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«Signore, è bello per noi essere qui!». Introduzione alla Lectio Divina su Mt 17, 1-9 – II Domenica del Tempo di Quaresima

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lectio8-31Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. 2E fu trasfigurato davanti a loro: il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. 3Ed ecco, apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui. 4Prendendo la parola, Pietro disse a Gesù: «Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò qui tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». 5Egli stava ancora parlando, quando una nube luminosa li coprì con la sua ombra. Ed ecco una voce dalla nube che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo». 6All’udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore. 7Ma Gesù si avvicinò, li toccò e disse: «Alzatevi e non temete». 8Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo.
9Mentre scendevano dal monte, Gesù ordinò loro: «Non parlate a nessuno di questa visione, prima che il Figlio dell’uomo non sia risorto dai morti».

Chiamati alla sequela del Maestro, a una vita di comunione con lui, i discepoli faticano a riconoscere con lucidità il mistero della sua persona. L’incertezza e l’incomprensione riaffiorano di continuo e diventano scandalo quando Gesù comincia ad annunciare apertamente la sua passione (cf Mt 16,21-23). La prospettiva di una morte violenta, del rifiuto e del fallimento risultano inconcepibili e inconciliabili con le loro attese. Egli allora prende l’iniziativa e dal deserto roccioso conduce Pietro, Giacomo e Giovanni su di un alto monte offrendo il privilegio di contemplare la bellezza sfolgorante della sua persona.

Su un alto monte, il Tabor, Gesù fu trasfigurato davanti a loro in una bellezza e candore mai visti prima. Assieme a Gesù apparvero Mosè ed Elia, personaggi importanti, cardini dell’Antico Testamento. Mosè, il liberatore dalla schiavitù dell’Egitto. Elia, il profeta del futuro Messia. È un’epifania gloriosa del Cristo, dell’unto del Signore, del Messia nascosto che presto sperimenterà l’umiliazione della croce. I tre discepoli non sanno ancora che il mistero di Gesù affonda le radici al di là del tempo e di tutto il visibile. L’intimità di Gesù alla quale i discepoli confusamente aspirano è lungi dall’esaurirsi nel rapporto che si è instaurato tra lui e loro. È infinita, trascende tutti i legami che lo vincolano alla terra, anche quello che si rivela esistente tra lui e Mosè,  tra lui ed Elia, con i quali conversa familiarmente, come se li conoscesse da sempre, come se anche lui facesse parte della loro storia, ed essi della sua. I tre testimoni conserveranno nel loro cuore il ricordo dell’esperienza  del Tabor, e dopo la risurrezione di Gesù ne parleranno come Gesù aveva detto: “ordinò loro di non raccontare ad alcuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti”.

Davanti  al mistero della  trasfigurazione  di  Gesù,  Pietro, con  timore e tremore, rivela il desiderio di  voler  costruire  «tre  tende».  La divina felicità di Gesù si riversa sui discepoli, tanto che essi vorrebbero renderla eterna, rimanere sul monte con quel nuovo Gesù, trasfigurato, trattenendolo disperatamente all’interno di tre tende. La  risposta  che  viene,  però,  è  quella  della nube  che ora «avvolge»  i  discepoli;  una voce, la voce del Padre annuncia la figliolanza divina di Gesù e invita all’ascolto delle sue parole: «Questi è il Figlio mio, l’amato: ascoltatelo!». Una  conclusione  che potrebbe  sembrare  paradossale:  tutto  il  racconto  sembra spingere  a  verificare  l’elemento  epifanico,  mentre  la  conclusione tende  non  più  al  «vedere»  quanto  all’ascoltare.  La  voce  che proviene  dalla  nube  permette  di  percepire  il  senso  di  ciò  che  i discepoli  vedono,  mentre  la  trasfigurazione  consente  di  cogliere il  significato  profondo  di  quanto  la  voce  attesta. Non  vi  è  contrapposizione  tra  il vedere  e  l’ascoltare,  ma  davanti  al  mistero  la  contemplazione diviene  ascolto  di  una  voce  che  accompagna  nelle profondità  più  intime  del  mistero.  L’ascolto,  dunque,  sembra avere  la  meglio  sulla  volontà  di  vedere;  i  discepoli  che  vogliono costruire  tre  tende,  quasi  a  fermare  la  scena  del  «vedere»  Gesù con  Mosè  ed  Elia  devono,  invece,  imparare  ad  ascoltare  il Signore  e  restare  attenti  e  vigili  al  suo  insegnamento: «Alzatevi e non temete».

“Alzando gli occhi non videro nessuno, se non Gesù solo”. Il Tabor è un appuntamento offerto ad ogni uomo per gustare la bellezza del volto di Dio e ritemprare il cuore come accadde ai discepoli. Volgendo i nostri occhi a Cristo trasfigurato sperimentiamo la possibilità di vedere e ascoltare; di provare, come Pietro, il desiderio che quel momento non finisca: “Signore, è bello per noi essere qui”. La visione di Cristo trasfigurato è la manifestazione della sua divinità, ma è, anche, la rivelazione dello splendore finale, del volto di ogni uomo redento che porta dentro di sé un te­soro di luce, un sole interio­re, che è l’immagine e somiglianza di Dio. Non solo il suo volto, non solo le sue ve­sti, ma sul Tabor il divino traspare nel fondo di ogni essere (Teilhard de Chardin) e gronda di luce ogni volto di uomo (D.M.Turoldo).

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