Il giudice disonesto: quando l’interesse privato contraddice la giustizia – Lectio Divina XXIX domenica del tempo ordinario

Loading

Riflessione di don Massimo Naro sulla liturgia della Parola nella XXIX domenica del tempo ordinario (anno C)

Es 17,8-13; Sal 120/121; 2Tm 3,14-4,2; Lc 18,1-8

Non è mai lusinghiero il modo di riferirsi ai giudici da parte di Gesù. Il quale, anzi, si dichiara diffidente nei confronti di chi mostra l’inclinazione a giudicare, benché questa voce verbale – nel testo greco dei vangeli – mantenga solitamente un significato nobile, avendo a che fare con il discernimento. Ossia con lo sforzo di distinguere e decidere, di scrutare e capire, di ponderare e valutare le azioni e persino le intenzioni delle persone (krínein). Esercizio, questo, in cui riusciva infallibilmente lui stesso, capace com’era di indovinare i pensieri più reconditi dei suoi interlocutori, “leggendo” nei loro “cuori”.
Eppure il Maestro di Nazareth preferisce non essere interpellato come giudice o come arbitro nelle contese che sorgono fra la gente (cf. Lc 12,13-14). E alle folle, non meno che ai suoi discepoli, insegna ad astenersi dal formulare giudizi impietosi: «Non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati, perdonate e vi sarà perdonato» (Lc 6,37). In Mt 7,1-2 precisa: «Non giudicate per non essere giudicati, poiché con il giudizio col quale giudicate sarete giudicati voi e con il metro col quale misurate sarete misurati voi».
Difatti l’unico metro corretto per giudicare sarà il suo, quand’egli si ergerà, come giudice supremo, a separare i cattivi dai buoni. Più precisamente: il metro attendibile sarà impersonato da lui stesso, giacché il giudizio sarà sancito in relazione a lui, riconosciuto e accolto (o misconosciuto e bistrattato) nei poveri, nei deboli, negli emarginati, nei bisognosi di ogni tipo di cura e di sostegno (cf. Mt 25,31-46).
Il fatto d’essere il giudice escatologico, però, non lo mette al riparo dall’indebito – abusivo e abusato – giudizio degli uomini. E al culmine della sua vicenda terrena, con il procuratore romano, che lo sottopone a un processo-farsa, intrattiene un drammatico colloquio: «Gli disse allora Pilato: “Non mi parli? Non sai che ho il potere di metterti in libertà e il potere di metterti in croce?”. Gli rispose Gesù: “Tu non avresti alcun potere su di me, se ciò non ti fosse stato dato dall’alto”» (Gv 19,10-11).
In questi termini, disincantati quanto critici, Gesù segnala il divario che sussiste tra la giustizia umana – rappresentata e amministrata dai giudici – e la «giustizia più alta» (Mt 5,20) di Dio Padre suo. Nell’odierna pagina evangelica il giudice è addirittura apostrofato come «disonesto», letteralmente come un «sanzionatore d’ingiustizia» (ho kritḕs tês adikías). E tale è considerato da Gesù per il suo inappropriato modo di «fare giustizia»: per convenienza e convenzione, per togliersi il «fastidio», per non essere «importunato» dalla vedova che gli si rivolgeva insistentemente con la speranza di ottenere giustizia a fronte di chi le aveva fatto torto e ne contestava le ragioni in tribunale (antidíkos).
Il giudice disonesto resta indifferente al disagio altrui, ignora volutamente – finché gli riesce – i diritti dei più deboli, dei meno protetti, di chi non ha le risorse per farsi valere, di chi non ha efficaci difensori. È, dunque, un giudice ingiusto: un kritḗs scriteriato. Ma la sua iniquità non è una questione solamente deontologica. È un limite che lo guasta in profondità, che ne opacizza la coscienza, che ne pregiudica la tempra ontologica, che ne svigorisce la tensione esistenziale verso qualsiasi direzione: egli «non era timorato di Dio e non aveva rispetto per nessuno». Insomma, un personaggio triste, autoreferenziale, incapace di rapportarsi con chicchessia, refrattario a ogni tipo di autentica relazione – verticale e orizzontale –, incurvato sul proprio tornaconto, preoccupato solo della propria tranquillità, esperto al massimo nel manipolare i codici e nel manovrare i cavilli giuridici, posseduto dalla presunzione di poter disporre arbitrariamente della giustizia.
Gesù, nella sua parabola, contrappone alla perizia legale di questo giudice disonesto la giustizia di Dio, annunciata e promessa come attenzione ai deboli, sollecitudine per gli scartati, compassione per chi necessita del suo aiuto: tutte categorie di persone che nella pagina lucana sono indicate con la parola eklektói, eletti, scelti, preferiti, o più esattamente radunati da ogni dove, racimolati a destra e a manca, recuperati lungo i margini sociali in cui erano stati sospinti (questo significato ha, per esempio, eklektói in 1Pt 1,1). È la giustizia giusta, che si lascia interpellare dal «grido» di chi soffre, che si fa commuovere e che si mette in movimento per soccorrere, come già Jhwh Adonai aveva fatto per il popolo schiavizzato in Egitto (cf. Es 3,7-10).
Il «grido», cui risponde la giustizia divina, è espresso nella fede, la quale è affidamento di sé a Dio, preghiera a lui tenacemente rivolta. Del resto, il Signore buono sa quanto bisogno abbiamo di lui, della sua giusta misericordia, della sua giustizia misericordiosa. Semmai siamo noi che dobbiamo sempre più rendercene consapevoli, umilmente e fiduciosamente.

2 replies on “Il giudice disonesto: quando l’interesse privato contraddice la giustizia – Lectio Divina XXIX domenica del tempo ordinario”

  • Mi pare prezioso, in particolare, il passaggio col quale si ricorda che la giustizia è sempre una relazione, una «proportio» per dirla con Dante, che quando è operata da Gesù trova in Lui stesso il metro di riferimento; mentre il giudice umano, che contro l’imperativo che viene dalla Montagna si fa carico della «dolorosa necessità del giudicare» (Sciascia), non soltanto deve vincere la tentazione dell’indifferenza che è colpevole e perciò iniqua, ma anche quell’altra, persino più insidiosa, di farsi lui stesso parametro di giustizia. Per chi è credente (ma non solo, forse), non suonerà perciò incomprensibile che un magistrato di elevata professionalità come Rosario Livatino, proprio nell’esercizio della sua funzione, si ponesse “sub tutela Dei”.

  • Mi chiedo oggi quanto una giustizia confessionale possa essere in sintonia o in conflitto con una realtà esterna e sociale che sembra richiedere un’altro punto di vista e quanto la svalutazione di un giudizio umano di fatto ineludibile sia pericoloso per il rispetto delle regole di gruppo

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *