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Dante parla ancora – Beatrice sacerdotessa dell’ordine dell’essere (Paradiso I)

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La cantica del Paradiso

di Cristobal Rojas

Se l’Inferno e il Purgatorio possono “parlare ancora” in virtù del loro legame, alquanto stretto, con il tempo e con la storia degli uomini, fare parlare ancora il Paradiso dantesco appare impresa ardua. L’immaginazione del poeta qui ha superato se stessa. Lo spazio e il tempo cedono all’eternità dello sguardo beato che nutre le anime. Tutto è visione, luce e leggerezza, e i due nuovi viandanti del cielo, Dante e l’amata Beatrice, solcano i cieli del Paradiso senza alcun peso e ostacolo. Tutto è orientato alla visione di Dio, dal quale trae origine, bellezza e ordine l’universo intero. Tutto il Paradiso è segnato da questa mirabile armonia tra il Dio che “move il sole e le altre stelle”(Par. XXXIII) e l’universo creato che ne reca l’impronta in tutte le sue articolazioni. Ma il Dante che sperimenta l’estasi e l’ebbrezza del divino non sarà mai il Dante che perde di vista la storia degli uomini. Ed è in questo straordinario e poetico connubio tra Eterno e Tempo che risiede la sua possibilità di parlare ancora.

Il primo canto e il transumanar

Dante ha iniziato la sua ascesa verso Dio. La sua guida, radiosa e sorridente, è Beatrice. Nel I canto egli manifesta tutta la sua emozione di fronte alla duplice impresa: quella del personaggio Dante che vive l’esperienza più eccedente che si sia mai potuta immaginare, e quella dell’autore Alighieri che tenta l’impresa di riprodurre l’esperienza in scrittura. Beatrice è contemplata nell’atto di contemplare il Divino. E Dante fa l’esperienza del trasumanar, cioè del deporre ogni peso che gli provenga dalla sua condizione mortale. Questa leggerezza inedita lo sorprende, e ne chiede il senso alla sua guida. Perché tutto questo? Perché sono così leggero? E Beatrice spiega. Con i versi che seguono:

E cominciò: «Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l’universo a Dio fa simigliante.
Qui veggion l’alte creature l’orma
de l’etterno valore, il qual è fine
al quale è fatta la toccata norma.

Ne l’ordine ch’io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro e men vicine;

onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l’essere, e ciascuna
con istinto a lei dato che la porti.

Questi ne porta il foco inver’ la luna;
questi ne’ cor mortali è permotore;
questi la terra in sé stringe e aduna;

né pur le creature che son fore
d’intelligenza quest’ arco saetta,
ma quelle c’hanno intelletto e amore.

La provedenza, che cotanto assetta,
del suo lume fa ‘l ciel sempre quïeto
nel qual si volge quel c’ha maggior fretta;

e ora lì, come a sito decreto,
cen porta la virtù di quella corda
che ciò che scocca drizza in segno lieto.
Vero è che, come forma non s’accorda
molte fïate a l’intenzion de l’arte,
perch’ a risponder la materia è sorda,

così da questo corso si diparte
talor la creatura, c’ha podere
di piegar, così pinta, in altra parte;

e sì come veder si può cadere
foco di nube, sì l’impeto primo
l’atterra torto da falso piacere.

Non dei più ammirar, se bene stimo,
lo tuo salir, se non come d’un rivo
se d’alto monte scende giuso ad imo.

Maraviglia sarebbe in te se, privo
d’impedimento, giù ti fossi assiso,
com’ a terra quïete in foco vivo».

L’universo immagine di Dio

Questo brano conclude il primo canto del Paradiso. Anche se manca l’ultimo verso, che dopo riporterò. In sintesi: tutto quel che c’è nell’universo è organizzato in modo da somigliare a Dio. Le parole chiave sono “ordine” e “forma”. Tutto nell’universo è ordinato e ciascuna cosa possiede una forma, che nel linguaggio filosofico dei tempi di Dante significa, intima essenza. Tutto è orientato verso Dio, il mondo dei pianeti, il mondo dei viventi e infine l’essere umano. Per quest’ultimo Beatrice precisa che è l’unico ente ad avere la possibilità di disobbedire alla sua stessa essenza, in virtù del libero arbitrio. La provvidenza può incontrare ostacolo solo nell’uomo, che ha il potere di deviare dal percorso verso Dio se attratto da falsi piaceri. Conclusione della spiegazione: tu, Dante, non devi sorprenderti. Ti sei liberato della tua schiavitù e sei tornato ad essere creatura. E la creatura non può che volare leggera verso Dio. Così Beatrice ha collocato l’esperienza di Dante nell’ordine dell’universo voluto da Dio. Ultimo verso: «Quinci rivolse inver’ lo cielo il viso». Dopo la dotta spiegazione, Beatrice rivolge il viso verso il cielo.

Ragione e passione

E da qui partiamo. Dal guardare il cielo dopo aver sciorinato la quintessenza della razionalità teologica e filosofica. È il genio di Dante. Che parla ancora perché non smette mai di ricordarci che ogni sforzo della ragione è vano se non è sostenuto dalla passione e dall’emozione. Beatrice spiega perché è un’innamorata di Dio, e a Dio appartiene, come Dante avverte in ogni piega del poema. Beatrice è la creatura che ha consentito a Dante di fare esperienza di salvezza. Per questo può assegnarle il compito di istruirlo nelle segrete cose dell’universo, dove si fondono filosofia, fisica, biologia, chimica e scienze umane.

Un inno alla vita

Ma in ultima analisi qual è il significato profondo e traducibile nell’oggi della spiegazione che Alighieri consegna al personaggio Beatrice? È un significato spendibile soltanto per chi è credente? Ritengo di no. No perché nel ragionamento di Beatrice si recuperano il senso e la bellezza delle cose e dei viventi. Si recupera l’idea che vivere significa percepire anche la vita del fuoco, della terra, dell’aria, dell’acqua, delle piante e degli animali. Che vivono seguendo un istinto a loro dato che le porta. Le porta. Cioè le sostiene. È un inno alla vita. Tutto si muove “per lo gran mar de l’essere”, ed è proprio l’essere – che i filosofi chiamano ontologia – il grande protagonista del proscenio dantesco. L’essere vive, e l’uomo è partecipe dell’essere col suo irriducibile modo di pensarlo e viverlo. Col suo respiro che lo accomuna agli altri viventi.

Solitudine e redenzione dell’uomo

Ma il discorso di Beatrice è anche il discorso della solitudine dell’uomo. L’uomo solo è capace di scostarsi da “questo corso”. Solo l’uomo può tradire la propria vocazione e farsi portare dove non vorrebbe, estraneo a se stesso e a tutto il cosmo che invece realizza l’armonia che proviene dalla pienezza di esistenza di ogni suo elemento.

Persino Leopardi nel suo Canto notturno percepiva la solitudine umana. L’unico essere capace di rovinarsi la vita, anche se alla conclusione di quel capolavoro a Leopardi pareva possibile che anche tutti gli altri esseri dell’universo fossero infelici. Per Dante invece soltanto l’uomo può autodistruggersi ed essere peso a se stesso. Ma in questo canto il poeta celebra la propria redenzione ed il ritrovo della leggerezza creaturale. Egli vola, varca i cieli, e l’inquilina principe del suo cuore gli spiega che la felicità è ormai a portata di mano.

 

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