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In memoria della piccola Giorgia Angela

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di Rosa Rao*

 

Giorgia Angela, questo è il nome della piccola neonata lasciata morire dentro un cassonetto dell’immondizia, registrato all’anagrafe del comune di Palermo da un uomo sotto choc, chiamato ad assumersi la paternità di una bambina partorita dalla moglie: dalle sue dichiarazioni rese alla stampa, infatti, sembra di non essere assolutamente al corrente della gravidanza della madre dei suoi tre figli.

Così, in circa due ore di vita trascorse in mezzo ai rifiuti, si è consumata la vicenda terrena di una bambina considerata “un problema”. Nata lunedì 24 novembre 2014, morta lunedì 24 novembre 2014. La cronaca ci ha riferito con dovizia di particolari il suo ritrovamento fortuito in un cassonetto, dentro una sacca rossa chiusa, contenente le forbici e una copertina macchiate del suo sangue innocente e di quello della partoriente. L’affannosa ed inutile corsa in ospedale, l’autopsia sul cadaverino, le foto del funerale, l’espressione contristata del sindaco Orlando, le lunghe ed inutili cantilene di riprovazione delle autorità istituzionali.

I riflettori dei media sul tragico evento si sono spenti subito dopo per riaccendersi la stessa settimana nel riferirci un altro episodio di cronaca tristissima: sempre in Sicilia, nei pressi di Ragusa, era stato ritrovato, anche qui “per caso”, il cadavere del piccolo Loris di 8 anni. Due tragedie, due morti di bambini nelle quali è implicata la famiglia e la rete parentale. Sempre più frequenti gli abusi sui minori, sempre più triste la cronaca, sempre più disilluso il commento della gente comune. Restiamo tutti chiusi nelle nostre case, tutti inquieti, con l’incubo di un orco che si aggira fra di noi, dentro o fuori le nostre famiglie.

 

La piccola Giorgia, a sua insaputa “fardello insostenibile”, prigioniero nel corpo della madre, (non è forse diventato comune il pensiero della maternità come “condanna biologica” per le donne?), non poteva avere scampo: legati sempre intimamente nel corpo delle nostre madri, anche i nostri figli lo sono nel periodo unico della gravidanza. Eppure, non è razionale il comportamento di chi si sente autorizzato ad alzare il dito di condanna verso le donne che buttano via il sangue del loro sangue, “scarto” da destinare al macero, e poi tacere giustificando il ricorso all’aborto. Come si può tacere di fronte ad azioni inumane così frequenti, così tragiche, così inimmaginabili? Eppure è così. Nel caso di Giorgia, il distacco del cordone ombelicale non le ha consentito, secondo le leggi di natura, di acquistare quell’indipendenza vitale dal corpo di chi l’ha concepita per respirare con i suoi polmoni e, più in là, di camminare con i suoi piedini. In totale solitudine e angoscia, la piccola è stata condannata a morire soffocata dentro la maleodorante aria di un cassonetto. Non una culla profumata, non un abbraccio di desiderio, non un seno di madre che ti nutre, non la carezza di un padre che ti rassicura. Riferito dalla stampa lo sgomento dei passanti al momento del ritrovamento di quel corpicino ansimante: qualcuno ha invocato la salvezza tramite la Culla di via Noce, emblema di accoglienza della comunità locale, nell’illusione che ci sia un’àncora di salvezza in alternativa alla crudeltà umana. Di certo, era una presenza”muta”, e, con il n. verde SOS Vita 8008.13000 affisso sulle targhe segnaletiche, “forse” avrebbe costituito l’extrema ratio di fronte ad una disperazione tanto grande. Ma anche questo servizio è stato chiuso in città perché “quella” Culla” è stata ritenuta “superflua” dall’Assessorato regionale alla Salute: “Da noi i bambini non si buttano!”, ci è stato detto. Mi torna in mente, allora, il caso di un altro abbandono in città. Ai primi di febbraio del 2006, antivigilia dell’annuale Giornata per la Vita, un ragazzo sente un flebile lamento provenire da un cassonetto dei rifiuti e suppone che sia quello di un gattino abbandonato. Guarda fra i rifiuti e, stupefatto, si accorge che una neonata geme al freddo. Allertato il 118, la piccola quella volta fu salvata. Le fu dato il nome di Maria Regina. Ora vive fuori città e, con l’allegria dei suoi 8 anni, ha reso felice la famiglia adottiva.

No, i bambini non sono angeli come si evocano abitualmente. Giorgia non è un angelo, è di più. E’ un essere umano con un corpo piccolo piccolo che ora giace dentro una scatola bianca, tradita dal cuore che lei stessa ha sentito battere nei lunghi 9 mesi della sua formazione nel grembo di una donna. Nell’espressione del volto del padre durante il funerale della piccola trapelavano sgomento, rabbia, stupore. Più volte rivolgeva il suo sguardo incredulo verso quella piccolissima bara senza foto, avvolta dal velo bianco di un mazzo di fiori rosa offerto quale omaggio del cuore impotente del popolo della vita. I parenti, stretti fra di loro, erano basiti di fronte alla tragedia della quale sono diventati, ahimè, co-protagonisti. Fra urla e spintoni, è iniziato il funerale di una bambina passata dal buio promettente del suo involucro di carne materna a quello gelido di una sepoltura. Lacrime e disperazione ora restano a vita. Perché, perché, continuavano a chiedersi i passanti, perché ci chiediamo tutti noi? Lasciamo alle autorità competenti la risposta a questa domanda ma non vogliamo, non possiamo, seppellire i morti senza un estremo pensiero di affetto che dovrebbe accomunare tutta l’umanità. Amati o no, il destino fatale ci muove inesorabilmente verso l’ultimo approdo della morte e lasciamo a chi resta il giudizio terreno, che presto sarà dimenticato, sulle vicende della nostra vita. Non saranno i pettegolezzi, le critiche, le ipocrisie, a decidere del nostro futuro di esseri umani quando la nostra polvere si dissolverà per volare in alto dove la Morte è sconfitta. Il silenzio è doveroso.

Questo silenzio ha accompagnato tutto il rito del funerale svoltosi nella chiesetta del cimitero di S.M. dei Rotoli a Palermo prima che le spoglie mortali della piccola Giorgia fossero deposte nella tomba di famiglia. Il celebrante, padre Piero Furnari, nel corso dell’omelia non ha pronunciato alcuna parola di condanna sulla madre della piccola, accusata d’infanticidio dalla giustizia terrena. «Nessuno può giudicare quanto accaduto, ha detto. Solo il Signore può farlo. Ci si deve chiedere, però, perché tutto questo sia accaduto e di chi è la responsabilità”. Un funerale prima ancora di un battesimo, quel battesimo che ogni primo sabato del mese il popolo della vita invoca nella chiesa di quel cimitero attraverso l’Atto di riparazione contro il delitto dell’aborto. La vicenda, la cui eco è arrivata anche al Parlamento europeo, ha dato il coraggio a qualche parlamentare di denunciare il dio Mercato quale “dogma irrinunciabile di questa Europa” auspicando (sono solo parole?) che si raggiunga l’obiettivo di “costruire un sistema economico regolamentato sull’etica prima del profitto, iniziando a sanzionare, ostacolare e boicottare le multinazionali che si rendono complici di abusi su minori”. Quale abuso è superiore per gravità, e ancor di più irreparabile, all’uccisione di milioni di nascituri privati del bene supremo della vita? Senza il corpo non ci possono essere, per fortuna, abusi ma, purtroppo, neanche carezze. Si, Giorgia non è un angelo ma una vittima umana offerta in olocausto all’egoismo di ciascuno di noi.

 

 

*l’autore è presidente  Movimento per la Vita di Palermo

 

**il presepe ritratto nella foto è stato allestito nel cassonetto dell’immondizia in cui è stata getta la piccola Giorgia. Courtesy Livesicilia.it

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