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Don Bignami: “Le Settimane Sociali? La Chiesa ha il compito di seminare speranza”. Intervista al direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della CEI

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Si svolgerà dal 21 al 24 ottobre, a Taranto, la 49ª Settimana Sociale dei Cattolici Italiani. Il tema scelto dalla Chiesa italiana – “Il pianeta che speriamo. Ambiente, lavoro, futuro. #tuttoèconnesso” – è strettamente legato all’insegnamento sociale di Francesco e desidera indicare alle comunità credenti e all’intera società italiana dei percorsi tesi alla tutela dell’ambiente, alla centralità del lavoro e alla costruzione del futuro. Il tentativo di leggere, a partire dal messaggio cristiano, la realtà, stimola una forza profetica finalizzata alla ricerca di risposte adeguate alla crisi. Di questo tema discutiamo con don Bruno Bignami. Già presidente della Fondazione “Don Primo Mazzolari” di Bozzolo e postulatore della causa di beatificazione di don Mazzolari, don Bignami è direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Conferenza Episcopale Italiana.


– Ai partecipanti all’evento The economy of Francesco, il papa ha affermato che «abbiamo bisogno di un cambiamento, vogliamo un cambiamento, cerchiamo un cambiamento». A quale cambiamento punta la prossima Settimana Sociale dei Cattolici Italiani?

Una Settimana Sociale non ha la pretesa di operare un cambiamento immediato, quasi che la Chiesa abbia la bacchetta magica per trasformare situazioni precarie e ingiuste nel loro opposto. Il suo compito è più profondo: seminare speranza. Crea i presupposti perché le cose cambino, educa le coscienze perché ci sia una conversione di mentalità… Non a caso il tema che si intende affrontare a Taranto è: «Il pianeta che speriamo». Occorre generare consapevolezza che possiamo fare qualcosa per raggiungere l’obiettivo della sostenibilità. Tutti possono e devono fare la loro parte: le famiglie, la politica, l’economia, la società civile, la comunità cristiana, le università, le scuole, le associazioni e i gruppi. Nessuno deve sentirsi escluso da scelte che trasformeranno i nostri stili di vita in meglio, più capaci di sintonizzarci con il dono della creazione e più capaci di vivere le relazioni. Ogni cambiamento e ogni transizione diventeranno concreti solo se saranno accompagnati dalla conversione dei cuori. La Chiesa può dire questo al nostro Paese oggi: ben venga la transizione, ma solo se è frutto di una conversione autentica e se riguarda tutti, a partire dagli ultimi. Invocare una transizione puramente tecnologica si rivelerà fallimentare.

– La crisi prodotta dalla pandemia da Covid-19 sembra, fra le tante cose, un passaggio rivelatore delle diverse e profonde ingiustizie presenti nella nostra società. La Chiesa italiana, con percorsi come quello delle Settimane Sociali, come intende rispondere a simile situazione?

Le disuguaglianze erano presenti nella società italiana già prima del Covid-19. Non sono una novità. Ciò che è accaduto negli ultimi mesi con la pandemia è una sorta di accelerazione di processi già in corso. Le ingiustizie su cui si fondano modelli economici si sono ampliate e hanno messo in difficoltà attività imprenditoriali che erano già in crisi. L’accelerazione dei processi ha scavato un fossato sempre più profondo tra garantiti e non garantiti. La pandemia, inoltre, ha rimescolato le carte. Alcune categorie sociali hanno pagato le conseguenze senza colpa alcuna: bastava lavorare nel campo della ristorazione, del turismo, dello spettacolo o essere una partita iva per sentire i morsi della crisi economica. Altri settori, invece, hanno continuato a lavorare. Anzi, c’è stato anche chi ha potuto incrementare il proprio fatturato: si pensi al mondo digitale, alle tecnologie e ai beni essenziali.

Le Settimane Sociali si metteranno in ascolto di queste situazioni per condividere le preoccupazioni dei lavoratori che rischiano di rimanere a casa e delle categorie che vivono una perenne precarietà. La pandemia ha rafforzato logiche escludenti soprattutto con i giovani, le donne e i disabili. C’è bisogno di riequilibrare le possibilità, per evitare che molti si sentano scarti umani. La Chiesa ne è consapevole e chiederà che sia ascoltato il grido dei poveri e delle vittime di disuguaglianze.

– Il percorso della Settimana Sociale di Taranto è realizzato alla luce della visione teologica, antropologica e sociale della Laudato si’ e della Fratelli tutti capace di presentare la grande importanza della relazione positiva fra uomo e ambiente, tanto da prefigurare un approccio fraterno non destinato esclusivamente a migliorare la vita dei cittadini ma anche a custodire il creato. Nel contesto italiano, quali peculiarità assume la proposta di Francesco?

Le proposte di Laudato si’ e di Fratelli tutti mettono al centro le relazioni. C’è bisogno di riscrivere i rapporti con la creazione e con le creature. A tutti i livelli. La sfida è chiara: si tratta di ridare slancio ai rapporti che segnano la nostra vita. Anche nel contesto italiano rischiano di prevalere situazioni di ingiustizia e di difficoltà. Ciò accade tra nord e sud, tra lavoratori autonomi e pubblica amministrazione, tra aree interne e aree metropolitane, tra città e periferie, tra settori economici che godono di maggiori sostegni e settori che invece rischiano di chiudere. Il grande tema in Italia si chiama lavoro sostenibile. Ogni attività che si mette in atto deve fare i conti con la sua sostenibilità, ossia occorre valutare se riesce a salvaguardare la giustizia sociale, la cura per l’ambiente, la domanda del mercato, l’ecologia umana. È infatti possibile scindere questi aspetti, finendo per dimenticare che non si tratta di due crisi, sociale e ambientale, ma di un’unica crisi socio-ambientale, come suggerisce Laudato si’. Per questo, serve un nuovo paradigma di azione, che parta dalla consapevolezza che oggi la sostenibilità ecologica e quella sociale sono parte integrante della giustizia in quanto tale.

– L’impegno culturale messo in campo in vista della prossima Settimana Sociale avrà una rilevanza nel nostro Paese soltanto se si concretizzerà un reale coinvolgimento delle associazioni cattoliche, delle diocesi e di tutte le aggregazioni d’ispirazione cristiana, chiamate a fare rete con tutti i protagonisti dei territori. Una fatica che si preannuncia anche come un contributo per il prossimo Sinodo della Chiesa italiana. È così?

Assolutamente sì. Possiamo azzardare che la Settimana Sociale è una prova generale del prossimo cammino sinodale della Chiesa italiana. I vescovi tendono a precisare che non si tratta di Sinodo ma di cammino sinodale perché intende costruire uno stile di Chiesa e non celebrare un evento. Se questo è vero, si comprende quanto alta sia la posta in gioco per la Settimana Sociale di Taranto. Non solo. Il legame con il cammino sinodale potrebbe far maturare finalmente la convinzione che il servizio ecclesiale al bene comune è parte integrante dell’evangelizzazione e non è un di più facoltativo. Quando la Chiesa si occupa di lavoro, di salute, di malattia, di ambiente, di economia… sta annunciando il vangelo!

– I cattolici italiani hanno dato un grande contributo alla costruzione e allo sviluppo del nostro Paese come la storia delle Settimane Sociali dimostra. A suo parere, dall’evento di Taranto, può essere rilanciata con forza la necessità dell’impegno politico dei cattolici? Dai contenuti e dalle modalità della manifestazione che si svolgerà in Puglia quale profilo di cattolico impegnato in politica potrà emergere?

Il tema della Settimana Sociale di Taranto non ha al centro la politica. Ma possiamo immaginare che l’argomento sarà toccato, anche perché non è possibile parlare di transizione, di cambiamento e di conversione senza un cambio di passo dello stile della politica. A Taranto verranno cattolici impegnati in politica con diverse casacche: ciascuno sarà ascoltato e sarà invitato ad ascoltare. Non può essere che così! La Chiesa italiana sa che deve investire con creatività nella formazione socio-politica. Lo ha fatto, lo sta facendo, ma lo dovrà fare con ancora più convinzione. Comunque sia, una cosa è chiara: la buona politica non è frutto solo della bontà dei partiti, ma della qualità educativa della comunità cristiana. Non è questione di ideali che mancano, ma di personale formato alla gratuità e al bene comune disinteressato. I buoni frutti sono generati da un albero buono!

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