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Il blocchista cattolico

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            di Roberto Beretta

Blocchisti». Da noi li chiamavano così, e forse ancora li chiamano, quei commercianti che comprano stock interi di merce ­ – abbigliamento, calzature, oggettistica varia – «in blocco», senza distinzioni, a prezzo di forfait oppure con un costo unitario indifferenziato, un articolo per l’altro. Portano via tutto e poi fanno la cernita, scoprendo magari che qualche pezzo è stato sopravvalutato mentre in genere – se l’acquirente è abile – la maggioranza spunterà margini superiori a quanto speso.

Ecco, non capisco perché per il mondo ecclesiale sembra pacifico che i buoni fedeli debbano comportarsi come «blocchisti»: ovvero compratori obbligati e felici del tutto compreso, convinti a ingoiare senza fiatare e ad occhi chiusi ciò che Santa Madre Chiesa gli apparecchia, che siano bocconi amari oppure prelibatezze raffinate.

Perché – faccio un esempio – nella pratica ecclesiale il comportamento di vescovi e cardinali va sempre pubblicamente difeso, solo per il fatto che portano le insegne della gerarchia? Come mai le iniziative clericali, sui mass media cattolici, sono costantemente esaltate con attitudine degna del più smaccato ufficio stampa, anzi di un’agenzia pubblicitaria? Per quale motivo è reputata normale l’accettazione «in blocco» di ciò che nasce da curie, diocesi e parrocchie, mentre ogni tentativo di critica sembra un attentato alla comunità cristiana?

Credo che se, due giorni prima dell’evento, qualche giornale «laico» avesse insinuato la possibilità di imminenti dimissioni del Papa, come cattolici avremmo sparato bordate contro la sacrilega ipotesi, frutto senza dubbio di ignoranza teologica, di inimicizia anticlericale, se non di qualche complotto «laicista». Poi invece l’incredibile è avvenuto e abbiamo sorbito pagine di miele in cui si elogiava il gesto di Benedetto XVI, che dimostrava un grande amore alla Chiesa e un’enorme umiltà, nonché la somma fede, eccetera eccetera. Il vecchio ritornello per cui – qualunque cosa abbia fatto, faccia o farà ­il Papa – è perfetta, eccellente, giusta, adeguata, santa: a prescindere.

Noi cattolici siamo abituati a comprare «a blocchi»: o tutto, o niente. Eppure la fede non richiede tanto, anzi in realtà desidera proprio il contrario. Anche perché altrimenti ­- di fronte a scandali documentati quali Vatileaks o la pedofilia del clero – per coerenza il credente dovrebbe soltanto andarsene sbattendo la porta. Invece gli è richiesto di esercitare in modo responsabile lo spirito critico, di discernere, di giudicare (e condannare) il male – anche se l’abbia commesso un tipo vestito di porpora – mantenendo tuttavia la sua fiducia nel messaggio evangelico.

E allora perché questa sana regola non vale in modo preventivo? Come mai continuiamo a dipingere la Chiesa come «il migliore dei mondi possibili», negando a priori che nei meccanismi ecclesiastici si annidino pericoli, debolezze, vizi, meschinità, colpe? Una Chiesa «cattiva» esiste, e smascherarla è un dovere – non uno «scandalo», come spesso si dice predicando il silenzio «virtuoso» sui comportamenti anche più peccaminosi… Davvero avremmo bisogno, all’interno degli ambienti cattolici, di un’informazione seriamente indagatrice, che tutelasse i credenti sinceri prevenendoli da amarissime delusioni; e la critica varrebbe tanto più negli ambienti più spirituali, dove si fa passare per merito l’accettazione tacita, passiva, supina di quanto fanno «i superiori», di fatto soggiogando i piccoli e i deboli. Quante ne abbiamo viste, ormai, di aberrazioni e abusi da parte di persone che si facevano passare per santi! Credo che il popolo cristiano potrebbe persino chiedere conto, ai suoi pastori (ma anche ai suoi giornalisti, perché no?), di essere stato imbrogliato nella sua buona fede.

 

05 aprile 2013 

Da http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=1240

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