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Miriam Makeba: a cinque anni dalla sua scomparsa

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UNA VITA, UNA “VOCE”,  A SERVIZIO DEL SUO POPOLO

 

di Fernanda Di Monte

 

«Osservo una formica e vedo me stessa: una sudafricana dotata dalla natura di una forza molto  più grande del suo stesso corpo, per poter sostenere il peso di un razzismo che ne frantuma lo spirito. Guardo un uccello volare e vedo me stessa: una sudafricana che si innalza al di sopra delle ingiustizie dell’apartheid con ali d’orgoglio, l’orgoglio di uno splendido popolo. La mia vita, la mia carriera, ogni canzone che canto, ogni apparizione pubblica, sono strettamente legate alla condizione della mia gente».

In queste parole Miriam Makeba ha racchiuso la sua esistenza ed esprimono tutta la sua anima, tutto il suo amore per la  terra e per il  popolo del  suo Sudafrica.

Settantasei anni, era nata il 4 marzo 1932 a Johannesburg, figlia unica del secondo matrimonio di sua madre Cristina, di etnia  swazi, con suo padre Caswell, morto quando aveva sei anni, di etnia  Xhosa.

La sua musica altro non era che una lotta per l’uguaglianza, l’integrazione.

 

Miriam è stata una donna,  un’artista,  che si è dedicata completamente ai  temi sociali  e umanitari, da questo impegno sono scaturiti i diversi riconoscimenti ricevuti per il suo messaggio di uguaglianza: il Premio della Pace Dag-Hammaerskjold , nel 1986;  la sua nomina all’ONU per la Guinea, la sua collaborazione fin dal 1999 con  la FAO  che l’ha portata in giro per l’Africa e per il mondo, ambasciatrice dei milioni di persone che soffrono. Nell’ambito di questa attività è stata ricevuta dai leader mondiali, quali Fidel Castro,  presidente di Cuba, Hailé Selassie,  imperatore di Etiopia, Jonh F. Kennedy, presidente degli Stati Uniti, François Mitterand, presidente della Francia.

Alla sua esistenza, insieme ai riconoscimenti artistici, non sono mancate grandi sofferenze. Dai trentun anni  di esilio, proprio per le sue battaglie contro l’apartheid all’impedimento di  rientrare in patria nel 1960, per il funerale della mamma,  alla privazione della  nazionalità da parte delle autorità. Così ha avuto  inizio il suo lungo esilio negli Stati Uniti, in Europa e in Guinea.

Fu la prima donna nera a vincere il Grammy Award per l’album ‘An Evening with Belafonte/Makeba’, inciso insieme a Harry Belafonte nel 1965.

Due anni dopo arriva la fama mondiale con ‘Pata Pata’, ispirata a una danza in una baraccopoli. Nel 1968 sposa il leader delle Pantere Nere, Stokely Carmichael. La cosa non  manca di sollevare aspre controversie negli Stati Uniti e Makeba si vede annullare i contratti discografici.  Carmichael e Makeba si trasferiscono in Guinea. Il matrimonio dura però pochi anni: nel 1973 Makeba si separa e riprende a cantare, soprattutto in Africa, Sudamerica ed Europa.

Dopo la morte della figlia Bongi, nel 1985, «morta perché l’esilio l’ha fatta impazzire», scriverà Miriam, nella sua autobiografia, «io devo continuare a parlare contro il razzismo e la violenza assassina». Si  trasferisce in Europa, a Bruxelles, dove rimane fino al 1990, quando la liberazione di Nelson Mandela la convince a rientrare nel suo Paese.  Ma passano sei anni prima che esca il suo nuovo disco, ‘Homeland’, in cui racconta sempre l’apartheid, ma anche la gioia di essere tornata nel suo paese. «Ho mantenuto la mia cultura, ho mantenuto la musica delle mie origini, grazie a questo sono diventata questa voce e questa immagine dell’Africa e del suo popolo, senza esserne cosciente».

Nel 1992 recitò nel film “Sarafina! Il profumo della libertà”, ispirato alle sommosse di Soweto del 1976, nel ruolo della madre della protagonista. Nel 2002 prese parte anche al documentario “Amandla!: A Revolution in Four-Part Harmony”, ancora sull’apartheid. Nel 2001 ricevette la Medaglia Otto Hahn per la Pace. L’anno successivo vinse il Polar Music Prize insieme a Sofia Gubaidulina e nel 2004 si classificò al 38° posto nella classifica dei “grandi sudafricani” stilata da SABC3. Nel  2005 decise di fare un tour per dare addio alle scene…venne e Roma, per cantare al Concerto di Natale, in Vaticano (era la terza volta che vi partecipava).  E, nonostante la poca salute,  aveva accettato di cantare contro le mafie e il razzismo, a Castel Volturno(Ce),  felice di dare il suo contributo: « Ho trascorso 31 anni della mia vita in esilio forzato dal mio paese, io e la mia musica siamo stati banditi dal Sud Africa, perché le mie canzoni venivano considerate politiche. Ho sempre rifiutato questa definizione, perché ciò che mi limitavo a fare era descrivere la realtà cheavevo visto».

Se n’è  andata sulla “scena”,  tra il  9 e 10 novembre 2008,  testimoniando fino all’ultimo la determinazione di lottare contro le ingiustizie. Vicino  a lei il nipote Nelson e il suo manager e amico italiano,  Roberto Meglioli.   A noi che abbiamo avuto il dono della sua amicizia, la gioia e l’impegno di conservare la sua “memoria”.

«Ci sono», diceva, « tre cose con le quali sono venuta al mondo, tre cose che rimarranno con me fino al giorno che morirò: speranza, determinazione e la mia musica. Sono cose in comune con la mia gente».  E la sua gente, come al rientro dall’esilio nel 1990, che tanto l’aveva emozionata, l’ha accolta con l’inno nazionale …

 

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