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Verso il sinodo: bisogna “esporre la Chiesa alla libertà dello Spirito”. Intervista al teologo Andrea Grillo

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La Chiesa cattolica, per via della ferma volontà di papa Francesco, si avvia a vivere a livello globale un periodo caratterizzato in modo particolare dal richiamo alla sinodalità. Un tempo di ascolto, discernimento, studio, riflessione e preghiera è quello che inizia in questi giorni destinato a continuare quel processo di aggiornamento sancito dall’insegnamento del Concilio Vaticano II. Parliamo di questo tema con Andrea Grillo. Docente di Teologia dei sacramenti e Filosofia della Religione presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma e di Liturgia all’Abbazia di Santa Giustina di Padova, Grillo ha insegnato come professore invitato presso la Facoltà Teologica di Lugano e la Pontificia Università Gregoriana. 


– All’inizio del documento preparatorio in vista del prossimo cammino sinodale – intitolato Per la Chiesa sinodale. Comunione. Partecipazione. Missione – i vescovi affermano che “la Chiesa di Dio è convocata in Sinodo”. Professore Grillo, a suo parere, cosa significa questa espressione per i credenti del XXI secolo?

L’espressione è tutt’altro che chiara e rischia di essere assunta come parte di un “linguaggio da iniziati” che smentisce proprio l’intenzione con cui avviene questa convocazione: ossia di esporre la Chiesa alla libertà dello Spirito. Questo mi pare l’intento fondamentale, che traduce, quasi 60 anni dopo, ciò che i “segni dei tempi” hanno significato per la stagione conciliare. Il fatto che la “sinodalità” sia assunta come forma, come stile e come struttura indica bene un elemento di “inquietudine” e di “immaginazione” di cui la Chiesa deve tornare a comprendere la necessità per il suo stesso modo di essere. 

– Il processo sinodale sottolinea la grande rilevanza del “camminare insieme”. Probabilmente, la complessità della cultura e dei fenomeni sociali, economici e politici del nostro tempo rendono ardua l’impresa del percorrere in modo comunitario le vie della storia. È chiaro che l’impegno al “camminare insieme” è fondamentale per qualsiasi gruppo umano. Tuttavia, nel caso dei cristiani radunati dall’invito del maestro di Nazareth, la fatica comune quale significato assume e verso quale meta tende?

La triade che funge da sottotitolo – comunione, partecipazione, missione – descrive bene l’orizzonte di questo “camminare insieme”. Ciò che forse può sorprendere è la “inversione” delle priorità, che la sinodalità esige in modo radicale. Ossia che solo un previo ascolto a tappeto, di ogni esperienza umana e cristiana, diventa la condizione per vivere la esperienza ecclesiale come “comunione”. Si esce dall’idea che una “idea” o “concetto” di comunione sia la condizione per poter vivere in modo coerente. Si comincia da una esposizione alla esperienza comune.

– Tanto la tradizione quanto il magistero attestano che la Chiesa è costitutivamente sinodale. Se è vero che dalle istituzioni politiche non è opportuno prendere in prestito il metodo democratico, come del resto quello monarchico e oligarchico, qual è – nel nostro tempo – la modalità migliore per vivere simile aspetto fondamentale dell’identità ecclesiale?

Questo punto è delicatissimo e non deve essere esasperato. Cerco di spiegarmi. È vero che i “modelli politici” non funzionano immediatamente come ispiratori diretti della esperienza sinodale. E tuttavia non si può negare che sull’ esperienza medievale e moderna della Chiesa i modelli politici imperiali e dell’assolutismo hanno avuto un forte peso nel farci vivere l’esercizio del potere, la gestione della autorità, il modo di intendere il servizio e la nostra stessa identità. È allora inevitabile che alcune modalità “democratiche” possano e debbano diventare lo strumento perché la Chiesa sia davvero libera di ascoltare lo Spirito. Non per stabilire “maggioranze” o “minoranze”, ma per garantire un confronto reale e serio. Se nel gestire un processo sinodale un vescovo volesse, per così dire, “nascondere nel cassetto” il testo di un questionario, come è accaduto in occasione del Sinodo sulla famiglia, la comunità ecclesiale dovrà essere salvaguardata da questi arbitrii, che non hanno nulla della obbedienza della fede e molto dei meccanismi mafiosi di una struttura feudale.

– Le sfide dell’attualità connesse alla crisi ambientale, ai vari fondamentalismi, agli effetti negativi della globalizzazione, alla diffusione della cultura dei diritti individuali, quanto e come potranno influenzare i lavori del cammino sinodale?

Il primo livello – o step – del lavoro sinodale sarà una lunga procedura di ascolto. Lo ha detto bene papa Francesco alla sua diocesi: ascoltarsi radicalmente per ascoltare lo Spirito che ha la prima parola. Per ascoltarsi davvero bisogna mettere da parte le letture ideologiche, del passato come del presente, e aver orecchi molto sensibili. Sempre nel discorso alla sua diocesi Francesco usa due espressioni decisive: “lasciarsi sconvolgere dal dialogo” e far uso di una “ermeneutica pellegrina”. In gioco vi sono forme di vita che vengono profondamente alterate da diversi squilibri: quelli del rapporto con l’ambiente o con letture univoche del reale. Spesso dimentichiamo che una “cultura dei diritti individuali”, che troppo spesso nella Chiesa viene solo demonizzata, è una delle condizioni per “vedere” le ingiustizie, per elaborare la fortezza, e per avere una vera prudenza. Certo occorre equilibrio, ma la domanda di sinodalità è custodia della comunione ecclesiale solo se sa dare la prima parola allo Spirito, che è movimento e libertà. Questo – dice Francesco – non è il frutto dell’ultimo Concilio (Vaticano II), ma del primo (Gerusalemme), come attestato dagli Atti degli Apostoli. 

– Attraverso un cammino composto da tre fasi – narrativa, sapienziale e profetica – anche la Chiesa italiana si appresta a vivere il cammino sinodale voluto tenacemente da papa Francesco il quale, sin dal Convegno ecclesiale di Firenze del 2015, ha invitato le comunità cattoliche sparse nel nostro Paese a vivere la sinodalità. Secondo lei, perché è importante che la Chiesa italiana viva bene questo cammino sinodale?

È un paradosso, ma una parte della Chiesa italiana sembra volersi “difendere” dal Sinodo. Come se il Sinodo possa essere un elemento di “crisi” per una Chiesa che non ne ha bisogno. Credo che questa sia una occasione storica, in cui l’effetto di “trascinamento” dell’elaborazione sinodale a livello di Chiesa universale può giovare a rivedere il passo della Chiesa italiana. Francesco lo dice apertis verbis: dobbiamo lasciarci mettere in crisi dall’ascolto. Senza predeterminare i contenuti dell’ascolto – è una tentazione che già si è manifestata con chiarezza – l’apertura alla esperienza di tutto e di tutti, anzitutto degli emarginati e degli sminuiti, diventa decisiva, per riacquisire una vera identità, aperta allo Spirito e libera di seguirlo. Una delle ossessioni più negative che minaccia la grande tradizione italiana sarebbe oggi quella di non voler rinunciare ad identificarsi nei peggiori stereotipi con cui viene confusa, tanto al suo interno come al suo esterno. È una sfida grande, dura, esigente, ma credo che possa essere appassionante e che valga la pena di essere presa del tutto sul serio. 

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