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La famiglia che umanizza: quattro conversazioni.

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 di Alfio  Marcello Briguglia

 

L’Expo di Milano ha avuto come tema l’alimentazione: “Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita”.

La preparazione dei cibi è uno degli elementi caratteristici delle culture locali, è sempre stata legata al sacro e alle tradizioni religiose. Il momento dell’assunzione del cibo è evento sociale. Nell’atto di alimentarsi corpo, anima, mondo, relazioni verticali e orizzontali si fondono.

Il discorso sulla alimentazione è quindi esteso quanto lo è il discorso sull’uomo, in senso reale e simbolico. Io lo vorrei restringere, con una operazione di zoom, dal mondo ad una famiglia riunita attorno alla tavola quotidiana.

Lì speranze e disperazioni, gioie e dolori trovano un momento di incontro; futuro e passato si presentano all’attenzione, per essere seriamente presi in considerazione.

Tutti gli ambienti di una casa parlano della vita quotidiana di una famiglia, tutti sono importanti, tutti ci raccontano storie. Ma ci sono luoghi e oggetti particolari, simbolici, che racchiudono tutti gli altri. Uno di questi è (o dobbiamo dire era?) la tavola da pranzo. La mensa familiare è più un ambiente, un gesto e un rito, che un oggetto o un luogo.

La chiesa italiana, in preparazione al convegno di Firenze è invitata a fare una riflessione su cinque verbi: uscire, abitare, annunciare, educare, trasfigurare.

Vediamo cosa ci dicono su alcuni di essi la mensa e il pasto quotidiano.

  1. La famiglia riunita attorno alla tavola: abitare la relazione, trasfigurare il pasto comune.

Partiamo, come in un film, per queste quattro brevi meditazioni, dall’immagine di una famiglia riunita attorno ad una tavola, per il pasto quotidiano.

Perlomeno una volta al giorno tutti i componenti di una famiglia dovrebbero mangiare insieme.

Senza essere disturbati dalla televisione, da tablet o smartphone.

Ognuno dei commensali non dovrebbe avere attenzione se non per chi è accanto a lui o lei, di fronte a lui o lei.

Sì, il televisore dovrebbe essere spento, perché ogni tanto è bene tenere chiusa la porta di casa, per un momento nel quale la famiglia si riconosce come famiglia, fa memoria del suo essere famiglia.

L’etnologo e antropologo francese Marc Augé ha scritto che ci sono luoghi che sono, in realtà, non luoghi, come aeroporti, stazioni, spazi anonimi, il contrario di una dimora, dove si deve essere riconosciuti mediante un passaporto o una carta di identità. Nel suo Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, ci avverte:

«I nonluoghi sono quegli spazi dell’anonimato ogni giorno più numerosi e frequentati da individui simili ma soli. Nonluoghi sono sia le infrastrutture per il trasporto veloce (autostrade, stazioni, aeroporti) sia i mezzi stessi di trasporto (automobili, treni, aerei). Sono nonluoghi i supermercati, le grandi catene alberghiere con le loro camere intercambiabili, ma anche i campi profughi dove sono parcheggiati a tempo indeterminato i rifugiati da guerre e miserie. Il nonluogo è il contrario di una dimora, di una residenza, di un luogo nel senso comune del termine. E al suo anonimato, paradossalmente, si accede solo fornendo una prova della propria identità: passaporto, carta di credito».

Sarebbe terribile se anche la dimora di famiglia diventasse un nonluogo!

Rallentiamo, allora, ogni tanto, il passo; usciamo dalle preoccupazioni per ciò che si è fatto e per ciò che si deve ancora fare. Entriamo nel nostro presente, qui e ora di fronte ai nostri familiari, insieme a loro. Prestiamo loro attenzione e ricordiamoci di ringraziare, perché anche per oggi si ha da mangiare.

Varchiamo la soglia della intimità familiare e regaliamoci un momento di sospensione, di silenzio, di amicizia.

Sedersi distratti, mangiare in fretta, rimanere chiusi nei propri pensieri significa sprecare uno dei momenti più significativi e simbolici della vita familiare.

A volte il momento del pasto comune è un momento di disagio perché è un momento nel quale non si riesce a nascondere quello che ci turba. Si è scoperti! I genitori leggono negli occhi dei figli ombre o sorrisi. E viceversa.

Le nubi che si addensano sul vissuto familiare vengono sempre notate durante il pasto in comune e diventano silenzi o tempeste. Quello del pasto quotidiano è quindi anche un momento di fragilità. Un momento rischioso.

Spesso è a tavola che si innescano le liti. Allora la televisione accesa è una coperta pietosa stesa sui problemi irrisolti e sulla incapacità di affrontarli. A volte sono i genitori che non osano guardarsi in faccia. O sono i figli che non osano guardare in faccia i genitori. O semplicemente non si ha voglia di parlare. Meglio, però, una lite, un momento di conflitto che nascondere la testa sotto la sabbia. A volte una coppia decide che la vita in comune non è più sostenibile; forse ci sono state prima tante occasioni nelle quali era possibile fare piccoli aggiustamenti; qualche lite a tavola invece del mutismo davanti al televisore avrebbe potuto mettere le cose su un percorso diverso. Allora meglio una lite! i problemi rimossi potrebbero diventare macigni che impediscono di proseguire il cammino. [Continua]

 

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