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In fila con gli altri

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Introduzione alla lectio divina su Mt 3, 13-37

12 gennaio 2014 – Battesimo di Gesù

Allora Gesù dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. 14 Giovanni però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me?». 15 Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia». Allora egli lo lasciò fare. 16 Appena battezzato, Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui. 17 Ed ecco una voce dal cielo che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento».

 

 

Battesimo di Gesù, Giotto (1308), Cappella degli Scrovegni, Padova

 

Il tempo di Natale trova il suo epilogo liturgico nel Battesimo di Gesù.

Ci troviamo di fronte ad un salto storico e geografico davvero impegnativo da affrontare: passano circa trent’anni tra l’atmosfera tiepida e intima dell’adorazione dei Magi al bambino, che gli astri indicano come Salvatore di tutta l’umanità, ed il contesto pubblico del battesimo al fiume Giordano. Solo la superficialità del distratto o l’abitudine del tiepido consentono di rimanere indifferenti rispetto a tale repentino passaggio.

Il battesimo di Gesù segna, al contrario, uno stile dirompente per gli uomini del nostro tempo ed un vero e proprio manifesto della identità del Figlio.

Per l’evangelista Matteo, la prima azione pubblica di Gesù è quella di mettersi in fila insieme agli altri peccatori, che intimoriti dalla minaccia del giudizio imminente, ritengono di dover chiedere  il perdono di Dio tramite la immersione (simbolo di una morte e di una risurrezione) praticata dal Battista. Gesù si fa, dunque, uomo tra gli uomini, simile in tutto ai suoi fratelli tranne che nel peccato (Eb 2, 17 – 4,15). Il Messia sceglie di mettere da parte la sua grandezza, di non chiedere il trattamento che gli è riservato e di farsi passare per un semplice peccatore, anche a costo di far torto a sé stesso.

Al contrario dei – sin troppo frequenti –  esempi di uomini (anche illustri) che non ammetterebbero mai pubblicamente di aver sbagliato, il Gesù di Matteo mostra di non tenere in soverchio conto la propria grandezza, il proprio ruolo o i propri talenti, in definitiva il proprio status messianico. Non gli importa troppo delle differenze, soprattutto se tali differenze costituiscono un ostacolo al rapporto tra fratelli.

 

Uno di coloro che, invece, vorrebbe mettere i puntini sulle “i” è proprio Giovanni Battista, il quale, consapevole di aver di fronte il Totalmente Altro, protesta la verità e pone ostacoli alla scelta incomprensibile di Gesù, un po’ come Pietro farà nell’episodio della lavanda dei piedi (Gv 13,8). Sono io che ho bisogno di essere battezzato da te, e tu vieni da me? Il Battista sembra comprendere chi è Gesù, ma non ancora come agisce il Salvatore: è Lui a venire da me (in greco su erche pros me;)? Giovanni si trova spaesato di fronte al paradosso che rovescia le categorie umane fondate su potere e forza in nome dell’amore per l’uomo.

Ma il Battista non rimane vittima del suo limite, la sua grandezza non sta tanto nel comprendere subito chi è il Cristo, quanto in quel “lasciar fare”, nell’obbedienza frutto di un ascolto attento della Parola di Dio, che traspare dal Volto che gli sta di fronte. Per usare le parole di Manicardi, ci troviamo di fronte ad una reciproca obbedienza giustificata dal fatto di essere prima di tutto obbedienza alla Parola di Dio, uno stile di obbedienza che costituisce un concreto esempio cui informare le scelte individuali e comunitarie di ogni cristiano.

La immersione del Senza Peccato nel fiume che conteneva tutti i peccati del popolo eletto segnala il primo momento del ministero pubblico di Gesù. Viene ad essere anticipato l’incontro fra cielo e terra che il Primo Testamento prefigurava e che il Figlio è venuto a realizzare nel mondo. L’uomo e Dio, oggi, sono tutt’uno in Cristo, la incarnazione è in atto.

Tutto ciò è celebrato da una serie di eventi eccezionali che sono il segno teologico (che si ripeterà anche nell’episodio della trasfigurazione e nella passione) della presenza di Dio su Gesù (i cieli si aprono, lo Spirito discende come la colomba della Creazione, si ode una voce). Ci troviamo di fronte ad una vera e propria sua investitura messianica. Non solo un grande re, non solo un profeta, non solo un sacerdote. È l’inveramento della profezia di Isaia (Is 42,1): Ecco il mio servo che io sostengo, il mio eletto di cui mi compiaccio. Ho posto il mio spirito su di lui.

Il battesimo di Gesù segna il compiacimento di Dio. Questi è figlio mio. È il cuore di Dio che si svela. Per Gesù e per ogni uomo che crede per mezzo di Lui.

Queste parole di Dio all’inizio di ogni vangelo sinottico (cf. Mc 1,11; Lc 3,22) sono anche per ciascuno di noi, che dovrebbe sentirle rivolte a sé: sì, Dio mi dice che sono suo figlio, che sono da lui amatissimo. Ciascuno di noi dovrebbe sperare che Dio gli possa dire: “Di te mi compiaccio, di te mi rallegro!”, ma forse, conoscendo le nostre rivolte verso Dio, i nostri peccati, esitiamo a crederlo possibile. Noi esitiamo, eppure dovremmo esserne convinti: queste sono le parole che Dio vorrebbe dirci e che ci dirà se speriamo in lui, non in noi, nella sua misericordia, non nelle nostre giustificazioni.” (E. Bianchi).

 

Lorenzo Jannelli

 

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