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UNA FONDAMENTALE RIFORMA: LA RIFORMA DI VITA

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 di

Nicolò Rosario Lombardo

1. Premessa

 

       Nella nostra epoca, si invocano le riforme, ma sembra che pochi siano disponibili ad attuare una riforma essenziale e fondamentale: la riforma di vita.

       Eppure, in un mondo che cambia rapidamente, in un tempo in cui il terrorismo del presente tenta di annientare la speranza nel futuro, la sfida della riforma di vita appare quanto mai delicata e improcrastinabile. La sfida, cioè, di ripartire dall’uomo: di affinare gli strumenti attraverso i quali il singolo possa assumersi responsabilmente il compito della propria esistenza, rispondendo al proprio «fondamento esistenziale» non secondo i modi vaghi e stereotipati del conformismo e del totalitarismo, bensì secondo una progettualità creativa e personalizzata. Essere liberi e responsabili, del resto, vuol dire poter vivere, pensare, amare, morire in proprio, e non come «si» vive o «si» pensa o «si» ama o «si» muore. In tal modo, la riforma di vita dovrebbe portare a imparare a pensare, giudicare, decidere, esistere a partire da sé, in un progetto di autenticità.

 

 

2. Una riforma a partire dallo spirituale

 

L’esigenza di una riforma di vita si presenta in modo nuovo nella nostra civiltà caratterizzata dall’industrializzazione, dall’urbanizzazione, dal profitto, dalla supremazia del quantitativo. L’aspirazione contemporanea a un’arte di vivere è innanzitutto una sana reazione ai mali della nostra civiltà, alla meccanizzazione della vita, all’iperspecializzazione, alla cronometrizzazione, all’applicazione della logica calcolatrice e determinista alla vita degli individui. La generalizzazione di un malessere, anche all’interno del benessere materiale, provoca come reazione un bisogno di pace interiore, di pienezza, di appagamento, cioè di aspirazione alla “vita vera”.

       La domanda di spiritualità (si utilizza questo termine, in mancanza di uno migliore, per distinguere rispetto alla materialità e al profitto) si infiltra un po’ ovunque nella nostra società. Più noi manchiamo di una dimensione interiore, più la logica della macchina artificiale ci invade e ci opprime, più ci infesta il mondo quantitativo del “sempre di più”, e più ciò che ci manca diventa bisogno: la pace dell’animo, il rilassamento, la riflessione, la ricerca di un’altra vita che risponda a ciò che al nostro interno è oppresso e soffocato.

       La riforma di vita propone di andare oltre lo spirito del successo, della competizione, non per annichilirlo, ma per rivolgerlo verso attività ludiche, come lo sport, e per regolarlo con lo sviluppo di autentici valori.

       La riforma di vita non potrebbe che ridurre la potenza del denaro e del profitto. Farebbe riscoprire ciò che ognuno nel profondo sa, ma che è occultato da ciò che crede essere il “suo” interesse, mentre il suo vero interesse consiste nella fioritura, cioè nella realizzazione delle sue potenzialità.

Poiché il benessere materiale può secernere malessere, la riforma di vita deve essere animata dall’aspirazione al vivere-bene.

La riforma di vita ci porterà a volerci liberare dai vincoli e dagli obblighi esterni, come dalle intossicazioni della nostra civiltà; ci porterà a esprimere le ricche virtualità intrinseche a tutti gli esseri umani; ci inciterà a vivere poeticamente.

Ci spingerà a evitare gli stress che ci provocano i vincoli legati al tempo, la fretta, la precipitazione, le impazienze, i risentimenti, le irritazioni di ogni tipo, a ritrovare i nostri ritmi vitali, a rallentare.

Si dovrebbe “vivere la propria vita, invece di correrle appresso”. Sul nostro pianeta, lanciato in una corsa a una velocità folle, la riforma di vita propone un rallentamento generalizzato. Allora, riducendo i tempi spezzettati dei cronometri, ritroveremo il filo del tempo interiore.

Nella ricerca dello spirituale, ci è di aiuto la filosofia. Per lunghissimo tempo la cuspide della filosofia era stata la metafisica. Poi diventò la critica, poi le si affiancò l’estetica. Infine, dalla fine del Novecento a questi primi anni del Secolo XXI, la nuova cuspide è diventata l’etica, con la ricerca del bene e della felicità, con l’analisi della nostra esistenza orientata ad un senso.

L’uomo non può vivere neppure un istante senza l’invenzione consolatoria di un senso, senza una cometa che gli indichi un percorso, senza un tema che organizzi l’affollarsi altrimenti disordinato dei pensieri.

Infatti, se c’è qualcosa che accomuna gli esseri umani di ogni luogo e di ogni epoca, è la loro esigenza innata e insopprimibile di trovare un senso alla vita; e se c’è una sofferenza che dilaga tra gli uomini e le donne del nostro tempo, giovani e meno giovani, è la sistematica frustrazione di questo desiderio, la maggiore difficoltà rispetto al passato di trovare un significato all’esistenza.

A questo punto, occorre sottolineare che i processi di maturazione globale della persona sono strettamente connessi a quelli della maturazione religiosa.

E’ a partire dal Medio Evo cristiano che la ricerca di senso si è fatta sempre più problematica. Liberato dalle tradizioni e dal peso di una fede obbligata, l’uomo cominciò lentamente a porsi il problema della sua identità personale, della sua collocazione nel processo storico e del significato che le sue azioni assumevano per il vivere quotidiano.

Lo smarrimento del senso comune appare, in forme sconvolgenti e sempre più preoccupanti, con la riemersione, ai nostri giorni, di atteggiamenti irrazionali, con il crollo dei valori come criteri guida dell’azione, con l’acuirsi di situazioni problematiche come l’aggressività, il suicidio, la tossicodipendenza. Ed ecco che le domande fondamentali della vita tornano a galla con un’insistenza sconvolgente: «Chi sono io? Chi è l’uomo? Perché vivo? Cos’è giusto e cos’è ingiusto?». A esse la razionalità scientifica non riesce, ovviamente, a dare alcuna risposta soddisfacente. Eppure, esse contengono un carattere indilazionabile e richiedono, perciò, una risposta urgente, particolarmente in quella fase della vita, che è l’adolescenza, nella quale ci si proietta verso il futuro e si gettano in forma più decisa le basi per un progetto di vita futuro.

Il ruolo dell’educatore acquista, in tal modo, una centralità assoluta e l’atteggiamento di ricerca – che esclude qualsiasi imposizione – rimanda indubitabilmente al dialogo e alla coerenza personale, oltre che alla condivisione e al rispetto dei personali ritmi di maturazione. Educatore e educando si trovano, in tal modo, rivolti contemporaneamente verso l’individuazione di valori che vanno considerati non come delle mete già raggiunte, ma come orizzonti esistenziali verso i quali tendere sempre e con rinnovato impegno.

Giustamente Viktor E. Frankl ha scritto: «In un’epoca in cui i dieci comandamenti sembra stiano perdendo la loro validità incondizionata, l’uomo deve imparare a percepire i diecimila comandamenti che sorgono dalle diecimila situazioni uniche di cui è costellata la sua vita» (Senso e valori per l’esistenza, p. 78).

Fondamento di un cammino di educazione al senso della vita è la constatazione che l’uomo si fa tale solo nell’interazione con il tu di un’altra persona o con quello di Dio. La dialogicità, però, non esaurisce l’esperienza umana: l’io e il tu, infatti, sono anch’essi orientati verso altre mete da raggiungere, verso i valori. Ogni relazione chiusa in se stessa è destinata a perire. Il che vuol dire che l’autorealizzazione, di cui tanto si parla ai nostri giorni, non può essere lo scopo ultimo dell’uomo, poiché contraddice la fondamentale «autotrascendenza» dell’esistenza umana, laddove per «autotrascendenza», come si esprime Frankl, s’intende il fatto che «essere-uomo vuol dire essere sempre diretto verso qualcosa o verso qualcuno, offrirsi e dedicarsi pienamente a un lavoro, a una persona amata, a un amico cui si vuol bene, a Dio che si vuol servire. Tale autotrascendimento sorpassa di gran lunga una visione monadologistica dell’uomo, secondo la quale questi tenderebbe a valori e a significati che lo superano, e quindi non sarebbe orientato verso il mondo, ma sarebbe interessato esclusivamente a se stesso e quindi cercherebbe solo di conservare e di mantenere l’equilibrio interiore, secondo il principio dell’omeostasi» (Teoria e terapia delle nevrosi, p. 54).

Ciò vuol dire che solo nella misura in cui ci diamo, ci doniamo, ci mettiamo a disposizione del mondo, dei compiti e delle esigenze che a partire da esso ci interpellano nella nostra vita, nella misura in cui ciò che conta per noi è il mondo esteriore e i suoi oggetti, e non noi stessi e i nostri propri bisogni, nella misura in cui noi realizziamo dei compiti e rispondiamo a delle esigenze, nella misura in cui noi attuiamo dei valori, e realizziamo un significato, in questa misura solamente noi ci appagheremo e realizzeremo egualmente noi stessi.

Poi, in tempi di «eclissi del sacro», è opportuno tenere vivo il tema della trascendenza, la quale può essere avvertita e vissuta nella forma di «nostalgia del totalmente altro», o in quella dell’antica «inquietudine agostiniana», o nella forma moderna e romantica di sete di luce e di infinito, che riecheggia in qualche modo il Leopardi, o nella forma del pellegrino (homo viator di G. Marcel), cercatore di Dio, o del credente che ha sete di Dio.

 

3. Orientamenti per un cammino di educazione al senso della vita

 

Per appagare e realizzare noi stessi, è possibile delineare alcuni orientamenti per un vero cammino di educazione al senso della vita.

  1. 1.Educare allo spirito critico attraverso una ridefinizione delle regole della convivenza civile e

una coraggiosa presa di posizione nei confronti di situazioni particolarmente pressanti. Il conformismo, ad esempio, è favorito oggi da un senso di provvisorietà e da un crescente fatalismo che impedisce di prendere in mano il proprio destino. Ugualmente, si sta verificando un’adesione sempre più massiccia nelle frange giovanili a sistemi di pensiero totalitario che bandiscono la tolleranza e la responsabilità individuale, favorendo invece un atteggiamento di dogmatismo, di insofferenza alla diversità e di collettivismo spersonalizzante. Così come risulta preoccupante e deleterio quel fanatismo con il quale si idolatrano personaggi dello spettacolo, dello sport, dell’arte e ci si appropria del loro stile di vita, delle abitudini alimentari, delle forme di vestire e di muoversi.

  1. 2.L’uomo, però, più che essere libero dalle tentazioni del conformismo, del totalitarismo e del

fanatismo, è solo capace di libertà e diventa libero a mano a mano che accetta di intraprendere e di perseguire un cammino nel quale sono centrali la responsabilità e la scoperta dei valori. Purtroppo, però, la tendenza è quella di considerarlo come il semplice risultato di processi di condizionamento di vario tipo – struttura organica, ambiente socioculturale, educazione, scolarizzazione, ecc. – , con la conseguenza di confinare le dinamiche a livello di spontaneismo, di capriccio o di puro arbitrio, e di provocare la sopraffazione del forte sul debole e la distruzione dell’uomo stesso, oltre che della società.

  1. 3.Educare al senso della vita vuol dire, fondamentalmente, riconoscere la libertà non nel «fare

ciò che si vuole», ma nel «volere ciò che si deve fare», intendendo il «ciò che si deve fare» come un insieme di impegni e di compiti che la persona percepisce attraverso l’ascolto sistematico della sua coscienza, attraverso una lettura attenta della situazione in cui vive, attraverso un confronto coraggioso con gli altri. Giustamente, allora, a quello della libertà va collegato il concetto di responsabilità. Ecco perché, con un pizzico di umorismo, Frankl ha sempre consigliato ai suoi ascoltatori americani che «dopo aver costruito la Statua della Libertà sulla costa orientale degli Stati Uniti, sarebbe ora di costruire una statua della responsabilità sulla costa occidentale» (Senso e valori per l’esistenza, p. 63).

  1. 4.Educare al senso della vita vuol dire illuminare gli ambiti nei quali si snoda lentamente, e spesso intricatamene, la quotidianità: a) l’esperienza del lavoro e della formazione, con l’acquisizione di competenze che permettano di saper rispondere alle domande della professionalità, senza scivolare nella ricerca spasmodica del successo a ogni costo; b) l’esperienza dell’amore, dell’arte, della musica, della natura, con i relativi spazi di originalità e di intima soddisfazione; c) l’esperienza del limite fisico e dell’ineluttabilità e inevitabilità della conclusione della vita a volte in forme tragiche e sofferte, con la consapevolezza di un processo di maturazione e di purificazione non altrimenti percorribile.

 

 

4. Finalità della riforma personale di vita

 

Le finalità della riforma di vita potrebbero essere così enunciate:

 

  1. 1)Serenità-intensità

 

Occorre sostituire alla perniciosa alternanza depressione/eccitazione la coppia che combina, o alterna, serenità e intensità.

L’alternanza depressione/eccitazione procede non solo per cicli interni più o meno accentuati, ma anche per alternanze di contrattempi, contrarietà, stress, difficoltà e per stimolazioni diverse, come quelle dell’alcol, delle competizioni, dei giochi, dei divertimenti.

L’acquisizione della serenità e l’avvento dell’intensità richiedono un cammino educativo e/o auto educativo che comporta:

 

         l’umanizzazione delle nostre pulsioni e delle nostre emozioni, cioè la capacità di contenere irritazioni, rancori, risentimenti, collere ecc.;

         la capacità di prendersi in giro e anche la libertà di “fare il clown” (ciascuno ha in sé un clown che chiede solo di salire sulla scena);

         la dialogica permanente fra ragione e passione: una vita che ubbidisce a una ragione congelata perde la sua qualità; una passione senza controllo razionale diventa delirio; la difficile, e necessaria, arte di vivere comporta una navigazione permanente, aleatoria, come ogni arte, con il doppio comando antagonista della ragione e della passione;

         lo sviluppo dell’auto esame e dell’auto critica per conoscere se stessi e comprendere gli altri;

         la possibilità di forgiare la stima di sé attraverso i propri atti e il proprio comportamento;

         la preservazione di un tempo per la meditazione, sia nel senso occidentale del termine (riflessione approfondita e serena) sia nel senso orientale (fare il vuoto interiore, dimenticarsi di sé per meglio potersi ritrovare);

         l’alternanza sobrietà/feste: il ritorno alla sobrietà quotidiana deve accompagnarsi al ritorno agli eccessi e agli scoppi di giorni e notti di festa. La sobrietà guarisce dalla “febbre dell’acquisto”, ma non impedisce il fascino dell’acquisto. Lungi dal disprezzare la qualità degli alimenti, essa la ricerca. La sobrietà riveste un carattere edonista permettendo di ritrovare i piaceri delle papille, mentre l’intossicazione consumista ci rende schiavi di sapori artificiali e di desideri superflui. Il tempo della festa rompe le norme, le regole, dispensa ebrezza, effusioni, estasi ecc., e in quanto tale è un tempo d’esaltazione poetica.

La saggezza ha bisogno di temperanza, ma anche di eccessi.

 

2) Autonomia/comunità

 

La riforma di vita deve comportare, simultaneamente, autonomia e comunità.

Si tratta delle due aspirazioni umane più profonde: quella dell’affermazione dell’“io” in libertà e responsabilità, e quella dell’integrazione a un altro, in simpatia, amicizia, amore. La riforma di vita ci incoraggia a inscriverci nelle comunità senza nulla perdere della nostra autonomia.

 

3) Convivialità e comprensione

 

       La riforma di vita ci condurrà a ripristinare la convivialità, l’attitudine alla simpatia e al dialogo con i compagni della nostra vita quotidiana a cominciare dai nostri vicini, e anche con gli sconosciuti che incontriamo.

       La riforma di vita coltiverebbe l’empatia, che è la capacità di entrare nei sentimenti dell’altro e che, sviluppandosi, diventa simpatia e affetto. In realtà, noi viviamo mascherando a noi stessi le nostre carenze e le nostre debolezze; pratichiamo costantemente “l’autoinganno”, la menzogna verso se stessi, che ci spinge a rigettare sull’altro l’errore, la colpa, il male, e ci porta a ridurre l’altro a uno dei suoi caratteri, spesso il peggiore. Qui, la riforma di vita si avvicina alla riforma intellettuale, che è il rifiuto della riduzione di una realtà complessa a uno dei suoi elementi.

       Ridurre l’altro alla sua etnia, alla sua razza, alla sua religione, ai suoi errori, alle colpe, al suo peggior comportamento ci rende ciechi sia verso l’altro sia verso noi stessi. La comprensione è una componente capitale della riforma di vita. Come possiamo sperare nel minimo progresso della società se questo progresso non è legato a un progresso della comprensione dell’altro?

       Ma accedere alla comprensione dell’altro è tanto più difficile in quanto né la famiglia né la scuola insegnano a comprendere. Comprendere richiede prioritariamente un processo di auto delucidazione di ciascuno, per lottare contro il proprio nemico interiore, che tende sempre a rigettare sull’altro la colpa o il senso di colpa, trova sempre capri espiatori, è sempre incapace di considerare la complessità di una persona umana. Qui la riforma di vita ha bisogno della riforma del pensiero, per capire l’importanza dei preconcetti e dei “paradigmi” che governano inconsciamente i nostri modi di conoscenza e che ci rendono incapaci di comprendere che gli altri obbediscono ad altri preconcetti e ad altri paradigmi. Qui, come in tutti i settori, la riforma della vita richiede una più profonda riforma interiore.

 

 

4) La relazione estetica

 

       La riforma di vita deve anche sviluppare una componente estetica, essenziale per vivere poeticamente. La vita pratica può e deve comportare una dimensione estetica negli oggetti, negli strumenti, nei servizi per la tavola, nell’arredamento degli appartamenti e dei luoghi di lavoro. Il progresso del senso estetico permetterebbe di espellere le pubblicità che degradano i quartieri storici delle città e le strade, e di apprezzare al contrario quelle che ricercano una qualità estetica.

       Analogamente, alla luce delle nostre attuali conoscenze in astronomia, noi dobbiamo rigenerare la nostra relazione con il Cosmo, questo gigantesco e incredibile universo da cui siamo nati e nel quale scopriamo la piccolezza del terzo pianeta (il nostro), sole di periferia all’interno di una galassia periferica. Noi dobbiamo rigenerare, alla luce dell’ecologia, la nostra relazione con la natura e integrarla in una coscienza di appartenenza alla Terra-Patria.

       La relazione con la natura è certamente magnificata dall’emozione contemplativa dei paesaggi, dei mari, delle montagne innevate, ma può essere coltivata in una relazione di cura e di piacere con il giardinaggio. Del resto, la cura delle piante d’appartamento, da balcone, da terrazza, la cura del giardino privato, le attenzioni al paesaggio manifestate nelle seconde case, traducono un’aspirazione a ritrovare una relazione intima e ancestrale con la natura, essendo il giardino, come è stato ben detto, “un cosmo miniaturizzato”. In questa relazione domestica con la natura, noi possiamo liberare un aspetto represso dalla nostra propria natura.

       Noi possiamo anche ritrovare una relazione di complicità con il nostro corpo che reclama rilassamento, attenzioni, carezze, ma anche danza e movimento. Risvegliare e stimolare i nostri cinque sensi nei piaceri e nelle gioie dello sguardo, dell’udito, dell’odorato, del tatto, del gusto.

       La relazione estetica non deve essere considerata come un lusso. Questa relazione ci immerge nella parte migliore, nella parte più sensibile di noi stessi. Essa libra un messaggio di autenticità sulla nostra relazione con gli altri, con la vita, con il mondo. Ci procura stupori che sono momenti di felicità. Questa capacità di stupirsi può aiutarci a resistere alla crudeltà di questo mondo e alla barbarie umana.

La riforma di vita tradurrebbe un’aspirazione agli stati secondi che troviamo in tutte le grandi emozioni estetiche e ludiche, in tutti gli entusiasmi, in tutte le esaltazioni, in tutti gli ardori d’amore e di festa che ci avvicinano all’estasi. Sono questi stati secondi, pieni d’intensità poetica , che danno la sensazione della vita vera. È in questi stati che noi ci perdiamo per ritrovarci, che ci ritroviamo nel perderci. L’estasi è lo stato limite, beato, nel quale ci conduce lo stato secondo, che diventa, quindi, primo.

La riforma di vita deve affrontare il problema complesso del divertimento. La parola concerne tutto ciò che ci distrae dai nostri problemi fondamentali, compreso quello della morte. E si può dire che uno degli effetti dei divertimenti (gioco, godimento estetico, erotismo ecc.) è quello di distoglierci dal prendere in considerazione il nostro destino mortale. Ma questi stessi divertimenti ci procurano anche alcune emozioni poetiche della vita, sono quindi portatori di verità umane e non solo di distrazione dell’essenziale.

La coscienza che la “vita reale è assente” è emersa un po’ ovunque. Un po’ ovunque si manifestano velleità di riformare la vita attraverso l’aspirazione a vivere in modo diverso, attraverso il desiderio di vivere meglio con se stessi e con l’altro, talvolta attraverso la rinuncia a una vita lucrosa per una vita di appagamento, e anche in una ricerca di armonia con il mondo che non può che esprimersi nell’attrazione per le saggezze orientali e nella ricerca dell’alimentazione biologica.

Questa aspirazione a vivere “altrimenti” si manifesta in molte maniere e un po’ ovunque assistiamo a ricerche, a tentoni, della poesia della vita (amori, feste, avventure, ecc.).

In questo contesto, le vacanze sono gli antidoti temporanei alla vita prosaica. Una parte di cittadini ripartisce il proprio tempo fra una vita urbana, alla quale si sottomette, con i suoi vincoli e i suoi obblighi, e una vita di week-end o di vacanze durante la quale si de-programma, sfugge alla cronometria, abbandona i vestiti cittadini per abiti rustici o per la nudità, e vive liberamente.

Il turismo corrisponde anch’esso al bisogno di fuggire per un momento dalla prosa della vita. Ma è captato dalle agenzie che organizzano travels standardizzati e cronometrati, contratti esclusivamente folkloristici con popolazioni, così che, nonostante il vantaggio dello spaesamento, questi viaggi hanno i difetti di ciò da cui fuggiamo. Tuttavia, si è delineata una reazione: si soggiorna sempre di più presso i contadini e non più negli alberghi separati dalla popolazione; si pratica l’agriturismo in Italia, in Portogallo, in Spagna, in Brasile; sono comparse nuove forme di turismo: “natura e tradizione”, viaggi-pellegrinaggi.

Il nuovo turismo ricerca non solo emozioni estetiche, ma anche un’esperienza di vita nell’incontro con lo straniero, che si scopre essere, nello stesso tempo, differente e simile a noi, in particolare presso culture tradizionali e popoli indigeni. Il turismo festivaliero permette una profonda partecipazione alle grandi opere musicali o teatrali. Il turismo mondializzato è, nello stesso tempo, evasione e presa di coscienza planetaria.

Il turismo dovrebbe non solo dedicarsi all’evasione, ma anche alla comunicazione; non solo permetterebbe di lasciare la propria casa, ma anche di ritrovarsi a casa essendo presenti al mondo.

 

5. Riforma di vita e rigenerazione etica

 

       Noi sappiamo che il benessere materiale non garantisce la felicità. La riforma di vita, se può portare a vivere-bene, non procura di per sé la felicità. Momenti di felicità possono sopraggiungere inopinatamente, nel contemplare un volo di rondini o nel sentire improvvisamente una musica amata. I periodi di felicità arrivano solo in una felice congiunzione di condizioni esterne ( luogo, tempo) e di condizioni interiori. La riforma di vita non può crearle, ma può garantirne alcune condizioni interiori, eliminando odi, rancori, gelosie e apportando serenità e intensità. Non può abolire l’infelicità che è il prezzo della felicità scomparsa e dell’amore perduto. Ma la riforma di vita permette di vivere “al momento giusto”, cioè essendo intensamente presenti al mondo, agli altri e ai propri cari.

       La sofferenza è il prezzo da pagare per vivere. Ma questo prezzo può essere sopportato solo a condizione di poter accedere alla poesia della vita.

       Inoltre, accade che una infelicità possa diventare fonte di “resilienza”, ossia all’origine di un’insperata felicità. Come ci indica la definizione di Beethoven “durch Leiden Freude” [“attraverso le sofferenze, la gioia”], è un cammino che porta dalla sofferenza alla gioia. Accade anche che la felicità si offra da sé a chi le sa offrirsi.

       Più profondamente, la riforma di vita subordinerà la qualità della felicità alla qualità poetica della vita. In questo senso, “la poesia è un articolo di prima necessità”. Vivere poeticamente comporta molte felicità fatte di comunioni, di stupori, di gioie, talvolta di estasi.

       Infine, le età della vita devono essere, nello stesso tempo, riformate dalla vita e riformatrici della vita. Passando da un’età all’altra, ognuno dovrebbe conservare le virtù dell’età precedente: la curiosità insaziabile dell’infanzia, le aspirazioni infinite e le rivolte dell’adolescenza, la coscienza delle sue responsabilità dell’età adulta; la vecchiaia, conservando in sé le qualità delle età passate, avrebbe così la possibilità di cogliere i frutti delle esperienze vissute. Di età in età, ciascuno potrà coltivare l’amore per i suoi genitori, per i suoi amici, per la moglie o per il marito, per la sua compagna o il suo compagno, per i suoi figli.

La riforma di vita non potrebbe eludere o spiegare né il mistero della vita né l’enigma dell’universo; ma questa riforma ci apre poeticamente a questo mistero e a questo enigma. Questa riforma non potrebbe far scomparire le nostre paure e angosce, ma ci insegna a vivere con l’angoscia, senza lasciarsi sommergere da essa, fornendo degli antidoti: le partecipazioni al destino collettivo, l’amore.

       Ci sono mille abbozzi della riforma di vita, dell’aspirazione al vivere-bene, per sfuggire al malessere che la civiltà del benessere materiale ha prodotto, per praticare la convivialità: ma questi abbozzi non si sono ancora uniti. Tuttavia, se consideriamo insieme questi elementi che separatamente sembrano minimi, si percepisce che la riforma di vita è iscritta nelle possibilità del nostro divenire.

       L’aspirazione alla riforma di vita è l’espressione di un’aspirazione all’armonia che attraversa la nostra storia umana e che si esprime nei paradisi, nelle utopie, nelle idee libertarie, comuniste, socialiste, nelle esplosioni giovanili del Maggio 1968 ecc.; queste rinasceranno continuamente, sotto altre forme, con sempre le stesse aspirazioni all’autonomia, alla comunità, al vivere poeticamente.

       Questa aspirazione diventerà sempre più ampia e profonda nelle società tecnicizzate, industrializzate, occidentalizzate, soprattutto se queste società sono devastate da crisi e da disastri. Ma questa aspirazione potrà svilupparsi in riforma di vita solo se si avvieranno correlativamente le altre riforme. La riforma di vita è indissociabile da una rigenerazione etica, essa stessa indissociabile da una rigenerazione del civismo, a sua volta indissociabile da una rigenerazione democratica, a sua volta indissociabile da una rigenerazione delle solidarietà e della responsabilità, e tutto questo è inseparabile da un processo complesso, umano, sociale, politico, storico, che comporti una riforma dell’habitat, del consumo, dell’educazione. La riforma di vita potrebbe avere una portata considerevole su tutti i problemi economici e sociali. Sono la durezza di cuore e il male di vivere, non la scarsità di risorse fisiche o monetarie, all’origine della maggior parte dei problemi ecologici, politici, culturali, sanitari e sociali. Ben inteso, bisogna a sua volta mettere in circuito questa formula indicando che riforme ecologiche, politiche, culturali, sanitarie e sociali contribuirebbero al miglioramento della qualità della vita e alla riforma di vita.

       Pur restando indissociabile da incitamenti esterni, la riforma di vita è un’avventura interiore; pur restando indissociabile dai processi sociali e collettivi, la riforma di vita è un processo personale. Ciascuno deve ricercare quello che è importante e necessario per se stesso, ciascuno deve trovare la strada della sua rigenerazione.

       Parlare di rigenerazione non dovrebbe portare all’illusione di un ritorno al passato, come se si dovessero dimenticare, nelle ambivalenze dell’evoluzione storica, gli apporti positivi della modernità da conservare e da sviluppare. Bisogna concepire delle deviazioni attraverso il passato. Ma, soprattutto, il termine “rigenerazione” significa ritorno alle sorgenti generatrici, cioè creatrici.

       È dunque con la realizzazione di uno sviluppo/inviluppo umano, creatore di una nuova civiltà, che una riforma di vita potrebbe essere allo stesso tempo prodotta e produttrice.

 

 Nicolò Rosario Lombardo

 

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