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Siamo tutti ladroni

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Introduzione alla lectio divina su Lc 23,35-43

24 novembre 2013 – Festa di Cristo re 

35Il popolo stava a vedere; i capi invece lo deridevano dicendo: «Ha salvato altri! Salvi se stesso, se è lui il Cristo di Dio, l’eletto». 36Anche i soldati lo deridevano, gli si accostavano per porgergli dell’aceto 37e dicevano: «Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso». 38Sopra di lui c’era anche una scritta: «Costui è il re dei Giudei». 39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: «Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi!». 40L’altro invece lo rimproverava dicendo: «Non hai alcun timore di Dio, tu che sei condannato alla stessa pena? 41Noi, giustamente, perché riceviamo quello che abbiamo meritato per le nostre azioni; egli invece non ha fatto nulla di male». 42E disse: «Gesù, ricòrdati di me quando entrerai nel tuo regno». 43Gli rispose: «In verità io ti dico: oggi sarai con me nel paradiso».

 

Via Crucis, particolare delle sculture di Franco Fiabane

presso il Santuario della Madonna di Lourdes del Nevegal (foto di Sergio Bertolini)

 

Quando viviamo un momento di grande sofferenza, spesso oscilliamo tra due atteggiamenti opposti. Da un lato la protesta accorata contro Dio, spesso  seguita dalla richiesta del miracolo che ce lo riveli una volta e per sempre:

Perché mi hai fatto questo? Che ho fatto di male per meritarmelo? Se esisti davvero, intervieni finalmente!”.

Dall’altro la speranza che tutto passi presto, l’affidamento paziente a chi potrebbe cambiare le cose: “Signore, ascoltami. Ricordati di me in questo momento. Ho paura di non farcela da solo”.

 

I due ladroni possono rappresentano allora due facce della stessa medaglia, due atteggiamenti estremi, ma che una stessa persona può sperimentare nell’arco della propria vita.

Il primo ladrone rivolge a Gesù quasi le stesse parole dei capi e dei soldati: “Salva te stesso!”, ossia fa’ vedere chi sei, se sei davvero Qualcuno. Dimostra se hai veramente a che fare con qualcosa di trascendente, o se sei un miserabile che fa la fine dei miserabili, appeso su una croce come l’ultimo degli schiavi. Tuttavia, mentre i capi  e i soldati dal basso lo deridevano, il ladrone “cattivo” (visto che l’altro è passato alla storia come “il buono”) non può deriderlo, per il semplice fatto che non si trova in basso, come un uomo libero, ma si trova sullo stesso piano di Gesù, condannato, appunto, alla stessa vergognosa pena. E che la condivisione della pena crei una sorta di solidarietà nel dolore, ne è prova il fatto che questo ladrone chieda salvezza anche per il compagno di sventura: “Salva te stesso e anche noi”, dice, non te stesso e me.

L’altro, prontamente, lo riprende, e suggerisce a tutti noi quell’atteggiamento di mitezza e di speranza, che lo ha reso indimenticabile.

Quel “ricordati di me”, sussurrato in punta di piedi, è il segno di una speranza che va oltre ogni paura, che non si lascia fiaccare nemmeno nel momento della prova ultima. Ma la cosa più bella, è l’idea di regalità che il buon ladrone ci trasmette, e che l’altro, nella sua sfida a Dio, sconosce.

Regalità che del resto, come il primo ladrone, abbiamo sconosciuto e tradito anche noi cattolici, che nella storia abbiamo spesso frainteso questo Cristo Re, mettendolo su un trono che non gli si addice affatto, perché su quel trono volevamo magari assiso il nostro papa, o comunque la chiesa stessa, contro le altre chiese.

Che senso ha allora oggi questa festa di Cristo Re ce lo rivela, insieme al buon ladrone, anche la prima lettura, tratta dal secondo libro di Samuele, che parla della regalità di Davide vista con gli occhi della sua gente: “In quel giorno vennero tutte le tribù di Israele da Davide in Ebron e gli dissero: “Ecco, noi ci consideriamo come tue ossa e come tua carne””.

“Bellissimo: tue ossa e tua carne! Che cosa abbiamo di più vicino delle nostre ossa e della nostra carne? Così noi ci consideriamo: “Tue ossa e tua carne”. E il pensiero corre ad Adamo che, incantato davanti alla dolcezza del volto di Eva, condotta a lui nel sonno, esce in quella entusiasta esclamazione: Essa è ossa delle mie ossa, carne della mia carne! Questa è la regalità di Cristo. E questo è stupefacente: è una autorità alla quale possiamo rivolgere… le parole dell’amore, le parole della mutua appartenenza, dell’intimo appartenersi, le parole dell’amore che usi con la creatura che ami” (Angelo Casati).

Il buon ladrone che chiama il Signore familiarmente Gesù, ma gli chiede di ricordarsi di lui nel suo Regno, ha proprio fatto sua questa idea di un Re intimo, più intimo a noi del nostro stesso corpo.

Talmente intimo da essere lui in noi e noi in lui, davvero fra la carne e il sangue, ‘il respiro e il battito’ di ciascuno di noi.

 

Valentina Chinnici

 

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