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70 anni di Costituzione. 70 anni (o quasi) di revisioni riuscite o fallite

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By Holapaco77 (Own work) (ritaglio) [CC BY-SA 4.0], via Wikimedia Commons
By Holapaco77 (Own work) (ritaglio) [CC BY-SA 4.0], via Wikimedia Commons

Con queste poche righe, continua il nostro cammino fra le trame della Costituzione italiana, della quale – come detto nel primo post del piccolo ciclo che si propone – stiamo festeggiando i primi 70 anni di storia. In questa occasione, si intende appuntare l’attenzione sulle principali riforme che hanno interessato la Carta, fino a consegnarla a tutti noi così come oggi la leggiamo. Non è possibile certamente analizzare ogni singolo intervento di revisione del dettato costituzionale dal 1948 ad oggi ed anche i richiami che si faranno non possono che essere nello stile di un post e quindi privi di particolare approfondimento ed a scopo meramente divulgativo.

Preliminarmente occorre precisare che se è vero che una Costituzione è redatta per “durare” nel tempo e porre i principi e le regole che possano consentire una ordinata e pacifica convivenza ad un gruppo sociale organizzato è anche vero che essa non può essere immutabile, dovendosi anche aggiornare e modellare alla luce dell’evoluzione sociale, degli interessi e delle esigenze che con il trascorrere degli anni possono emergere all’interno dell’ordinamento. La procedura di revisione costituzionale disciplinata dall’art. 138 Cost. prevede una doppia deliberazione da parte di entrambe le camere, a distanza non minore di tre mesi e a maggioranza assoluta nella seconda votazione; è prevista, com’è noto, la possibilità di ricorrere al referendum, salvo nel caso in cui la legge sia stata approvata con la maggioranza dei 2/3 nella seconda votazione. La revisione, poi, incontra i limiti di cui si è detto nel post precedente, al quale si rimanda. Senza potermi dilungare sul punto, è opportuno osservare che la procedura ora accennata era stata pensata in un periodo storico nel quale il sistema politico-partitico era tale che la revisione della Costituzione non sarebbe potuta avvenire “a colpi di maggioranza”, ossia senza la partecipazione anche delle forze di opposizione. Come si sa, però, il quadro è molto cambiato negli anni; si ricordi come si è avuta la riforma del Titolo V o si pensi a taluni tentativi della storia recente che sono falliti solo per l’opposizione dei cittadini in sede referendaria (a breve, si tornerà sul punto). Ci si è ripetutamente chiesti, infatti, se l’art. 138 Cost. sia ancora in grado di svolgere la funzione per la quale era stato pensato dal Costituente e non sia invece il caso di modificare anch’esso; a questo punto, però, si pone un problema cruciale, sul quale si dibatte in dottrina, e cioè se la previsione costituzionale in parola sia a sua volta revisionabile. Su questo punto, di particolare interesse ed anche complessità teorica, non è possibile soffermarsi. Inoltre, in tempi recenti, non è mancato chi, tra i giuristi, ha rilevato che l’art. 138 Cost. non consenta riforme (da intendere come ampie modifiche della Carta), ma solo revisioni, ossia interventi di natura più circoscritta; a questo proposito, a prescindere dalle intenzioni originarie del Costituente che sarebbero da indagare, ciò che è certo è che la previsione costituzionale in discorso nulla dice al riguardo e, pertanto, ogni considerazione in merito rischia di scadere nel campo della faziosità e della demagogia.

Si ha l’impressione che i “moti riformatori” non si siano mai di fatto arrestati nel corso della storia repubblicana; quali “fiumi carsici”, essi scorrono nel sottosuolo delle dinamiche ordinamentali per poi di tanto in tanto riemergere con “alterne fortune”: in alcuni casi rimangono meri tentativi di revisione, in altri casi riescono a produrre modifiche della Carta. Tra le tante novità apportate al dettato costituzionale fino ad oggi, non si può fare a meno di ricordare quella che nel 1963, con la legge n. 2, ha equiparato la durata delle due Camere (5 anni). Nel 1993, con legge cost. n. 3, si è avuta un’importante modifica dell’art. 68 Cost., con la quale è stata abolita la c.d. “autorizzazione a procedere” nei confronti dei parlamentari; per sottoporre a giudizio questi ultimi era infatti necessario, sempre e comunque, il “benestare” della Camera di appartenenza, la quale spesso non lo concedeva, “blindando” i propri componenti e garantendone l’immunità. In questo modo, si creava un vulnus sul piano della giustizia e un insopportabile sacrificio del diritto di difesa della controparte (art. 24 Cost.). Si ricorderà poi la revisione dell’art. 111 Cost., nel quale sono stati inseriti i primi cinque commi; con l’art. 1 della legge n. 2 del 1999, sono state infatti introdotte le norme sul c.d. “giusto processo”, compreso il principio del contraddittorio e della ragionevole durata.

Nel 2000, con l’art. 1 della legge n. 1, si è avuta una modifica dell’art. 48, III comma, Cost., prevedendo in esso la disciplina del diritto di voto dei cittadini all’estero e garantendone al tempo stesso l’effettività (in questa occasione è stata istituita la circoscrizione Estero).

Con la legge n. 3 del 2001 vi è stata la nota riforma del Titolo V della Costituzione, con la quale si è intervenuto su molti articoli della Carta e segnatamente: 114, 115, 116, 117, 118, 119, 120, 123, 124, 125, 127, 128, 129, 130, 132. Non potendo scendere nel dettaglio, si può solo ricordare come la ratio della riforma fosse quella di valorizzare maggiormente le autonomie locali, provando a realizzare (e ad importare) un sistema di stampo federalista; si è cercato infatti di avvicinare, in particolare, le posizioni di Stato e Regioni, senza trascurare gli enti “minori”. Non a caso, a norma dell’art. 114 Cost., come modificato dalla revisione in discorso, la Repubblica è “costituita” dall’insieme di Comuni, Province (ora, di fatto, “svuotate” di competenze), Città metropolitane, Regioni e Stato; tutti gli enti, come si può notare, appaiono posti su un medesimo piano.

Degno di nota appare anche l’intervento operato al I comma dell’art. 51 Cost., nel quale è stato inserito un secondo periodo volto a dare effettività al principio di pari opportunità tra uomini e donne nell’accesso “agli uffici pubblici e alle cariche elettive”, sancito al primo periodo dello stesso comma; si tratta dell’art. 1 della legge cost. n. 1 del 2003.

Assai importante è stata poi la revisione dell’art 27, IV comma, Cost.; in origine, esso prevedeva che la pena di morte non era ammessa “se non nei casi previsti dalle leggi militari di guerra”; con un atto di grande civiltà giuridica, arrivato – si consenta questa considerazione – troppo tardi, con l’art. 1 della legge cost. n. 1 del 2007, è stato finalmente sancito il divieto assoluto della pena capitale, senza eccezioni di sorta.

In tempi più recenti, si è avuta – come si ricorderà – la modifica dell’art. 81 Cost.; con l’art. 1 della legge cost. n. 1 del 2012 è stato introdotto nella Carta il c.d. “principio del pareggio di bilancio”, in conformità alle spinte che provenivano dall’UE (con tale intervento vi sono state modifiche anche negli artt. 96, 117 e 119).

Prima di concludere, non si possono dimenticare i diversi tentativi di revisionare la Costituzione che sono falliti e che hanno riguardato la II Parte di essa; tra questi, tutti ricorderanno la Commissione De Mita-Iotti, il cui progetto di revisione venne travolto dallo scioglimento anticipato delle Camere del 1994. Qualche anno dopo, si provò nuovamente a modificare la Carta, con la nota Commissione bicamerale D’Alema; anche in questo caso il progetto di riforma che si riuscì ad elaborare non ebbe seguito. In tempi più recenti, degno di nota è il tentativo operato dalle forze politiche di centro-destra nel 2006 che venne bocciato dal referendum del 25 e del 26 giugno, con il 61% di pareri contrari (tra i molti altri, cfr. S. Panizza, Il procedimento di revisione costituzionale, in www.dirittifondamentali.it, 1/2014). Infine, giungendo ai nostri giorni, il 4 dicembre 2016 siamo stati chiamati ancora una volta ad esprimere la nostra preferenza in merito alla riforma fortemente voluta dal Governo e sostenuta dall’anomala maggioranza “bipartisan” che lo sosteneva; anche in questo caso, i “NO” hanno avuto la meglio (quasi il 60%).

Non sappiamo cosa ci riserverà il futuro, ma è certo che se è vero che non bisogna avere rigide e aprioristiche chiusure verso le revisioni della Carta è anche vero che non bisogna cadere nell’errore, nel quale le forze politiche di turno ciclicamente incappano, di credere che la Costituzione sia da cambiare a tutti costi. Come al solito, in medio stat virtus.

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