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La scuola è ancora un bene comune?

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di Fabio Mazzocchio

 

La domanda espressa dal titolo – alla luce delle preoccupanti politiche pubbliche degli ultimi decenni – trova purtroppo una risposta negativa. Forse molti in Italia credono ancora nell’importanza di un robusto sistema formativo, che aiuti il Paese a progredire e a educare cittadini all’altezza delle sfide globali. Ma un’analisi concreta dei processi in atto ci pone di fronte all’amara constatazione che l’attenzione e le risorse destinate alle politiche scolastiche (e all’università e alla ricerca) non solo non reggono il confronto con le scelte operate in altri Paese della stessa fascia, ma addirittura nel corso degli anni hanno subito un significativo decremento. Basti qui considerare gli investimenti relativi alla funzione docente, all’edilizia scolastica, alla formazione, al diritto all’istruzione, alla prevenzione della dispersione.

Un Paese che non investe nel suo sistema d’istruzione è un Paese che non investe sul futuro e sulle nuove generazioni. Purtroppo si tratta di strategie complessive che la politica italiana non è stata in grado di porre in essere, anzi ha considerato la scuola come luogo di tagli per varie esigenze di cassa. Del resto basta entrare nel merito dei provvedimenti contenuti nel decreto scuola dell’attuale governo (ma molto ci sarebbe da riferire circa le scelte operate nelle legislature passate …) per accorgersi come la tanto annunciata “inversione di tendenza” nelle politiche di investimento sulla scuola sia solamente uno slogan privo di reali effetti. Si tratta di un leggero aiuto prestato a un paziente cronico, che avrebbe necessità immediata di terapie d’urto ben più efficaci e sostanziali.

Ma cosa significa affermare che la scuola per una nazione è un bene comune? Significa innanzitutto credere che l’educazione e l’istruzione siano un modo per aiutare le nuove generazioni a compiere il loro percorso di autonomia e responsabilità. Significa pensare che la democrazia ha vitalità se è costituita da cittadini in grado di scegliere le proprie classi dirigenti e sostenerle nella loro azione politica. Significa, ancora, pensare all’istruzione come strumento promotore di uguaglianza, inclusione e parità. Significa credere che lo sviluppo è sostenuto da competenze diffuse e radicate. Significa, inoltre, pensare che la mobilità verticale – in un paese immobile come il nostro – non sia solo una chimera, ma nasca dalla buona formazione e dalla crescita del suo popolo. Insomma, dire scuola-bene comune è per molti versi dire democrazia e inclusione sociale.

Le scelte operate dal legislatore negli ultimi decenni sembrano di fatto aver dimenticato quanto nel disegno costituzionale la promozione alla cittadinanza e alla partecipazione dipenda dal sistema d’istruzione che lo Stato è in grado di proporre. La qualità della vita sociale non è rilevabile solamente da indicatori economici (Pil, Spread, Bilanci, …), ma anche dal modo con cui le nuove generazioni vengono accompagnate, sostenute e rese abili alla vita da quanti le precedono. Questo ci porta a ribadire che classi dirigenti miopi non hanno svolto un lungimirante investimento sul futuro. Un patto tra generazioni in cui si decida di mettere da parte privilegi e status ormai insostenibili a favore della crescita e della formazione dei più giovani. Le rendite generazionali saranno presto balzelli di cui pagheranno il saldo i ragazzi e i giovani in termini di opportunità, crescita e realizzazione. In Italia sembra che il tempo si sia fermato e che non ci sia ospitalità sociale per i progetti di vita dei ragazzi. È forse il tempo di operare una conversione prospettica, proporre una visione inversa del rapporto generazionale e delle reciproche esigenze. Rischiamo seriamente di perdere l’ultima chiamata per la società globale, in cui la scala della competizione si allarga sempre più: le competenze e la qualificazione formativa saranno le uniche risorse contro la marginalità e il regresso.

L’agenda europea, dal Trattato di Lisbona (2007), individua alcuni macro-obiettivi il cui asse è centrato sulla funzione dell’istruzione e della formazione. Nel Trattato, infatti, si parla: a) di mobilità e occupazione; b) di alti livelli di istruzione e di riduzione dell’abbandono scolastico; c) di solidarietà tra le generazioni. Siamo convinti che queste linee rischiano seriamente di essere disattese se il nostro Paese non deciderà di invertire il trend, evitando il progressivo depauperamento della scuola pubblica italiana. Serve riconsegnare ai cittadini di oggi e a quelli di domani questo imprescindibile strumento per la buona vita comune. 

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