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Don Giacomo Ribaudo – Maria SS. del Carmelo ai decollati

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INTERVISTA A DON GIACOMO RIBAUDO

  MARIA SS.MA DEL CARMELO AI DECOLLATI

19 Settembre 2013

La parrocchia di Maria SS.ma del Carmelo ai decollati, un tempo al di fuori della cinta muraria, appare oggi inghiottita dal viadotto che le è stato costruito accanto. Nonostante la difficile ubicazione la parrocchia ferve di iniziative forte del pensiero del suo parroco convinto che una chiesa aperta  con il SS. Sacramento dentro sia  “un parafulmine potente nei confronti dei mali della società”, oltre che foriero di civiltà, di educazione, di aggregazione, di socializzazione.

 

Quanto è grande la parrocchia?

La parrocchia è abbastanza grande.  Il territorio parrocchiale arriva fino a Sant’Erasmo, comprendendo sia  la zona che da via Messina Marine si estende fino a  piazza Scaffa sia la zona che arriva fino alla via Oreto e alla via Ducria, incluse anche alcune case della via Buonriposo, fino ad  arrivare alla via Oreto Nuova. La parrocchia conta circa 13.000 abitanti:  è grande e numerosa anche come popolazione.

 

 

Qual è il rapporto tra il numero dei parrocchiani e quello di coloro che frequentano la messa domenicale con una certa costanza? È prevalente il radicamento territoriale o vi sono persone che vengono da zone territoriali diverse?

Una parte delle persone che frequentano  appartengono al territorio parrocchiale, ma ci sono molte persone che vengono da altre zone. Coloro che vivono nel territorio parrocchiale  spesso hanno  difficoltà a raggiungere la parrocchia per motivi di  carattere viario ed urbanistico. Invece alcune persone frequentano la parrocchia perché sono molto affezionate alle antiche devozioni e tradizioni popolari di questa parrocchia e anche se sono andati ad abitare altrove continuano a venire assiduamente qui; altri vengono sporadicamente. Ci sono anche delle persone che frequentano la parrocchia semplicemente perché sono amici di vecchia data del parroco, di cui amano il progetto  pastorale, il modo di accogliere, di impostare il lavoro, il modo di valorizzare i laici e quindi il modo di distribuire compiti e ministeri.   C’è, in realtà,  una certa varietà nella frequenza domenicale o comunque festiva  da parte dell’assemblea parrocchiale, che però è abbastanza affiatata:  le differenze di provenienza non sono un ostacolo per l’unione o per la possibilità di organizzare una determinata azione pastorale.

  

Nel territorio parrocchiale come cercate di raggiungere i non praticanti o i non credenti?

Innanzitutto con le missioni popolari che organizziamo una volta l’anno, ma che poi trovano la possibilità di prolungamento, attraverso la partecipazione dei parrocchiani nei cenacoli che si creano  dopo le missioni popolari. Si tratta di riunioni di evangelizzazione che si svolgono nelle abitazioni. Prima della processione della Madonna del Carmelo, che abbiamo fatto il 16 luglio in occasione della festa della titolare della parrocchia, abbiamo organizzato delle messe a carattere rionale all’aperto, che hanno avuto un grosso successo e che hanno avuto la partecipazione di tantissima gente. Soprattutto si è creato un clima di grande gioia e di grande comunione fraterna. Poi il parroco cerca lentamente, con i tempi che ha, di raggiungere tutti i parrocchiani attraverso la benedizione delle case, che è perenne, nel senso che una volta alla settimana esco per benedire  le case. La gente apprezza molto questo tipo di servizio  e, in genere, tranne qualche piccola eccezione, vengo accolto con molto amore e gioia, come la presenza stessa del Signore che arriva in ogni casa. La benedizione delle case è un’occasione buona per potere fare conoscenza, osservare se ci sono dei malati, accorgersi se ci sono dei bambini che non hanno fatto la prima comunione o dei giovani che vogliono partecipare alla cresima. Si tratta di un’occasione di incontro, di conoscenza. Soprattutto l’effetto più bello è che i parrocchiani si sentono “pensati “ e questo costituisce un motivo di stima e di avvicinamento della parrocchia alla comunità parrocchiale.

 

Ci sono attività di formazione che vanno al di là del catechismo per i bambini e i ragazzini fino alla cresima? I catechisti per la preparazione alla prima comunione e alla cresima vengono preparati, a loro volta? Come? Da chi?

  I gruppi ecclesiali hanno già le loro catechesi.  Di solito si riuniscono una volta a mese, a volte due volte al mese o una volta alla settimana, a seconda dei casi, ma la costante di questi gruppi è che c’è sempre un momento di catechesi , di preparazione e quindi anche di formazione. I catechisti in genere hanno fatto quasi tutti la scuola di teologia di base  qui in parrocchia o in altre parrocchie. Poi il parroco tiene una breve omelia tutti i giorni durante la messa,  che è un po’ una piccola catechesi. In genere le persone che frequentano la parrocchia fanno parte di gruppi e quindi non si sente la necessità di creare altri momenti di incontro ed io non riterrei neanche opportuno moltiplicare impegni e corsi. A parte gli esercizi spirituali, che si fanno un volta all’anno in parrocchia in preparazione della Pasqua, i gruppi hanno, quasi tutti, dei momenti di ritiro spirituale, con una periodicità a lunga scadenza, circa 2 o 3 volte all’anno. Poi, alcuni movimenti hanno i loro convegni annuali di 2 o 3 giorni, quindi anche quello è un momento forte di formazione. Inoltre tutta la parrocchia, all’inizio delle attività,  partecipa a una tre giorni in campagna insieme con il parroco, dove c’è una catechesi piuttosto nutrita  e un momento di dibattito e di scambi, che viene considerato dai parrocchiani altamente formativo.

 

Qual è la percentuale di ragazzi che continua a frequentare la parrocchia dopo la cresima? C’è un gruppo giovanile permanente? Che età hanno i partecipanti in media?

Beh, bisognerebbe dire dopo la prima comunione…  Di corsi di cresima ne abbiamo due ogni anno, che vengono frequentati anche da persone che vengono da fuori la parrocchia. Infatti alcuni sono parrocchiani, altri invece vengono da fuori e sono persone che hanno necessità del corso di cresima per il matrimonio o per altro. Io sono del parere che la cresima bisognerebbe riceverla prima della prima comunione, considerando così il percorso fino a 21 anni. I ragazzi che continuano a frequentare dopo la comunione  sono pochissimi. Ci sono due gruppi giovanili: uno curato da missionari, si chiama GIM (Giovani Impegno Missionario) e l’altro è un altro gruppo vocazionale liturgico. Partecipano a questi gruppi ragazzi che frequentano la scuola media fino all’università.

 

Quali sono i rapporti tra la parrocchia e le associazioni, i gruppi e i movimenti (Azione cattolica, Scout, etc.) – se ce ne sono – che operano al suo interno?

Non abbiamo rapporti con gli Scout o con l’ Azione Cattolica. I gruppi che esistono sono dentro alla parrocchia, non paralleli alla parrocchia. A Villabate avevo 35 gruppi, ma non ho mai concepito un rapporto parallelo tra gruppi e parrocchia, proprio perché i gruppi sono parrocchia. Il dilemma gruppo-parrocchia sorge laddove c’è una patologia pastorale, dove la parrocchia non funziona perché non accoglie i gruppi, non sente come propri i gruppi, oppure i gruppi non si sentono parrocchia e si sentono paralleli alla parrocchia. Ma nel momento in cui la parrocchia è quella porzione del popolo di Dio, che ha come pastore il vescovo e il parroco come delegato del vescovo, i gruppi non sono in rapporto con la parrocchia, sono parrocchia nel senso pieno.

 

Che ruolo hanno i laici?

I laici sono i protagonisti dell’azione pastorale. Abbiamo il consiglio pastorale, il consiglio di amministrazione parrocchiale, la consulta dei laici, che raccoglie i vari responsabili dei gruppi parrocchiali, l’amministrazione stessa della parrocchia è tenuta dai laici. Diciamo che il compito del prete è quello di fare il prete, il resto va ai laici. Io mi rifiuto di fare cose che possono e debbono farei laici. Essi hanno la loro formazione, la loro preparazione; si assumono le loro responsabilità. Tutto quello che si svolge all’interno della parrocchia è opera dei laici.

 

Quali sono i tratti essenziali  della esperienza di fede che vi caratterizza (o che è presente in parrocchia)? Vi riconoscete in una spiritualità particolare?

È molto curata la devozione alla titolare, alla Madonna del Carmelo. Le devozioni popolari hanno una grandissima importanza perché incidono fortemente nell’anima della gente. Quando facciamo le processioni, cerchiamo di raggiungere un po’ tutti, andando anche in stradine dove non va mai nessuno. Da ciò si ricava un duplice vantaggio:  ci sentiamo accolti come parrocchia anche nelle zone più periferiche, più lontane dalla parrocchia e contemporaneamente i parrocchiani si accorgono fin dove arriva il territorio della parrocchia e dei  problemi che esistono a livello igienico – sanitario, di abitazioni, di educazione e di frequenza scolastica.

Un’esperienza forte di fede è anche l’adorazione che facciamo tutti i mercoledì con il SS. Sacramento esposto dalle 9.00 del mattino alle 21.00 di sera. Poi la vita di fede viene vissuta specialmente all’interno dei gruppi e tra i gruppi stessi, che non sono compartimenti stagni, ma interagiscono tra loro, avendo un rapporto abbastanza grazioso.  Ogni gruppo ha un giorno assegnato della settimana per riunirsi; il parroco partecipa con loro  una volta al mese, non ogni settimana, tranne che non siano gruppi che facciano preghiera per i malati. Ad esempio, ho due gruppi del Rinnovamento, che si occupano di organizzare una liturgia settimanale per i malati, dove si crea un clima meraviglioso di carità fraterna e conseguentemente anche di fede. Tra l’altro la gente è sempre libera di parlare, intervenire dopo le catechesi, anche nelle catechesi che faccio durante la messa con i malati.

Poi io sono dell’idea che il prete diocesano non deve avere spiritualità particolare, deve essere una conca di accoglienza di tutte la spiritualità. Il parroco ha il dovere di accogliere tutti, perché la Chiesa è il giardino di Dio e non si capisce bene perché un albero deve essere imbiancato ed un altro non deve essere imbiancato. Per spiritualità intendiamo ad esempio quella francescana o benedettina, ma noi siamo innamorati di tutti i santi; certo curiamo un po’ più di devozione alla Madonna del Carmelo.   

 

Qual è l’iniziativa che vorreste realizzare insieme ad altri gruppi e\o parrocchie?

In questo momento non abbiamo iniziative in programma, a meno che non si tratti di diffondere i movimenti (rinnovamento, vocazione liturgica, ecc.) che già abbiamo. Molti dei gruppi hanno anche impegni altrove; vi sono alcuni, ad esempio, che sono impegnati con Biagio Conte, con la Comunità di Sant’Egidio o in altri contesti diocesani. Le ragazze dell’Ordine delle Vergini lavorano addirittura in seminario o nella comunità  dei giovani preti . C’è quindi una certa varietà. 

 

Cosa ritenete urgente per risolvere o affrontare i problemi, se ce ne sono, della città di Palermo?

I problemi della città sono tanti, noi tentiamo per quanto è possibile di dare una mano a risolverli. Infatti sono sorte alcune associazioni  parallele alla parrocchia, che non fanno parte della parrocchia, perché le consideriamo associazioni laiche. Abbiamo fondato, ad esempio, un’associazione che si chiama “Italia chiama lavoro”,  tramite la quale cerchiamo di raccogliere i curricula, ma raramente ci capita di potere favorire qualcuno per quanto riguarda il lavoro. La Caritas fa un ottimo lavoro per quanto riguarda il servizio al territorio. Abbiamo poi un’altra associazione parallela alla Caritas, secondo la spiritualità  vicina a quella della San Vincenzo. Abbiamo un consultorio medico, dove la gente si reca per farsi visitare da una quindicina di specialisti, che vengono a fare volontariato. Abbiamo anche una buona farmacia.

Sicuramente  un problema della nostra città è quello del lavoro; poi c’è il problema dell’immondizia. Cerchiamo di far sentire la nostra voce tramite un consigliere comunale che frequenta la nostra parrocchia. Di tanto in tanto, sollecitiamo il sindaco ad essere più presente a risolvere un pò meglio i problemi che riguardano la città. È in progettazione la possibilità di prendere dei volontari e fare ristrutturare delle case comunali per farle abitare, perché c’è gente sfrattata che non sa dove abitare, c’è gente che dorme alla stazione o sotto i ponti.

 

Cosa ritenete urgente per risolvere o affrontare i problemi, se ce ne sono, della chiesa di Palermo?

Quando sono arrivato a Palermo come parroco nel 1991, ho aperto 5 chiese . Volevo continuare in questo lavoro, perché di chiese chiuse a Palermo ce ne sono a decine. Poi alcune delle chiese che avevo aperto mi sono state tolte. Si temeva che io stessi prendendo troppo campo, ma io non toglievo chiese a qualcuno, io aprivo chiese che erano chiuse da anni. Le tenevo tutte e cinque attive e aperte, con la presenza del SS. Sacramento, quindi con la possibilità di pregare. Io sono convintissimo che una chiesa aperta è foriera di civiltà, di educazione, di aggregazione, di socializzazione e questo sotto il profilo  puramente fenomenologico e sociologico. Però sotto il profilo mistico, io sono convinto che una chiesa aperta con il SS. Sacramento dentro è un parafulmine potente nei confronti dei mali della società. La gente, quando più facilmente circola (dalla 9.00 a mezzogiorno o dalle 18.00 alle 19.00), deve avere la possibilità di andare in chiesa, presso la prima chiesa vicina, non deve dovere girare mezza Palermo per trovare una chiesa aperta o un confessore o altro. Quindi ritengo che questo sia un problema prioritario; è anche un servizio prezioso di promozione umana, un fatto di civiltà. Oggi si trova facilmente aperto il giornalaio, la carnezzeria, il panificio e la chiesa chiusa! Allora la chiesa è presente o non è presente?!

C’è inoltre  il problema della comunicazione con le altre parrocchie. L’unione con le altre parrocchie è possibile quando funzionano bene i vicariati, quando i vicari sono profondamente valorizzati da chi è il vicario dei vicari e così via. L’unione tra le parrocchie è possibile quando funziona la pastorale nel suo insieme, quando c’è qualcuno che con autorità può intervenire, sennò si verifica quello che c’è già: con i parroci con i quali c’è una più facile intesa  ci si vede, ci si incontra per qualche mese per qualche attività, ci si chiama per un’occasione, per una festa. E’ importante che ci sia un’animazione di carattere centrale e un coordinamento , così come deve esserci all’interno di una parrocchia, in cui se il parroco non ha sufficiente autorità si creano divisioni tra i diversi gruppi, la stessa cosa vale anche per le relazioni tra le parrocchie: noi siamo infatti delegati del vescovo  e il vescovo deve trovare il tempo e il modo di ascoltare tutti, di creare forme o occasioni di comunione fraterna.

 

Secondo lei, con il termine “cultura” cosa si intende?

 Tutto quello che serve a promuovere l’uomo, attraverso gli strumenti propri che ci sono e che esistono tra gli uomini, soprattutto se si tratta della coltivazione dei talenti e delle funzioni che i vari membri del popolo di Dio hanno e quindi anche il rapporto con chi non fa parte del popolo di Dio o perché non è battezzato o perché ha perso la fede o perché, per un motivo o per un altro, è lontano da Dio. Bisogna trovare strumenti  ed occasioni di dialogo con queste persone. Abbiamo pubblicato un libro, non come parrocchia ma come associazione CNTN. Abbiamo coordinato un lavoro con 150 poeti da tutta Italia, coinvolgendo anche l’arcivescovo di Catanzaro, Bartolone, e Giorgio Barbari Squarotti, che è il più grande critico letterario vivente (per l’introduzione): centocinquanta poeti hanno riscritto i Salmi in chiave moderna, secondo la loro ispirazione, ma anche secondo l’ispirazione del salmo biblico.

 

 

a cura di Luciana De Grazia e Vincenzo Calandrino

 

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