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I migranti e la paura del contagio: falsi allarmismi sanitari

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Se ne è discusso appena qualche mese fa, maggio 2016, a Torino nel corso del XIV Congresso Nazionale della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni (SIMM) dal titolo “Persone e popoli in movimento. Promuovere dignità, diritti e salute”, in cui una sessione è stata dedicata al tema dell’accoglienza e della tutela dei migranti forzati. Abbiamo già scordato le fila di bare nell’hangar di Lampedusa? Che cosa succede a quelli che arrivano? Come sono trattati i rifugiati? Quale tipo di regia mette in campo il nostro Paese nella fase dell’accoglienza e per il riconoscimento del diritto? A queste ed altre domande abbiamo cercato di dare risposta nel tentativo, secondo lo stile della nostra società scientifica, di rispondere al bisogno di salute reale e non presunto. Non ci siamo soffermati sull’allarme sanitario di tipo infettivologico che così tanto interessa l’opinione pubblica con gli organi di stampa adeguatamente aizzate da un certo tipo di informazione sanitaria di sapore allarmistico. Trattasi, per noi che ci occupiamo dalla fine del secolo scorso degli aspetti sanitari legati al fenomeno migratorio, del solito e noioso cliché: i migranti, qualunque siano il motivo e il modo del loro arrivo, portano povertà, disoccupazione, delinquenza ed, in campo sanitario, malattie. L’allarme è legato al fatto che in generale trattasi di malattie che dalle nostre parti erano scomparse o quasi, come la malaria e la lebbra o comunque sotto controllo come la Tubercolosi e l’Aids. E’ il ritorno costantemente sciocco della “Sindrome di Salgari” (Colasanti, 1991)1 e della conseguente caccia ai moderni “untori” di manzoniana memoria.2

In realtà i migranti forzati sono generalmente giovani, in buono stato di salute ed anche per loro vale il dato dell’effetto migrante sano (Parkin, 1992), una sorta di selezione naturale all’origine, per cui decide di emigrare solo chi è in buone condizioni di salute, e che in generale si è applicato solo alla tipologia del migrante economico, il cui progetto di vita implica in partenza condizioni di piena integrità psico-fisica.

Eppure resiste nell’immaginario collettivo il mito del migrante vettore di temibili pestilenze: un’affermazione che non trova conferma nei dati epidemiologici ma che rischia di dirottare le politiche e le risorse verso strategie sanitarie difensivistiche come i controlli alle frontiere o gli screening di massa. Tutti ricordiamo il caso sospetto di “vaiolo delle scimmie” di un migrante a bordo della nave militare Orione diretta a Pozzallo nel luglio 2014, poi rivelatosi una semplice varicella3, e la notizia che diecine di militari addetti a controllare e recuperare in mare i migranti fossero stati infettati dalla tubercolosi. Così come alla fine degli anni ottanta del secolo scorso4, l’allora ministro della salute F. De Lorenzo proponeva controlli alle frontiere, così ora ritornano le stesse proposte ed, in ogni caso, le parate di tute giallo-arancione insieme a guanti e mascherine danno la sensazione visiva che non di corpi di uomini, donne e bambini provati dal dolore e dalla sofferenza del lungo viaggio si tratta ma di bombe di parassiti, virus e batteri innominabili.

Malgrado l’inadeguatezza dei sistemi informativi attuali a rilevare i bisogni di salute di questa particolare popolazione, vi sono diverse evidenze che l’effetto migrante sano si eserciti anche sui profughi che sbarcano sulle coste italiane. La sorveglianza sindromica (Bella, 2014) effettuata tra maggio 2011 e giugno 2013 dall’istituto Superiore di Sanità su circa 5.000 persone ospiti di centri di accoglienza hanno, infatti, messo in luce solo 20 allerte statistiche: di queste, otto infestazioni, cinque sindromi respiratorie febbrili, sei gastroenteriti e un caso di sospetta tubercolosi polmonare. Anche in riferimento al fenomeno relativamente nuovo dei cosiddetti transitanti presenti per brevi periodi in insediamenti spontanei nei pressi delle stazioni delle grandi città od in edifici occupati, i dati dimostrano malattie della cute, scabbia soprattutto, e malattie aspecifiche dell’apparato respiratorio e digerente con pochi casi di sospetta Tubercolosi polmonare – poi non confermate -, malaria e varicella (INMP e ASL Roma B, 2015).

Dunque i dati rivelano l’inconsistenza di certi allarmismi che hanno fin qui fatto da contrappunto agli sbarchi: il viaggio risulta essere troppo lungo perché si concretizzi la minaccia di Ebola (la malattia si manifesta e si estingue in poche settimane, spesso assai prima che il percorso migratorio si concluda); ma spesso troppo breve perché si sviluppino altre malattie come la tubercolosi, nonostante le condizioni di grave deprivazione che accompagnano i migranti in fuga (Baglio, 2015).

Il nostro punto di vista, al contrario, è la tutela della salute di una popolazione fondamentalmente sana nel tentativo che non cada nel circuito perverso della malattia.

In questa logica il problema è il riferimento alla norma rappresentato dall’articolo 10 (Lo straniero al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto all’asilo nel territorio della Repubblica) e dall’articolo 32 (La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti) della Costituzione: il primo ci ricorda il valore della dignità umana, uguale per tutti gli individui; il secondo, che significativamente parla di individui e non di cittadini, sancisce un diritto alla salute e alle cure che va al di là dello status giuridico dell’essere umano. La questione non è solo quella di prevenire la morte di tanti richiedenti asilo, e di farlo in modo onorevole, per la loro dignità, onorando l’art. 10, ma anche di tutelarne la salute una volta sbarcati, secondo quanto ci richiede l’art. 32 (Mazzetti, 2014).

I principali problemi clinici che i richiedenti asilo presentano al momento dello sbarco sono essenzialmente legati alle condizioni del loro percorso migratorio e non a malattie infettive da importazione: colpi di calore, colpi di sole, assideramento (secondo le condizioni climatiche in cui avviene la navigazione), lesioni da decubito dovuti alla posizione forzata senza possibilità di movimenti sui barconi, aggravata da agenti chimici quali l’acqua salmastra o il gasolio che spesso sporcano i luoghi in cui i naviganti si siedono, disidratazione, che hanno determinato ad esempio casi documentati di gravi insufficienze renali, senza dimenticare però le condizioni patologiche di natura infettiva legate, comunque, alla promiscuità ed al sovraffollamento come la scabbia.
Altro problema è quello legato alla gravidanza o al parto: molte profughe approdano in stato di gravidanza, anche avanzata, o subito dopo aver partorito. In genere si tratta di vittime di gravidanze forzate, avviate a seguito di stupri spesso ripetuti.

Una volta sbarcati, i richiedenti asilo sono ammassati in ricoveri di cui non riusciamo a conoscere nel dettaglio le caratteristiche igieniche; non riusciamo nemmeno a conoscere la qualità nutrizionale dei cibi che vengono loro somministrati.
Le informazioni parlano di ricoveri straordinariamente sovraffollati, con carenza di servizi igienici e di acqua corrente, con protezione da agenti termici (caldo e freddo) del tutto non appropriata, soprattutto in alcuni periodi dell’anno e in certe condizioni climatiche.
Condizioni igieniche di questo tipo sono patogene. Agevolano lo svilupparsi di patologie infettive delle vie respiratorie, infezioni gastro-intestinali e altri disturbi del tubo digerente, patologie muscolo-scheletriche e aggravano quadri clinici preesistenti. Creano inoltre le premesse per il diffondersi di epidemie.

Molti richiedenti asilo, infine, sono stati vittime di torture, violenze e altri eventi traumatici, come la minaccia di perdere la propria vita, o aver assistito alla morte violenta di altri vicino a loro.
Aver subito esperienze di questo tipo può determinare quadri clinici psichiatrici anche molto gravi: disturbo post-traumatico da stress, crisi d’ansia, disturbi depressivi, disturbi della concentrazione, del pensiero e della memoria, disturbi somatoformi, suicidio. Per soggetti in queste condizioni è fondamentale garantire un’assistenza clinica immediata per la gestione psichica dell’esperienza traumatica appena vissuta.
Pazienti con traumi gravi che trovano buone condizioni di accoglienza sviluppano patologie meno severe di pazienti che subiscono traumi di minore entità ma che trovano situazioni di vita molto deteriorate nel paese ospite. Queste situazioni cliniche richiedono la predisposizione di presidi appropriati in grado di dare le risposte necessarie, come il servizio di etnopsicologia del Policlinico di Palermo attivo dal 2006, proprio per rispondere alla domanda di salute di questa particolare utenza.

Lunghi anni di studio hanno ormai confermato che i migranti qui da noi si ammalano a causa delle precarie o sbagliate condizioni di vita che li attanagliano e non certamente per le malattie che importerebbero dei loro paesi d’origine: le loro malattie sono socio-culturali e non etniche. Il rischio è che gli immigrati, si integrino con la società ospite condividendo, però, la stratificazione sociale più svantaggiata finendo per condividere il profilo di salute della disuguaglianza. La sfida di oggi è quella di una completa integrazione sociale di questi nuovi cittadini e, per quel che riguarda la sanità, la garanzia di una reale fruibilità dei servizi e delle prestazioni. Trattasi in definitiva di una questione di responsabilità e di equità per la salute di una popolazione che ha già sofferto molto e che ha solo bisogno di accoglienza benevola e di pace.


Bibliografia

Affronti M. Un comunicato della SIMM sulle morti di un’umanità coraggiosa, www.simmweb.it, 7 ottobre 2013.

Assessorato della salute. Decreto 23 settembre 2014. Adozione del Piano di contingenza sanitario regionale migranti. Suppl. ord. alla Gazzetta Ufficiale Regione Siciliana (p. I) n. 42 del 3-10-2014 (n. 27).

Baglio G. Tubercolosi e immigrazione: le risposte che l’epidemiologia può dare (e che la società attende). Epidemiologia e Prevenzione, anno 39 (2) marzo-aprile 2015.

Bella A, Napoli C, Riccardo F et al. Immigrazione ed emergenze sanitarie: utilizzo della sorveglianza sindromica nei centri per immigrati in Italia negli anni 2011-2013. Rapporto Osservasalute 2014. Stato di salute e qualità dell’assistenza nelle regioni italiane. Milano, Prex, pp 319-20.

Colasanti R. Antropologia medica e medicina delle migrazioni. In Atti del II Congresso Internazionale Medicina e Migrazioni a cura di S. Geraci. Presidenza del Consiglio dei Ministri Dipartimento per l’Informazione e l’Editoria. Roma, 1992

Geraci S et al. Migrazioni, Salute, Cultura, Diritti. Un lessico per capire. Intern. J. of Migration, Studi Emigrazione, Vol. XLII, n. 157, pp 53:74, marzo 2005.

Mazzetti M. Curare e prendersi cura: a Lampedusa e oltre. Sanità pubblica, accoglienza e tutela dei migranti forzati. In Affronti M, Baglio G, Geraci S, Marceca M, Russo M L (a cura di). Atti del XIII Congresso Nazionale SIMM. Agrigento, 14-17 maggio 2014 . Bologna, Pendragon, 2014: 42-47.

Monti M.C. Vittime di tortura e di violenza a Palermo: dall’accoglienza alla cura. In Press.

mkmonti@hotmail.com.

Parkin DM. Studies of cancer in migrant populations: methods and interpretation. Rev Epidemiol Sante Publique, 1992; 40(6): 410-24

Rapporto INMP, ASL RM B. Salute e prevenzione tra i migranti invisibili. Roma 2015. Disponibile all’indirizzo: http://www.inmp.it/index.php/ita/Eventi-e-Formazione/Eventi-INMP/Eventi-Nazionali/Convegno-INMP-Salutre-e-prevenzione-tra-i-migranti-invisibili.


1 “…Salgari scriveva sognando di mondi dove quei dati di diversità, che egli traeva dalla consultazione nelle biblioteche, servivano ad alimentare la categoria del meraviglioso dei suoi libri”.

2 Durante il racconto anamnestico, un giovane paziente palermitano da me recentemente visitato per febbre prolungata, faceva risalire la causa della sua febbre sconosciuta, ad un periodo ben preciso della sua vita allorquando da camionista – trasportava gasolio – viaggiava per mare da Lampedusa a Porto Empedocle ed in una di queste traversate si trovò con una cinquantina di sbarcati africani sud-sahariani respirando la stessa aria ed utilizzando gli stessi servizi igienici. Dopo quel fatto, ecco la febbre. “Dottore, secondo me e non solo, altri medici la pensano allo stesso modo, non può non esserci una relazione, che lei, in quanto esperto in questo campo, deve trovare!” Per la cronaca il paziente era affetto da Febbre Mediterranea Familiare. Forse, ho pensato dentro di me, una possibile vendetta del “Mare Nostrum”! Marenostrina è, infatti, il nome dato alla pyrina, proteina basica di 781 aminoacidi, che ha la funzione di regolare i mediatori dell’infiammazione che in questi pazienti è alterata a causa della mutazione del gene codificatore responsabile della malattia (gene MEFV).

3Rientra l’allarme vaiolo a bordo: era varicella. La nave Orione approda a Catania. Le analisi eseguite allo Spallanzani di Roma hanno smentito che si trattasse della rara malattia infettiva”. Repubblica.it, Palermo cronaca, luglio 2014,

4 “..proprio nello stesso periodo F. De Lorenzo, ministro della sanità, istituisce per la prima volta una commissione ministeriale che ha il compito di affrontare il problema della salute degli immigrati. Non è casuale che a parteciparne siano chiamati quasi esclusivamente tropicalisti ed infettivologi” (Geraci, 2005)

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