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Le sfide dell’Italia nell’Europa dei saperi

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di Alfio Briguglia

 

Dall’Europa non vengono indicazioni specifiche sull’organizzazione dei sistemi educativi, ma raccomandazioni sulla necessità di investire risorse nell’istruzione e nella formazione professionale per giungere a obiettivi condivisi e comuni (il punto di riferimento è la cosiddetta strategia di Lisbona, approvata nella sessione straordinaria del Consiglio Europeo, 23-24 marzo 2000).

Il ragionamento che sta alla base di tutti i documenti prodotti in questi anni è il seguente: nella società complessa il sapere non si acquisisce né per trasmissione tradizionale, come in passato, né per osmosi empirica, ma attraverso sistemi strutturati. L’esperienza di lavoro è fondamentale e va riconosciuta, ma l’apprendimento è un fenomeno che non si interrompe con l’uscita dai sistemi istituzionali di formazione. Occorrono quindi forme flessibili di riconoscimento delle competenze e luoghi dove si rigenerano competenze andate in obsolescenza per la velocità dell’evoluzione dei sistemi di produzione.

Esiste uno stretto legame fra la capacità di lavoro, la preparazione culturale e la partecipazione consapevole e attiva alla vita sociale e civile delle persone. La cosiddetta inclusione sociale (anche nella prospettiva di una immigrazione extracomunitaria o di una mobilità interna all’Unione Europea) esige un apprendimento che incida sulla capacità continua di aggiornarsi e di adattarsi; non si può più distinguere la vita in fasi di apprendimento e fasi di attività professionale. Tutta la vita esige l’apprendimento continuo (lifelong learning).

Non investire in istruzione e formazione, non combattere la dispersione scolastica e l’analfabetismo di ritorno, non creare luoghi formativi per la riconversione delle competenze professionali significa compromettere irreversibilmente le capacità di innovazione dei sistemi sociali ed economici nazionali e quindi  favorire per riflesso il declino dell’Europa.

Di fronte a questi aspetti, urge una riflessione su diverse questioni, che possiamo raggruppare attorno a tre nuclei tematici. Il primo riguarda il modo in cui lo Stato italiano ha cercato o dovrebbe cercare di recepire le indicazioni europee.

Da un lato, occorre quindi chiedersi quali sono stati, negli ultimi anni, gli effettivi investimenti del nostro paese in tema di istruzione, formazione, apprendimento permanente, riqualificazione professionale. A questo proposito, bisogna anche chiedersi se e quanto la normativa vigente sia ancora caratterizzata da sfasature e se il sistema da poco disegnato con le riforme del secondo ciclo evidenzi tracce di inadeguatezza. Dall’altro, occorre individuare linee d’azione per vincere la staticità di un sistema che si pensa secondo canoni non sempre in linea con il mondo contemporaneo.

Un secondo nucleo di problemi riguarda il rapporto tra il processo di innovazione e il tipo di saperi in esso coinvolti. Partendo dalle numerose riforme avvenute in questi anni, non è chiaro se alcune scelte, presentate come processi di innovazione di sistema e di metodo nel campo educativo, siano state forme di ossequio a mode passeggere, con il rischio di rendere ancora più difficile l’inserimento nel mondo del lavoro e nella società civile. D’altra parte, il mondo accademico non sembra sempre in grado di selezionare contenuti, metodi e strumenti per un sistema di sapere adeguato alla complessità del mondo contemporaneo: un interrogativo riguarda qui il rapporto tra formazione e lavoro, cercando di evitare i rischi da un lato dell’irrilevanza, dall’altro di una riduzione funzionalistica degli spazi formativi alle esigenze della produzione.

Anche da questo punto di vista si può recuperare uno sguardo verso le novità introdotte nell’organizzazione scolastica e nel didactic management, per misurare la loro capacità di modificare un sistema che sembra statico più “nell’anima” che nelle strutture e nelle norme (o sono forse queste due facce “gattopardesche” della stessa medaglia?).

Finalmente, un terzo ambito di problemi riguarda la complessa interazione tra le varie componenti della società e il mondo dell’istruzione e della formazione. Qui i problemi riguardano da una parte l’effettivo interesse della società civile, del mondo produttivo e della classe politica per le problematiche dell’istruzione e della formazione e per la dimensione educativa come seria forma di attenzione ai giovani; dall’altra il ruolo del mondo cattolico: la tradizionale competenza cattolica nel campo dell’educazione contribuisce a ricollocare l’uomo e il suo bisogno di educazione al centro dell’attenzione culturale del mondo d’oggi?

 

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