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“Le tre chiamate del cristiano: alla guarigione, alla preghiera, alla missionarietà” – Introduzione alla Lectio Divina su Mc 1, 29-39

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29E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni. 30La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei.31Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli. 32Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. 33Tutta la città era riunita davanti alla porta.34Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. 35Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava.36Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce 37e, trovatolo, gli dissero: «Tutti ti cercano!». 38Egli disse loro: «Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». 39E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

church-722386_640In primo piano, in questa pericope del vangelo di Marco, sono successivamente tre diversi aspetti della personalità di Gesù: il guaritore, l’orante, il maestro che annuncia il Regno. Ognuno di essi ci riguarda ancora oggi da vicino.

La salute fisica è uno degli elementi della “qualità della vita” a cui siamo ormai particolarmente sensibili. Abbiamo sempre più orrore della malattia e della morte. La diffusione degli ospedali e degli istituti di riposo per anziani ha sempre più allontanato dalle nostre case lo spettacolo della sofferenza e della decadenza fisica. Si va a visitarle e si fugge via in fretta, con un senso di sollievo, ansiosi di lasciarci riprendere dalle cose di ogni giorni.

Forse perché l’infermità costituisce un segno inquietante della nostra finitezza. Non è un caso che, nel vangelo, siano i malati i più solleciti ad accorrere verso Gesù e ad invocarne il soccorso. E non lo è neppure che tanti santi siano stati messi sulla strada della conversione da un periodo di immobilità forzata, dovuta a una indisposizione o a una ferita, che ha interrotto il corso frenetico della loro vita. Nella crisi del nostro benessere fisico ne affiora un’altra, più profonda, che coinvolge il senso della nostra esistenza. Si sperimenta, da un giorno all’altro, la fatuità di tante cose che prima potevano sembrare importanti: affari, successo, impegni di lavoro, svaghi, tutto si rivela convenzionale, relativo. La malattia ci riconduce all’essenziale, apre i nostri occhi e ridesta lo stupore di fronte alle cose che non avevamo più il tempo di guardare: un raggio del sole al tramonto che entra nella stanza, un sorriso, la realtà del nostro stesso corpo.

Il malato trova il tempo per guardarsi intorno, riflettere e riscoprire le cose che contano. Certo, la sofferenza ci può anche peggiorare. Essa ci sfida, chiedendoci un “supplemento d’anima” per affrontarla, e, se ci rifiutiamo di aprirci a questa prospettiva, il nostro stesso rifiuto diventa la nostra prigione e la nostra disperazione. Ma, se ci lasciamo plasmare dalla prova, essa ci insegna molte cose. Prima di tutto, ad accettare di essere deboli e a chiedere aiuto agli altri e a Dio. Poi, a convivere con il nostro dolore e ad accettarlo come un fratello. Infine, a comprendere quello altrui.

Se ci rendiamo conto di questo, allora la folla di malati che si accalcano intorno a Gesù, nella scena descritta da Marco, non ci apparirà più estranea, perché scopriremo che essa è solo una parabola della nostra stessa vita. Siamo noi coloro che si stringono intorno a Cristo e gli chiedono di essere guariti; siamo noi i malati che, quando abbiamo la grazia di scoprirci tali, invochiamo una salvezza che da noi stessi non possiamo darci. Ed è da noi che Gesù, col suo comando, scaccia i demoni che ci tormentano.

Ma, nel racconto di Marco, affiora un altro aspetto fondamentale della esperienza di Gesù, quello che si riferisce al suo rapporto intimo e solitario col Padre. Dopo una frenetica giornata dedicata a guarire i fratelli, egli trova le forze per alzarsi «quando ancora era buio» e recarsi all’appuntamento dell’orazione del cuore. Lo immaginiamo in riva al lago – la scena si svolge a Cafarnao – , solo, mentre il profondo silenzio della notte e le prime luci dell’alba avvolgono il suo dialogo di uomo con Colui verso cui, come Verbo, è rivolto dall’eternità (Gv 1,1). Un monito implicito a quei cristiani che, troppo presi dagli impegni di servizio agli altri, non trovano il tempo per fermarsi e pregare.

Infine, il terzo aspetto a cui si accennava è quello del predicatore del Regno. Lo stesso che è prefigurato nelle guarigioni e nella cacciata dei demoni, lo stesso che si realizza nella comunione col Padre, e che però deve anche essere annunciato, espresso, oltre che nei gesti, con le parole della predicazione. Nessuna comunità può credere che il Signore sia venuto solo per i suoi membri e chiudersi in una spiritualità autoreferenziale. Gesù sfugge a coloro che vorrebbero trattenerlo e va sempre in cerca di uomini e donne che ancora non hanno ricevuto il messaggio del Vangelo. La missionarietà è intrinseca alla esperienza cristiana.

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