Le false narrazioni su Israele

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Nella logica pluralista di Tuttavia.eu, la Redazione segnala il testo di Pasquale Hamel con una posizione alternativa al penultimo Chiaroscuro pubblicato:

L’idea che circola nell’opinione pubblica, un’idea che ha trovato troppo spesso sostegno anche in quel mondo progressista sedicente sensibile ai diritti umanitari, è che Israele, lo Stato ebraico, considerato entità istituzionale abusiva, si sia appropriato, con mezzi tutt’altro che pacifici, della cosiddetta Palestina cacciandone con metodi brutali – si usa perfino il termine “pulizia etnica” – coloro che per millenni e fino ad allora pacificamente l’avevano abitata.

Un’idea che si nutre di luoghi comuni peraltro alimentati dai pregiudizi ideologici, ma che tuttavia non fa i conti con la storia con la “S” maiuscola.

Proprio per rispetto alla storia mi è parso, dunque, opportuno ristabilire in un certo qual modo la verità offrendo qualche elemento di riflessione. Cominciamo col dire che quelle terre le comunità ebraiche non le hanno affatto rubate o abusivamente occupate, ma sono state regolarmente acquistate, frutto dunque di compravendite dai cosiddetti legittimi possessori, cioè gli effendi arabi per lo più assenteisti.

Per la cronaca l’acquisto avvenne a prezzi stratosferici, si parla di 1000-1500 dollari ad acro in un tempo in cui un acro nel fertilissimo Yowa lo si poteva avere con 110 dollari. Bisogna pure dire che quelle terre erano aride pietraie sulle quali qualche pastore, ma erano molto pochi, pascolava delle misere greggi.

Acquisite quelle terre con regolari contratti, i nuovi proprietari non cacciarono affatto coloro che le occupavano ma, al contrario, li invitarono a restare offrendo delle opportunità di lavoro molto più interessanti rispetto a quelle nelle quali erano stati fino ad allora impegnati.

Innegabile che in queste operazioni ci siano stati anche problemi e qualche deprecabile abuso, ma ingenerare la convinzione di un’aberrante operazione di “pulizia etnica” falsifica la realtà dei fatti. Semmai, ma su questo punto si tace, furono proprio i potentati arabi a sollecitare l’abbandono di quelle terre e delle relative città da parte delle popolazioni islamiche.

Tanto per esemplificare, si può ricordare il caso della città di Haifa dove risiedevano nel ’48 ben 62.000 islamici che si ridussero a 6.000 dopo l’ordine perentorio dell’AHC, Alto comando arabo, di abbondonare le loro case e tutto quanto era in loro possesso. Numerosissime testimonianze dei maggiorenti Arabi confermano questo assunto e, per non tediare il lettore, ne cito una per tutti, si tratta di quella resa da Haled al Azm, primo ministro siriano dell’epoca, il quale scrisse nelle sue memorie “siamo stati proprio noi ad incoraggiarli ad andarsene”.

E parlando di insediamenti abusivi in una realtà territoriale abitata da Arabi, un pensiero va a Gerusalemme descritta da fonti interessate, come città araba prima dell’annessione allo Stato ebraico. Partiamo dal 1876 e troviamo una situazione demografica che vede al primo posto gli ebrei con 12.000 presenze, poi gli islamici con 7.500 presenze ed infine gli arabo-cristiani che ammontavano all’incirca a 5.500.

Ventanni dopo, nel 1905 gli ebrei sono già 40.000, gli islamici scendono a 7.000 mentre gli arabo-cristiani raggiungono le tredicimila unità. Altri 25 anni dopo, siamo nel 1931, gli ebrei sono 50.000, gli islamici 20.000, gli arabo-cristiani restano fermi a 13.000. E arriviamo al fatidico ’48 che vede gli ebrei superare la soglia delle centomila presenze, gli islamici che raggiungono quota 40.000 e mentre ripigliano a crescere gli arabo-cristiani che raggiungono le 25.000.

Dati che vanno interpretati per essere compresi. La crescita di arabi islamici e cristiani non è infatti il risultato di un boom demografico ma di un’immigrazione dai vicini paesi arabi, il che significa che non solo immigrano gli ebrei ma anche gli arabi.

C’è anche da chiedersi da dove arrivino gli ebrei. Ebbene, oltre che dall’Europa gli ebrei arrivano soprattutto dai paesi arabi o islamici in genere, un dato statistico fa ammontare a oltre 850.000 ebrei costretti a lasciare paesi islamici dove alla metà del secolo scorso ne restano appena 3.000. Andiamo ora all’accusa di Israele guerrafondaio. Le guerre che hanno infiammato l’area, guerre mai provocate da Israele, sono state volute e promosse dai paesi Arabi.

Cominciamo da quella del ’48 condotta da una coalizione di stati impressionante che andava dall’Egitto alla Siria, dalla Giordania all’Iraq etc etc. L’aggressione araba, pare coordinata da personale militare inglese, fu respinta grazie all’abnegazione di ciascuno ebreo, uomini e donne, vecchi e giovani che presero le armi per respingere l’assalto.

Un ruolo impostante lo ebbero anche le formazioni paramilitari come l’Hagana. Quella guerra ebbe una conseguenza gravissima fece saltare, e non certo per colpa di Israele, la possibilità di dare vita ad uno Stato palestinese così com’era previsto nella risoluzione delle Nazioni Unite che autorizzava la nascita di Israele.

Alla guerra del ’48 ne seguirono altre, sempre su iniziativa araba: quella del 1956 – nella quale l’URSS, denunciando la solidarietà con gli ebrei, si schierò apertamente con gli Arabi inviando materiale militare – guerra che, secondo Salah-al Din doveva cancellare Israele dal Medioriente, l’azione militare fu preceduta dai cosiddetti tre “No” di Khartum (niente pace con Israele, niente negoziati con Israele, niente riconoscimento di Israele).

Gli Arabi ritentarono l’aggressione nel 1973, aggressione meglio ricordata come la guerra dello Yom Kippur, nel corso della quale gli arabi montarono la balla, smentita da una dichiarazione ufficiale di Amnesty international, sul trattamento disumano dei prigionieri. Quella precedette l’attuale risale al 2006, si trattava della cosiddetta operazione “Cambio di direzione”. Si tratta dell’unica guerra intrapresa per iniziativa di Israele e fu una risposta ai continui attacchi degli Hezbollah che mietevano vittime e provocavano distruzioni.

Altro dunque che guerrafondai, semmai si potrebbe dire che non hanno, cristianamente, offerto l’altra guancia ad un nemico feroce e irriducibile che continuava ad aggredirli. Un’altra fake corrente è quella dell’apartheid, cioè che gli arabi residenti nel territorio israeliano vengano discriminati.

Cominciamo col dire che i cittadini israeliani, secondo il dettato di Ben Gurion al momento della fondazione dello Stato di Israele, godono tutti degli stessi diritti, che nella Knesset, il parlamento d’Israele, c’è anche una rappresentanza araba che, in molte occasioni, ha fatto sentire la sua voce senza timore d’essere soffocata.

Aggiungiamo la rigorosa garanzia della libertà di culto, le moschee e i luoghi sacri degli islamici sono tutelati e gli occasionali abusi, dovuti a minoranze fanatiche, sono severamente represse. Concludiamo dicendo che gli arabi con cittadinanza israeliana, sono gelosi d’essere appunto cittadini di uno Stato democratico che, oltretutto garantisce condizioni di vita inimmaginabili per gli arabi che vivono in altri stati del vicino oriente e dell’Africa islamica.

Un’ultima fake è quella relativa all’esistenza di un’identità palestinese e dei diritti di un popolo espropriato della sua storia. Una fake che rende necessario un lungo discorso che potremo affrontare in un successivo

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