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Oltre l’indignazione

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 di Giuseppe Savagnone

 

L’anno comincia bene! Non avevamo avuto ancora il tempo di metabolizzare la notizia che i deputati regionali siciliani – grazie a una legge che assegnava loro un budget di 3180 euro a mese per i contratti stipulati entro il 31 dicembre 2013 – si sono concessi in media tre portaborse a testa, e già scoppia una bufera giudiziaria che riguarda  le «spese pazze» dei gruppi parlamentari dell’Ars nella scorsa legislatura, con 97 indagati e 13 avvisi di garanzia.

Cito dai quotidiani locali. «Giornale di Sicilia» on line: «Contestate spese illegittime per 10 milioni per acquisiti di cravatte, borse, ma anche biancheria intima griffata, gioielli e rimborsi di soggiorni in alberghi di lusso». «Repubblica-Palermo»: «Con i 46 milioni di euro destinati ai gruppi parlamentari dell’Ars è stato acquistato di tutto: reggiseni di pizzo, collezioni di Diabolik, borse Louis Vuitton, cravatte e carrè Hermes, bottiglie di vino pregiato, pasta fresca, occhiali, computer. I politici siciliani non si sono fatti mancare niente». Per le consumazioni della pausa caffè alla buvette di Palazzo dei Normanni il Pd ha speso 73.000 euro. E l’ex presidente dell’Assemblea regionale, Cascio, «si faceva pagare dal gruppo parlamentare Pdl l’autista e la segretaria personale», rispettivamente 162.955 e 155.239 euro. Come si vede, si tratta di uno stile trasversale, comune alle diverse forze politiche. Divise su tutto, almeno su una cosa sembra che esse convergano: il disprezzo per il bene comune.

Non sono in grado di dire se le accuse mosse dalla Guardia di finanza e dalla Procura della Repubblica siano fondate. So che, rispetto al Veneto e alla Lombardia,  in Sicilia, a parità di finanziamenti, la gestione dei servizi pubblici si svolge a livelli incommensurabilmente peggiori. Per citare solo un settore di particolare rilevanza per la vita dei cittadini, chiunque abbia avuto contatti con i nostri ospedali e abbia potuto confrontarli con quelli del Centro e del Nord Italia, ha potuto constatare che la differenza è quella che passa tra Primo e Terzo Mondo.  Sembra che i soldi siano, in partenza,  gli stessi. Ma dove vanno a finire? Perché gli esiti, alla fine, sono del tutto diversi? È solo un esempio. Se ne potrebbero menzionare innumerevoli altri.

Ma non sono gli sprechi dissennati di cui sarebbero stati responsabili i nostri deputati a causare questa situazione. E’ la mentalità, la cultura che sta dietro di essi. E’ la logica clientelare che caratterizza ogni loro mossa. E’ il capovolgimento  che trasforma l’azione del politico, incaricato di fare l’interesse di tutti anche a costo del proprio, in una continua ricerca del proprio interesse a costo di quello di tutti. E questo, dicevo, con una trasversalità che rende profondamente omogenee, in Sicilia, le diverse componenti della classe politica e le fa essere davvero una casta intenta – a  di là della retorica e della “facciata” – a tutelare i propri privilegi e a trarne il massimo di profitto.

Il risultato sta davanti ai nostri occhi: la Sicilia affonda. Emblematica la situazione di  Palermo. Tutto chiude. E non solo esercizi commerciali che avevano sempre occupato un posto di primo piano nella vita economica della città, ma anche istituzioni simboliche della sua identità. Nello stesso numero in cui parlano dei portaborse, i quotidiani segnalano che sta per chiudere l’Hotel des Palmes, un pezzo di storia della nostra città, e che Villa Igiea, un altro pezzo importante, aprirà ormai solo durante i mesi estivi. C’è da meravigliarsi se i giovani – almeno quelli che possono – scappano, depauperando ulteriormente la nostra Isola, che aveva investito su di essi risorse e speranze?

Di fronte a questa deriva non bastano il disgusto e l’indignazione. Sia dell’uno che dell’altra ne abbiamo in abbondanza. Lo dice l’astensionismo massiccio che alle ultime elezioni regionali ha portato  il 52,58% degli elettori a non andare alle urne. Il quadro che abbiamo delineato è anche la conseguenza di questo rifiuto della politica. Perché non è fuggendo che si risolvono i problemi.

Come, allora? Prima di tutto prendendo coscienza delle proprie responsabilità. Se i nostri rappresentanti sono così, un motivo ci sarà. E il motivo siamo noi, i rappresentati, che li votiamo o che, come unica alternativa, non facciamo nulla perché siano, in futuro, sostituiti da altri. Di partecipazione democratica in Sicilia non c’è più stata l’ombra dai tempi della “primavera di Palermo”. Non si tratta di fondare un nuovo partito, ma di avviare percorsi condivisi, a partire dal basso, per cominciare a preparare un radicale rinnovamento. Questo suppone non solo un rapporto più attento con la realtà a livello di informazione, ma anche e soprattutto uno sforzo di riflessione che consenta di elaborare nuove prospettive. Prima che di votare o di non votare, si tratta di ricominciare a pensare, a confrontarsi, a progettare. Perché prima che politica, la nostra crisi è culturale.

La “rete” può essere una grande risorsa per questo sforzo di comunicazione e di elaborazione. Deve nascere un’opinione pubblica diversa da quella attuale, spesso più interessata ai fatti di cronaca nera che alla politica. E la “rete” può essere la grande agorà, la piazza su cui incontrarsi per preparare il nuovo. Stando bene attenti, però, a non usarla solo per rovesciare in essa le proprie lamentele, bensì cercando di partire da fatti concreti per pensare in positivo soluzioni nuove. Della nostra indignazione chi sta al potere ha dimostrato di non avere alcuna paura. Forse potremmo fargliene, almeno un pochino,  se cominciamo ad avere delle idee.

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