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I cattolici e il referendum per servire l’Italia

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cattolici referendum

 

 

di Dino Calderone

 

 

Uno degli aspetti più importanti ed interessanti di questa lunga campagna referendaria, è rappresentato dall’imponente numero di iniziative che si stanno sviluppando in tutto il Paese, non solo da parte di chi sostiene legittimamente il “si” o il “no” al referendum, ma anche da parte di chi sta favorendo un confronto diretto fra le due posizioni su un piano di equidistanza. In questa direzione si è mosso in particolare gran parte dell’associazionismo cattolico che ha preferito, molto opportunamente, non ignorare l’enorme rilevanza del prossimo appuntamento referendario, ma puntare su specifici momenti formativi per contribuire a far crescere una coscienza più matura. La Consulta Nazionale delle aggregazioni laicali e Retinopera, per esempio, hanno organizzato a fine settembre, a Roma (Domus Mariae), un seminario di approfondimento e studio dal titolo “Riforme costituzionali: quali implicazioni?” con l’introduzione di Franco Miano, le relazioni di Stefano Ceccanti per il “si” e Cesare Mirabelli per il “no”, le conclusioni di Paola Dal Toso.

 

 


Che senso può avere, quindi, porsi la consueta domanda su come voteranno i cattolici il 4 dicembre? Storicamente il rapporto fra i cattolici italiani e l’istituto del referendum si è sviluppato, a partire da quello del 1974 sull’abrogazione della legge sul divorzio, secondo caratteristiche che rimandano, in particolare, ad una valutazione di tipo più etico che politico. Inutile dire che referendum come divorzio, aborto, fecondazione eterologa, hanno coinvolto il “sentire” dei cattolici nella loro identità più profonda, mentre per molti altri quesiti referendari, considerati spesso meno diretti dal punto di vista morale, non si sono creati schieramenti di cattolici pro o contro. La verità è che le ragioni per dire “si” o “no” al singolo quesito referendario si ricavano da una sfera di giudizi che raramente hanno a che fare direttamente con la fede cristiana. La fede di per sé non dice nulla ad un cattolico in merito, per esempio, alla scelta del sistema elettorale. Ha senso, per esempio, chiedersi se un cattolico debba essere più favorevole al sistema proporzionale o a quello maggioritario?

 

 

La stessa dottrina sociale della Chiesa, come si sa, offre punti di riferimento e criteri irrinunciabili per il credente, ma non può essere usata come un prontuario pronto all’uso per stabilire in maniera inequivocabile come e per chi votare su ogni singola cosa. Se è sembrato quindi insolito l’invito di qualche vescovo a votare “sì” nel recente referendum per l’abolizione delle trivelle (a partire dall’Enciclica “Laudato sii”, è stato persino detto!), ancora più incomprensibile risulta la posizione di chi sta usando la denominazione di “Cattolici” a proposito del prossimo referendum nel quale l’identità cattolica è del tutto ininfluente per entrare nel merito delle questioni.

 

 

Che ad usare questa “strategia”, dal sapore decisamente integrista, ci siano in prima fila esponenti del mondo cattolico storicamente agli antipodi, come Raniero La Valle e Massimo Gandolfini, appare ancora più singolare. Il primo, giornalista e con un lungo trascorso di parlamentare nelle file del Partito comunista italiano, è da mesi promotore dei “Cattolici per il no”, come se fossimo tornati ai tempi del referendum sul divorzio, quando una parte di cattolici, in polemica con la posizione dei vescovi italiani che appoggiavano ufficialmente il “si” all’abrogazione della legge, costituirono i comitati dei cattolici del “no”. Ma se, in questi mesi, la Cei non ha preso alcuna posizione sul referendum e certamente non la prenderà nelle poche settimane che mancano, con chi intende polemizzare Raniero La Valle?

 

 

Il secondo, invece, portavoce all’ultima edizione del “Family Day”, ha dichiarato più volte la sua volontà di votare per il “no” in quanto, come cattolico, è contrario alla recente legge sulle Unioni civili, senza rendersi conto che il 4 dicembre andremo a votare per dire “si” o “no” al quesito referendario, non per esprimere giudizi sull’attuale governo. Il contributo dei cattolici in questi giorni apparirà quindi ancora più efficace e prezioso se riuscirà, da un lato, a favorire un confronto serio e profondo fra le diverse posizioni – ma sempre in un clima di correttezza e lealtà reciproca -che può aiutare ad entrare nel merito delle tante questioni che il referendum solleva; dall’altro lato, grazie al trasversalismo che caratterizza il mondo cattolico (i cattolici senza tentazioni integriste sono già schierati indifferentemente per il “sì” o per il “no”, ma non in quanto cattolici), potrà aiutare il Paese a restare saldo ed unito anche dopo il 4 dicembre. Un difficile e fondamentale compito da realizzare, questo sì, in quanto cattolici, per il bene comune al servizio del Paese.

 

 


 

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