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Il tempio di carne – Gv 2, 13-22

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Introduzione alla lectio divina su Gv 2, 13-22

9 novembre 2014 – Festa della dedicazione della Basilica lateranense

13 Si avvicinava intanto la Pasqua dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 14 Trovò nel tempio gente che vendeva buoi, pecore e colombe e, là seduti, i cambiamonete. 15 Allora fece una frusta di cordicelle e scacciò tutti fuori dal tempio, con le pecore e i buoi; gettò a terra il denaro dei cambiamonete e ne rovesciò i banchi, 16 e ai venditori di colombe disse: “Portate via di qui queste cose e non fate della casa del Padre mio un mercato!”. 17 I suoi discepoli si ricordarono che sta scritto: Lo zelo per la tua casa mi divorerà . 18 Allora i Giudei presero la parola e gli dissero: “Quale segno ci mostri per fare queste cose?”. 19 Rispose loro Gesù: “Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere”. 20 Gli dissero allora i Giudei: “Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo farai risorgere?”. 21 Ma egli parlava del tempio del suo corpo. 22 Quando poi fu risuscitato dai morti, i suoi discepoli si ricordarono che aveva detto questo, e credettero alla Scrittura e alla parola detta da Gesù.

 

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Veduta della Basilica di S. Giovanni in Laterano,

stampa di Giovan Battista Piranesi , 1774.

La liturgia domenicale interrompe il percorso evangelico ordinario per privilegiare la ricorrenza della Dedicazione della Basilica di S. Giovanni in Laterano, che quest’anno cade in giorno di domenica.

Alle orecchie dei fedeli di oggi suona piuttosto singolare pensare ad una festa per un “edificio”. Ma S. Giovanni in Laterano non è una chiesa qualsiasi, è una “arcibasilica papale”, ancor oggi sede del vescovo di Roma, costruita accanto al più antico palazzo del Laterano dall’imperatore Costantino per la moglie Fausta e donata intorno al 320 al papa Melchiade (o Milziade), all’indomani dell’editto di Milano dell’anno 313 che legalizzava il Cristianesimo, e risulta essere la prima e più antica di tutte le chiese d’Occidente, tanto da ricevere << la fierissima iscrizione: “Sacrosanta Chiesa madre e corpo di tutte le Chiese di Roma e del mondo”>>.    (http://www.vatican.va/jubilee_2000/pilgrim/documents/ju_gp_15012000_p-04b_it.html ).

Dunque una chiesa speciale, come conferma la storia di questa basilica che è assolutamente notevole nel bene e nel male.

Consacrata dal papa Silvestro il 9 novembre 324, essa fu la prima chiesa in assoluto ad essere pubblicamente consacrata in un contesto storico (quello dei primi tre secoli dopo Cristo) in cui assai spesso le forme di manifestazione di fede erano state bagnate dal sangue dei martiri. Per tutti i cristiani reduci dalle “catacombe”, la basilica del Laterano fu il luogo dove potevano finalmente adorare e celebrare pubblicamente Cristo Salvatore (del resto, fino alla costruzione del battistero, la chiesa era dedicata espressamente alla figura del Redentore).

 

Per più di dieci secoli, i papi ebbero lì la loro residenza nelle sue vicinanze e fra le sue mura si tennero centinaia di concili, di cui cinque ecumenici. La struttura venne distrutta, abbandonata e ricostruita più volte fino ad essere costruita nella forma che conosciamo sotto il pontificato di Benedetto XIII, che la riconsacrò nel 1726.

Forse non tutti sanno che la basilica di San Giovanni fu, però, anche teatro di uno degli avvenimenti più drammatici nella storia della Chiesa cattolica: il processo a papa Formoso, detto anche il Sinodo del cadavere. Dopo la morte di Papa Formoso, nell’896, probabilmente a seguito di avvelenamento, il suo successore, Stefano VI, istruì un processo contro di lui, ritenuto colpevole di essere salito al soglio pontificio grazie all’appoggio del partito filogermanico. La salma di Formoso fu, dunque, riesumata dal sepolcro, abbigliata con i paramenti pontifici e collocata nella Basilica su un trono, per rispondere a tutte le accuse che erano state contro di lui avanzate, alla presenza dei cardinali e dei vescovi riuniti sotto la presidenza di Stefano VI (v. http://it.wikipedia.org/wiki/Sinodo_del_cadavere , ove non si risparmiano i macabri particolari).

Le luci e ombre che questa Basilica, vero e proprio simbolo della cattolicità, ha attraversato, ci introducono al senso del tempio cristiano e ci aiutano a comprendere meglio la acuta sapienza evangelica che ha indotto la nostra liturgia a inserire in questa ricorrenza il noto brano dell’evangelista Giovanni sulla purificazione del Tempio.

Ci troviamo di fronte ad un episodio (storicamente controverso quanto alla datazione, atteso che Giovanni lo inquadra nella parte iniziale del ministero di Gesù, mentre i sinottici nell’ultima Pasqua) che si situa all’inizio del vangelo di Giovanni nella sezione dedicata ai cd. “segni” e segue immediatamente il segno glorioso delle nozze di Cana. Lì Gesù si presentava come lo sposo atteso di Israele, capace di dare il vino buono e la vera gioia, che il giudaismo non era stato capace di offrire. Con il nostro brano, l’evangelista, in coerenza con la sua teologia, precisa che non c’è gloria senza croce (anzi, la croce è proprio la gloria di Cristo) e che la novità del Figlio, che supera radicalmente la religiosità tradizionale, dovrà anche affrontare la morte per arrivare a manifestare l’amore del Padre per il mondo.

Gesù si presenta durante la Pasqua dei giudei al tempio di Gerusalemme e, venendo meno alla mitezza ed alla moderazione borghese con la quale spesso lo si dipinge in modo oleografico, intreccia alcune corde per farne una sorta di frustino (lett. flagello) e si mette a dare la caccia a tutti. Giovanni, infatti, precisa, a differenza dei sinottici, che Gesù rivolge la sua azione “purificatrice” non solo nei confronti dei commercianti, ma anche nei confronti degli stessi animali utilizzati per i sacrifici. Non è, dunque, solo l’interesse affaristico che inquina la pratica religiosa ad irritare Gesù (“Togliete queste cose da qui e non fate della casa del Padre mio una casa di commercio”), ma la stessa pratica religiosa, ormai inutile ed obsoleta di fronte alla venuta del Messia. Il gesto della purificazione del tempio, quindi, non è tanto una veemente protesta socio-religiosa, ma è un “segno”, un elemento di rivelazione della identità messianica: per la prima volta Gesù afferma la sua figliolanza divina (il Padre mio).

Il gesto radicale di Gesù nel cuore della religiosità tradizionale segnerà il suo destino agli occhi del potere teocratico ed i discepoli di Gesù ne intendono chiaramente la portata, spingendosi a rileggerlo alla luce del salmo 69 (lo zelo per la tua casa mi divorerà) come presagio della Sua passione.

Ma coloro che non sono suoi discepoli, pur comprendendo le implicazioni teologiche della affermazione del nazareno, rimangono disorientati e, di fronte al segno, ne chiedono di altri (Quale segno ci mostri per fare questo?).

Gesù li rimanda al segno per eccellenza: la croce. In essa, Gesù stesso diventerà il nuovo tempio, Lui diverrà il luogo della Shekinah, della presenza di Dio nel mondo. Non ci sarà più spazio per edifici che contengono e limitano il divino, separandolo in modo sacrale dall’umano. La morte, ma soprattutto l’amore per il Padre vissuto anche nella croce  farà di Gesù il santuario definitivo (Mateos-Barreto). Dirà più tardi alla samaritana: “Credi a me, donna, che viene l’ora quando né in questo mondo, né a Gerusalemme adorerete il Padre … i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e Verità” v. Gv 4, 21-23).

 Nel far questo, secondo la nota tecnica giovannea, Gesù usa diversi livelli di comprensione e parlando di sé quale santuario (naos), afferma che, se essi lo “dissolveranno”, in tre giorni lo farà risorgere (egherò). La pluralità di livelli consente all’interlocutore di comprendere ciò che può comprendere, rivelando anche qualcosa del suo percorso di fede: i giudei non comprendono minimamente il riferimento alla persona di Gesù, ma interpretano letteralmente le parole di Gesù come riferite al tempio di Gerusalemme, a quei tempi ancora in costruzione (sarà completato nel 63 a. C. e distrutto nel 70 d.C.).

Anche oggi il nostro livello di comprensione del tempio non può prescindere dalle parole di Gesù in questo brano. Anche nella festa della dedicazione di un tempio cristiano, la comunità dei fedeli è chiamata a riflettere che ogni uomo è nell’economia della salvezza chiamato a essere, tempio del Padre nella propria vita.

Il compito delle Chiese è posto, essere nella storia la memoria che il corpo di Gesù è il tempio di Dio, in quella carne Dio si rende contemporaneo all’uomo e l’uomo è posto al cospetto di Dio. E ancora essere nella storia la memoria che il Dio spiegato da quel corpo è ostile a considerare l’uomo e l’animale come oggetto di sacrificio, solo il gratuito dono di sé per il bene dell’altro è ciò che conta. E infine essere nella storia la memoria che, a similitudine di Gesù-Tempio, ogni corpo è costituito tempio di Dio: «Non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito Santo, che è in voi?» (1Cor 6,19)” (G. Bruni).

Lorenzo Jannelli

 

 

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