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Tra Duecento e Quattrocento: la trasfigurazione del reale

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Questa rubrica vuole porre all’attenzione dei lettori di Tuttavia la capacità della poesia e delle arti figurative di rappresentare l’immaginario delle varie epoche storiche e delle stagioni culturali che si sono succedute nel nostro Occidente a partire dal Basso Medioevo, cioè da quando si è andata costruendo la civiltà delle città e del ceto medio che in esse si è andato affermando. Abbiamo definito pittura e poesia “linguaggi dell’anima” per la loro capacità di coinvolgere in modo integrale chi ne fruisce, ovvero in modo da mobilitare, oltre alla dimensione razionale del comprendere, anche gli aspetti affettivi, emotivi e volitivi dell’esistenza.

A tale scopo saranno sottoposti quindicinalmente dei testi poetici e iconici paralleli, reinterpretati quali “oggetti culturali” per la loro capacità di esemplificare l’immaginario di un’epoca. Alla poesia e alla pittura potrà affiancarsi anche la musica, quando gli autori riterranno di proporre qualche fonte musicale, coeva oppure a noi contemporanea, capace di evocare efficacemente lo spirito dell’epoca trattata. Il parallelismo potrà anche strizzare l’occhio agli insegnanti – quali sono i due autori – che volessero istituire nessi più stringenti tra i vari linguaggi, nella convinzione che i ragazzi amano le contaminazioni e soprattutto si lasciano coinvolgere volentieri nello spazio della creatività e dell’interpretazione. 


Poesia e pittura testimoniano, attraverso l’esperienza di Dante e Botticelli, l’anelito alla trasfigurazione e alla contemplazione del reale, in questo caso dell’elemento femminile. Qui offriamo il sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare del poeta fiorentino e due opere di Botticelli  La Primavera e La nascita di Venere  come emblemi di questa stagione culturale che rappresenta convenzionalmente il crepuscolo del mondo medievale.

TANTO GENTILE E TANTO ONESTA PARE (1292-94)

Tanto gentile e tanto onesta pare
la donna mia quand’ella altrui saluta,
ch’ogne lingua deven tremando muta,
e li occhi no l’ardiscon di guardare.

Ella si va, sentendosi laudare,
benignamente d’umiltà vestuta;
e par che sia una cosa venuta
da cielo in terra a miracol mostrare.

Mostrasi sì piacente a chi la mira,
che dà per li occhi una dolcezza al core,
che ’ntender no la può chi no la prova:

e par che de la sua labbia si mova
un spirito soave pien d’amore,
che va dicendo a l’anima: ‘Sospira’

Nel suo racconto autobiografico giovanile dal titolo “Vita Nuova” Dante inserisce dei testi poetici che in alcuni punti integrano la narrazione. Questo sonetto, posto al cap.XXVI, ne è un esempio.

Il poeta celebra la sua “domina” – così deve intendersi “donna”, come signora e padrona – che egli omaggia come un angelo venuto dal cielo sulla terra a mostrare un miracolo. Nei confronti di Beatrice Dante ha vissuto un processo di trasformazione interiore. Beatrice, per quanto qui individuata come “mia”, è una creatura da contemplare e lodare. Da parte di ogni uomo.

Contemplazione e lode infatti qui sono indissolubili. Gli occhi e il cuore sono alleati, ma a differenza dei poeti siciliani precursori di questo genere di poesia gli occhi non hanno neppure la forza di guardare, così come risulta impossibile dire qualcosa: ogni lingua ammutolisce, tremando. Il tremore fa parte del linguaggio amoroso dantesco, e lo ritroveremo a proposito del bacio di Paolo, nel V canto dell’Inferno.

Il punto di svolta del sentimento amoroso dantesco è costituito dal fatto che il beneficio di Beatrice riguarda tutti gli uomini, con un respiro universale che troveremo nella Commedia e che eleva la donna fiorentina a paradigma dell’amore. Chi la mira è potenzialmente chiunque sia capace di godere della bellezza. Proprio la dolcezza al core rappresenta questo godimento.

È un testo lontanissimo dalla nostra sensibilità e dai nostri registri emozionali. Ma il suo fascino sta proprio in questa distanza, in questo profumo di sentimenti antichi, forse mai perduti, magari rifluiti poi, attraverso il Petrarca, nel romanticismo disperato di Leopardi ed in tutte quelle esperienze in cui al consumo viene preferito lo sguardo pieno di meraviglia.

L’uomo medievale è più di ogni altro animale simbolico. Il testo è disseminato di segnali epifanici: pare e mostrare sono i verbi portanti, con l’avvertenza di non comprendere “pare” nel senso di “sembra”, bensì di “appare”, “si manifesta”. Quanto serve, all’uomo contemporaneo che possiede e consuma, una prospettiva per la quale ciò che è bello è donato, viene da un altrove di cui non si dispone? In fondo, Dante ha compreso questo, di Beatrice, di se stesso e dell’amore. Che quando qualcosa ci eccede, occorre chinare il capo e fare obbedienza alla Bellezza.

Chissà che non stia qui l’attualità del testo.

Dal web: https://mediumaevumweb.wordpress.com/2017/11/03/tanto-gentile-e-tanto-onesta-pare-con-il-commento-di-g-contini/

 LA PRIMAVERA E LA VENERE DI BOTTICELLI (1477-1485)

Il linguaggio di Dante è il linguaggio simbolico del Medioevo che attribuisce agli elementi della natura dei valori (non semplicemente vizi e virtù), e che pertanto trasfigura Beatrice come personificazione terrena di una verità trascendente. Le rappresentazioni pittoriche femminili che con più efficacia si legano a questo significato ‘superiore’ di verità salvifica sono le allegorie mitologiche dell’amore di Sandro Botticelli.

Qualcosa di forte accomuna infatti Botticelli a Dante, tanto da far nascere nel pittore una venerazione per il poeta. Il nesso fra i due è certamente il pensiero neoplatonico. La filosofia dell’Accademia Platonica di Marsilio Ficino informa l’arte del pittore fiorentino, che ne è l’illustratore. Con le sue trasfigurazioni visive Botticelli dà vita due secoli dopo a quel pensiero che lo stesso Dante faceva proprio nello schema di derivazione dall’Uno, che garantisce ordine razionale alle cose dell’universo attraverso degli intermediari. E dunque, come Beatrice per Dante, Venere è per Botticelli non soltanto allegoria della bellezza, ma addirittura simbolo dell’amore come mezzo per arrivare a Dio. E come per Dante, per Botticelli la Musa è una figura reale, Simonetta Cattaneo Vespucci.

Secondo il pensiero neoplatonico di Ficino, l’uomo non può cogliere il significato autentico dell’esistente semplicemente attraverso la ragione, ma stabilendo analogie tra le cose, in quanto emanazioni divine. La conseguenza artistica è quella di dare vita a un nuovo ‘simbolismo analogico’ che svela l’assoluto presente nel reale, cioè una verità spirituale. Il simbolismo neoplatonico, inoltre, fonde mitologia e teologia cristiana.

In questa prospettiva la contemplazione della Bellezza (attraverso Beatrice o Venere/Simonetta) è il mezzo che permette di conoscere Dio, e la bellezza delle forme evoca l’Amore, inteso come principio cosmologico e potenza motivante per l’uomo, attraverso la quale Dio si manifesta nel mondo. È un “Circuitus spiritualis” che va da Dio al mondo e dal mondo a Dio, e nel quale l’uomo si inserisce.

I due più celebri esempi da decifrare secondo questa chiave di lettura sono La Primavera (1477-85 circa), e La nascita di Venere (1484-85 circa), riportate di seguito per intero e di cui è possibile osservare qui alcuni dettagli.

Sandro Botticelli, La Primavera, 1478 circa. Tempera su tavola, 203×314 cm. Firenze, Galleria degli Uffizi.

 

Sandro Botticelli, La nascita di Venere, 1484/1485 circa. Tempera su tela, 172,5×278,5 cm. Firenze, Galleria degli Uffizi.

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