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“La filosofia aiuta ad abitare l’incertezza” – Intervista a Davide Penna

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L’inizio delle lezioni del nuovo anno scolastico è alle porte. Come ogni anno, il sistema scuola del nostro Paese parte con tanti problemi e altrettanti speranze. Fra le competenze che apprenderanno gli studenti di alcuni indirizzi superiori ci sono quelle relative alla disciplina della filosofia che risulta fra le più significative per affrontare le complessità del nostro tempo. Di questo tema discutiamo con Davide Penna. Docente di filosofia e storia presso il Liceo classico G. Mazzini di Genova, insegna Storia della filosofia presso la sezione genovese Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale. Per le edizioni Marcianum press, ha recentemente pubblicato – insieme ad Angelo Tumminelli – il volume Una scuola di vita. Filosofia e insegnamento.

– Professore Penna, qual è il rapporto tra la filosofia e la realtà giovanile di oggi?

È difficile ricondurre in una singola tendenza tutta la realtà giovanile, quella di oggi come quelle di ieri. Tuttavia si possono indicare alcune dinamiche, anche alla luce della propria esperienza. Mi sembra che una di quelle fondamentali relativa alle generazioni di oggi sia la mancanza di riferimenti stabili.

Ora, questa assenza spesso conduce ad una instabilità (emotiva, psichica, valoriale, morale, relazionale) che può rendere particolarmente problematico il percorso di crescita. Ecco, allora, il possibile legame con la filosofia: essa si nutre della problematizzazione di ciò che l’opinione comune ritiene ovvio, e quindi del trauma, della meraviglia intesa in senso greco (il celebre thaumazein di aristotelica memoria, molto più simile ad un turbamento esistenziale che dà le vertigini e non tanto ad un incantato e piacevole stupore), dell’instabilità, appunto.

La filosofia può aiutare, così, ad abitare l’incertezza, evitando il rischio mortale per l’autentica onestà dell’intelligenza di “crogiolarsi”, per così dire, nell’assenza di verità, e cercando, attraverso il rigore di una razionalità aperta e umile, di approfondire la complessità del reale. Quindi direi che la filosofia può essere una straordinaria occasione per vivere razionalmente la fragilità, approfondirla e custodirla nell’apertura alla verità di sé, degli altri e del mondo. In che modo la filosofia far questo?

Perché permette al giovane di entrare in contatto con le domande profonde che i grandi della storia si sono posti e di provare a comprendere le loro risposte. Allo stesso tempo, affinché la filosofia sia vissuta in questo modo occorre grande professionalità da parte del docente e grande disponibilità e serietà da parte dello studente. Fattori che non possono, ahimè, essere dati per scontati. Come tutti i doni della vita, anche la filosofia è lasciata alla responsabilità e alla libertà di coloro che sono chiamati ad esercitarla o a studiarla.

 – La filosofia è un insegnamento che permette l’acquisizione di competenze relative alla formazione integrale della persona come quelle collegate all’affettività, alla maturazione della coscienza civica e del senso critico. Non si tratta, soltanto, di studio storico del pensiero umano dai classici ai nostri giorni. È così?

Sì, penso che sia così, anche se non disgiungerei eccessivamente le due dimensioni della maturazione delle competenze e dello studio storico del pensiero. Ritengo che – se studiati con rigore e attenzione – i cosiddetti classici possano essere una bella occasione per maturare competenze trasversali quali quelle elencate. In fondo, lo stesso significato del termine classico è da ricondurre a ciò che, pur essendo parte del passato, continua a essere un riferimento per il presente.

Il classico è in sé e è per sé in virtù dell’attuale, altrimenti non è classico ma solo passato e studiandolo non si conosce la storia ma, tutt’al più, un reperto di archeologia. Da questo punto di vista, allora, uno studio rigoroso della storia o del processo storico di qualcosa – come la filosofia – ha già in sé la potenza dell’attuale. Anche in questo caso ci si può chiedere, come può ciò che è classico far questo? E che cosa significa la stessa esistenza di qualcosa di classico? Evidentemente richiede la presenza di un universale umano che ritorna a riproporsi, si approfondisce e permette alle diverse generazioni di esseri umani di dialogare in modo fecondo.

Tuttavia, oggi ci sono una serie di ostacoli che possono disinnescare tale attualità di ciò che è classico: pregiudizio diffuso verso l’idea stessa di ciò che è universale, tempi stretti e contingentati, una mal compresa idea di efficienza che fornisce pretesti per non andare a fondo delle questioni, dei testi, dei pensatori. Occorre, invece, fare in modo che il docente sia il più possibile docente, competente nelle sue discipline, in grado cioè di far parlare la materia che gli è affidata andando alla radice delle questioni senza superficialità e permettendo agli studenti, così, di scoprire da sé la bellezza e l’importanza di ciò che gli viene sottoposto. In altri termini, il senso critico, la coscienza civica, l’affettività, sono dimensioni che si educano personalmente nell’incontro con la bellezza.

La filosofia a scuola è chiamata a mostrare tale bellezza permettendo allo studente di maturare competenze. Ma vedo come artificioso – e in fin dei conti inefficace – un insegnamento che si proponga di “immettere”, per così dire, direttamente negli studenti tali competenze (come la celebre immagine socratico-platonica del Simposio in cui viene sottolineato come la sapienza non sia un liquido che si possa versare da un recipiente all’altro), soprattutto nelle materie umanistiche in cui il contenuto, spesso, non è solo un’informazione.

– Un insegnamento, quello della filosofia, che pone dinanzi al giovane quesiti circa il senso profondo dell’esistenza. Dalla sua pratica didattica, cosa emerge rispetto a tale questione?

I giovani hanno un gusto naturale molto spiccato verso le questioni esistenziali. Spesso, tuttavia, a scuola tendiamo a sopire tale tendenza, forse perché per primi come adulti e insegnanti smettiamo di farvi i conti. Ma se separiamo eccessivamente la quotidianità didattica dalle domande di senso (anche circa quello che insegniamo e studiamo), rischiamo ben che vada di educare solo la dimensione tecnico-strumentale (cosa di per sé molto nobile ma che può essere insufficiente), nella peggiore delle ipotesi di crescere e formare degli alienati che passano la maggior parte del tempo in un posto, la scuola, che non nutre minimamente la dimensione più profonda e più pressante dei giovani.

Ovviamente sottolineare questo non significa raccomandare una didattica che venga plasmata attorno ai gusti immediati o alle questioni imposte dalla moda del momento; al contrario, significa raccomandare alla didattica di attingere alla fonte dei contenuti di studio, che è sempre un problema – non solo concreto, ma anche esistenziale e di senso – che l’umanità ha tentato di risolvere nel corso dei secoli.

Nella mia esperienza ho toccato con mano quanto interesse vi sia tra i giovani verso questioni come la conoscenza, la felicità, la vita buona, le ragioni ultime dell’esistere, la tutela del più debole, l’ordinamento e l’organizzazione della società, e molte altre ancora. Allo stesso tempo, tale interesse va nutrito con contenuti razionali, solidi, profondi e approfonditi, che non vanno ridotti ad uno scambio di opinioni (la discussione tra pari può essere un momento proficuo per la didattica, ma non può essere l’unico e nemmeno quello definitivo) ma alimentati dalla fatica di uno studio rigoroso e attivo.

Si badi, questo può generare una reazione di rigetto nei giovani (e non solo in loro), che non sempre si lasciano coinvolgere in tale dinamica; anche questa mi sembra una delle sfide della scuola in un tempo dove ci sembra (spesso a torto) che tutto sia accessibile dal proprio smartphone in pochissimi secondi e dove gli interventi nei dibattiti sono spesso appiattiti ad opinioni sullo stesso piano.

– La filosofia nella scuola di oggi, al pari di tutte le altre discipline, abbisogna di metodologie didattiche opportune. Come si insegna filosofia in un liceo italiano del XXI secolo?

Non penso ci sia un modo univoco, specifico e universale per un insegnamento efficace della filosofia, come delle altre discipline. Certamente vi sono alcuni elementi essenziali per una didattica di qualità che sappia anche affascinare, coinvolgere, riempire di senso, bellezza e fatica feconda le ore di lezione. Il primo degli ingredienti necessari è la cura della relazione, in tutti i molteplici sensi e aspetti del termine. Innanzitutto, la relazione con gli studenti, che è un rapporto specifico, che non va appiattito al livello dell’amicizia o dei rapporti familiari, ma che è comunque una relazione educativa.

Essa richiede quell’attenzione, da parte del docente, che gli permette di essere davvero presente a tutti gli studenti quando fa lezione. Una relazione, quindi, autentica, trasparente, ma anche esigente perché deve condurre lo studente non semplicemente ad accettarsi così com’è, ma anche e soprattutto (e le due cose non sono da contrapporre) a divenire e a dare il meglio di se stesso. Poi relazione con i contenuti della propria disciplina, e qui vengo ad un secondo elemento: la competenza disciplinare. Un docente deve conoscere bene la propria disciplina per insegnare bene.

Naturalmente la conoscenza dei contenuti non significa di per sé saper insegnare, ma è comunque un elemento necessario. Avere una buona conoscenza permette, infatti, di coinvolgere lo studente, di portarlo a dialogare con i testi dei grandi pensatori, di entrare in essi e nelle questioni a fondo, mostrarne conseguenze e interpretazioni, suscitare domande e darvi ampiezza.

Poi, certamente, altro elemento essenziale è la capacità di mediare i contenuti della disciplina declinandoli per persone di 16, 17, 18 anni e incrociandoli sapientemente, senza cioè abbassarne la portata teorica e riflessiva, con le loro domande. Per far questo possono esservi diverse metodologie didattiche, che non sono sempre valide per ogni situazione, ma che richiedono la capacità del docente di discernere le esigenze e i momenti. In questo senso nel libro richiamato all’inizio dell’intervista, abbiamo fornito con il professor Tumminelli alcune indicazioni alla luce della nostra esperienza: l’uso delle cosiddette ICT, la didattica laboratoriale, la discussione guidata, i lavori di gruppo, ma anche la tanto bistrattata lezione frontale e la lettura e il commento, da parte del docente, dei testi filosofici.

– Diversi aspetti accomunano le discipline della filosofia e della religione cattolica. Quali percorsi didattici di collaborazione possono svilupparsi fra questi due insegnamenti?

Sono d’accordo, anche l’insegnamento della religione cattolica può essere un’occasione per approfondire le domande esistenziali più pressanti e ha, quindi, diversi aspetti in comune con la filosofia. Possono essere condotti efficaci progetti didattici trasversali alle due discipline.

Al di là degli aspetti maggiormente storici, in cui, ad esempio, la conoscenza del percorso del pensiero filosofico in età imperiale e tardo antica può costituire uno sfondo solido che permette di comprendere in modo più pertinente e proprio i contenuti dottrinali della religione cristiana – a partire da come si sono formati, in risposta a quali esigenze etiche e teoretiche – l’insegnamento della religione può essere un’occasione per approfondire temi filosofici mediante discussioni guidate, attività didattiche laboratoriali alla luce di film, approfondimenti di gruppo.

Ad esempio, negli anni di insegnamento della filosofia ho dedicato spazio a percorsi di approfondimento teoretico di film di attualità come Interstellar di Nolan, The tree of life di Malick, la trilogia di Matrix dei fratelli Wachowski o ancora Transcendence di Pfister e Don’t look up di Mckay; purtroppo, non sempre il tempo a disposizione è tale da permettere di cogliere e di approfondire i diversi temi e quindi di sviluppare un apprendimento davvero significativo.

Da questo punto di vista, lavorare insieme ai docenti di IRC può dare maggior respiro alle questioni e, quindi, permettere agli studenti di maturare competenze trasversali, a partire dalla comprensione critica dei diversi messaggi veicolati dai film e da una maggiore consapevolezza delle sfide del proprio tempo. In ogni caso penso che le due discipline siano entrambe chiamate da un lato a permettere agli studenti di conseguire quelle conoscenze specifiche dei loro percorsi che hanno a che fare con la storia, i sistemi filosofico-dottrinali, le domande profonde dell’umanità; dall’altro devono cercare di “mobilizzare”, per così dire, tali questioni verso orizzonti di senso a servizio delle sfide dell’attualità.

In fin dei conti, la sfida consiste nel trovare un equilibrio sapiente tra conoscere il passato senza disperdersi eccessivamente in nozionismi e nel sviscerare con intelligenza gli interrogativi del presente senza appiattirsi al livello dei dibattiti da talk-show. Così, il passato va conosciuto anche in vista del presente e il presente va interrogato alla luce di quell’universale umano che è il cuore dell’attività didattica ed educativa.

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