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Intervista a Enzo Bianchi

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di Alessandra Turrisi

 

“Basta con le battaglie ideologiche, che diventano patologia dell’umanizzazione”. Chiede dialogo e concretezza Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose, a proposito degli scontri sui temi etici che vedono come oggetto la famiglia. E proprio dei rapporti generazionali ha parlato all’Università di Palermo, assieme al filosofo Massimo Cacciari, nell’ambito del ciclo di incontri  promosso dal Cidi e dall’associazione Genitori e figli.

Priore Bianchi, davvero questa è una società senza padri?

“Oggi viviamo ancora di una reazione verso il paternalismo e verso il padre padrone e patriarca. Questi cambiamenti richiedono non pochi anni. Quella reazione ha fatto sì che ci sia stata una società, in cui da un lato c’è stata una dimissione dei padri, dall’altro una certa insofferenza da parte delle nuove generazioni nei confronti dei padri. Tutto questo ha provocato uno squilibrio all’interno della formazione di una persona. Penso solo a un fatto: tutti dicono ‘senza padre, senza parola’. La difficoltà che sovente le nuove generazioni hanno nel parlare, nel comunicare, è proprio dovuta alla mancanza della figura del padre. Ora si comincia a vedere la necessità di un mutamento – ne parlano soprattutto psicologi e sociologi – in cui si chiede che ritorni la figura paterna. Ma non potrà ritornare com’era prima, bisognerà crearne una che sia distinta, non superiore né inferiore, a quella materna, che sappia dare ai figli la capacità di una vita autonoma, che sappia autorizzarli ad essere se stessi in pienezza”.

C’è una chiara difficoltà dei giovani di vivere la progettualità. Lo si vede dalla diminuzione dei matrimoni, dalla difficoltà ad entrare nel mondo del lavoro. Come si fa a essere protagonisti e innovatori in questa situazione?

“Dobbiamo leggere le cause, non soltanto la situazione patologica del momento. Tra le cause c’è la mancanza di fiducia. Se non c’è fiducia, come si può costruire una famiglia? Se non è possibile avere fiducia nel futuro, com’è possibile avere dei figli? Questo mi sembra un tema molto importante su cui si mette troppo poco l’accento. E poi, se anche il lavoro diventa precario (che, dopo la sessualità, per gli uomini è la cosa più importante nel dare identità), come non lo saranno anche la famiglia e il legame di amore? Noi dobbiamo porci queste domande serie”.

Che tipo di intervento è necessario?

“Certamente ci vuole un intervento sul piano educativo a lungo termine. E poi la politica non deve sottostare al mercato e alle nozioni dell’economia, ma deve tenere conto di una polis, di una communitas, programmare interventi che costruiscano la solidarietà, che creino la possibilità di vivere insieme. Altrimenti diventiamo più barbari anche se aumentiamo la nostra qualità economica”.

La famiglia è al centro degli ultimi interventi di Papa Francesco. Grande scandalo ha sollevato l’esempio del fare figli come conigli. Quale effetto ha sulla gente?

“In quel caso Papa Francesco ha voluto fare una battuta, non di più. Il suo linguaggio efficace voleva dire una cosa: la paternità sia davvero responsabile, perché chi si chiude alla vita e non vuole figli dimostra di essere disperato verso la vita, chi fa figli senza essere capace di diventare padre e di portare qualcuno al mondo, fa un peccato uguale, che è contro un cammino di umanizzazione. Il Papa ha chiesto la responsabilità, ma non ha detto nulla contro le famiglie numerose, perché, se in quei casi maternità e paternità sono responsabili e significano dire un sì pieno alla vita, sono una benedizione”.

Oggi è messo in discussione il concetto stesso di famiglia. Il Papa, nel messaggio per la Giornata delle comunicazioni sociali, sostiene che non è “un terreno sul quale combattere battaglie ideologiche”. Cosa ne pensa?

“Il rischio è che ci siano battaglie ideologiche che non tengono conto della realtà di oggi, in cui anche la famiglia si mostra un ospedale da campo, come dice Papa Francesco. Si assiste alla trasformazione di una cultura, di un’antropologia, di una società. La Chiesa non deve fare della famiglia un oggetto per un dibattito o per delle guerre, ma deve vedere la realtà con molta intelligenza, con concretezza e su queste situazioni potere dare uno sguardo benevolo e che induca speranza. Se non c’è speranza sulla famiglia, non c’è speranza per la società e per il futuro dell’umanità. Le battaglie ideologiche vengono fatte anche da altri, i quali pensano a false liberazioni. Ci sono contrapposizioni ideologiche che sono sempre presenti. Questa è una patologia dell’umanizzazione, perché sul cammino ci si confronta, ci sia ascolta, non si fanno battaglie per creare dei fronti e dei nemici”.

 

(tratto dal Giornale di Sicilia del 28 gennaio 2015)

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