. Intendiamoci: sono anch’io convinto dell’importanza di una chiara distinzione tra l’ambito religioso e quello culturale-politico. Ma qui si intendeva per “laicità” qualcosa di diverso, uno stile di vita che prescinda interamente dal Dio delle fedi tradizionali, un’emancipazione dalla loro influenza sulla vita delle persone e delle società, una loro liquidazione, in nome di un’autonomia illimitata considerata come una conquista. La religione della libertà è rigorosamente monoteista e non ammette la concorrenza di altre divinità.

Si collega a questa la quarta cosa che mi ha colpito, e cioè la totale indifferenza nei riguardi di ciò che questa libertà colpisce e distrugge. Avete mai visto una vignetta di Charlie Ebdo? I loro autori erano specializzati nel deridere, nel modo più volgare e provocatorio, le fedi altrui. Ne ho avuto sotto gli occhi una con la Trinità cristiana rappresentata sotto forma di un amplesso sessuale a tre, con organi genitali bene in vista e nell’atto della penetrazione reciproca. Devo dire che non solo non mi ha fatto ridere, ma mi ha spinto a domandarmi chi – credente o meno – potesse divertirsi davanti a quelle immagini oscene. Una critica? Se c’era – ma ne dubito – era mascherata dall’insulto. Noi cristiani non spariamo a chi ci dà uno schiaffo, porgiamo l’altra guancia. Ma non posso non pensare che è ben misera una libertà che si esercita facendo violenza alla sensibilità degli altri.

Queste considerazioni, ovviamente non diminuiscono di un grammo il peso della mia condanna per chi ha risposto a questa violenza con una immensamente più grande. E neppure mirano a sostenere la tesi di coloro che stanno cogliendo l’occasione per invocare strumentalmente restrizioni alla libertà di espressione o di movimento. Il problema, a mio avviso, non è che di libertà ce n’è troppa, ma che, al contrario, ce n’è troppo poca. Ridotta alla pura e semplice autonomia, essa diventa autoreferenziale e diventa un idolo, un buco nero. Dobbiamo riscoprire che essa ha il suo significato nell’andare verso ciò che la supera – gli altri esseri umani, la verità, il bene, forse Dio… – e che diventa veramente piena solo quando non si appaga di se stessa. Una libertà che si crede tale solo quando distrugge con una risata ciò che non è lei stessa non mi basta, anzi mi fa paura. Per questo io, pur portando il dolore per i morti, non sono Charlie.

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