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“ Va’ e anche tu fa’ lo stesso”

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XXI GIORNATA MONDIALE DEL MALATO

11 febbraio 2013

 

 

 

 

Il 7 febbraio 2013 presso l’Aula multimediale dell’Ospedale Civico, organizzato dall’ACOS (Associazione Cattolica Operatori Sanitari) e dalla Parrocchia Maria SS. Salute degli Infermi dello stesso Ospedale, si è tenuto l’incontro “Esperienze a Confronto” sul tema della XXI Giornata Mondiale del Malato quest’anno dedicata al Buon Samaritano.

Le esperienze a confronto hanno riguardato la donna che accoglie o rifiuta la vita, il bambino ammalato, il malato terminale, l’anziano e lo straniero. Mi piace condividere la riflessione riguardante l’esperienza “nello straniero”.

Le migrazioni in Italia sono strutturali. Il futuro del nostro paese a livello demografico e occupazionale non può essere concepito senza l’apporto degli immigrati. E allora l’integrazione è diventata urgente. Il caso italiano è emblematico di quanto sta accadendo nel mondo e porta a sottolineare che l’innesto degli immigrati va gestito facendone parte attiva nella società di accoglienza e parte propulsiva nei confronti dei paesi di origine. Bisogna però evitare che tale presenza, pur essendo strutturale allo sviluppo del paese, diventi una realtà marginale, preda dell’esclusione. Servono allora politiche sociali e familiari più incisive e accompagnate da un’adeguata dotazione di risorse, un’esigenza che nell’ambito delle ONG è stata sintetizzata con lo slogan “pacchetto integrazione”. Le politiche di inclusione, attraverso programmi ed interventi pubblici specifici devono garantire alla persona straniera la pari opportunità di trattamento ed il pieno godimento dei diritti di cittadinanza intervenendo in molteplici ambiti: l’inserimento non subalterno nel mercato del lavoro (facilitando l’accesso all’orientamento, alla formazione e alla qualificazione professionale) l’inserimento sociale (diritto all’istruzione, alla salute, all’abitazione, all’assistenza sociale), la partecipazione civile e la libera espressione religiosa e culturale (diritto di associazione e di partecipazione), la partecipazione politica (diritto di voto attivo e passivo, almeno amministrativo) la semplificazione dell’accesso alla cittadinanza formale. In sintesi le politiche e gli interventi pubblici in questo campo dovrebbero porre le basi per un inserimento non subalterno né passivo del cittadino straniero nella società, cessando di identificarlo solo come un lavoratore da accogliere o da respingere a seconda delle fluttuazioni del mercato del lavoro e riconoscendolo come persona che ha diritto, al pari dei cittadini italiani, ad una vita dignitosa.

Il volontariato cattolico ha saputo in questi anni dare voce autorevole alle esigenze ed ai diritti naturali di questi nostri fratelli facendo azione di vera promozione sociale e politica, cercando di non sostituirsi allo stato ma in spirito di collaborazione evitando ogni confusione di ruoli come nel caso del diritto alla salute che oggi viene garantito anche agli immigrati irregolari e/o clandestini. Ma non sempre è avvenuto ed avviene così. Qui più che altrove incombe il pericolo dell’assistenzialismo e dell’opera di sostituzione. Del resto ovunque si respira aria di consenso, anche popolare alle istituzioni di beneficenza, che invece di prevenire la violenza e l’incancrenimento delle piaghe sociali, si prodigano appunto nell’assistenzialismo. Ho letto quindi con interesse e curiosità misti ad una certa amarezza – perché in fin dei conti quando parliamo di deformazioni dell’assistenza parliamo di cose di casa nostra – una pagina di Augusto Battaglia, sul mensile ecumenico “Confronti” (1993, n. 4). Guarda caso è un commento di getto della parabola del samaritano, letta da un esperto di lavoro sociale in tutti i settori dell’emarginazione urbana il quale coglie con briosa ironia le contraddizioni della beneficenza:

“….Passò infine di là un samaritano, si chinò pietoso su di lui, lo aiutò ad alzarsi, lo rifocillò e lo accolse nella sua casa fino a che non fu pienamente ristabilito. Il fatto si seppe” dice Battaglia “e in breve tempo il buon samaritano fu chiamato da più parti a raccontare l’episodio. Parlò nel tempio. Tenne edificanti conferenze ai giovani. Lo stesso Erode, che non mancava di un certo senso pratico, lo volle conoscere e pensò che poteva essere utile chiedere al samaritano di assicurare, dietro compenso, un servizio permanente di assistenza sulla strada di Gerusalemme per tutti i passanti e i viaggiatori che si fossero sentiti male. Il samaritano fu sorpreso per l’improvvisa sensibilità di un governante che a dire il vero non godeva di tanta buona fama. Ma pensò che la forza della sua testimonianza poteva avere ammorbidito quel cuore di pietra. E Soprattutto pensò che con quel provvidenziale sostegno la sua bontà, la solidarietà che sentiva imperativamente di dover esprimere, avrebbe potuto raggiungere molti più bisognosi. Accettò così la convenzione. E fu scelta saggia. Ben presto il servizio fu assicurato anche sulla via per l’Egitto e, durante il periodo estivo, persino sul Mar Morto. […] e il buon samaritano non sapeva più come dividersi tra il lavoro caritatevole e la richiesta pressante, a volte soffocante, di diffondere buoni sentimenti attraverso le cronache, gli annales, gli acta diurna. Fu ospite d’onore nella famosa corsa delle bighe tra Ben Hur e Messalla. Anzi, in quell’occasione una parte dell’incasso fu devoluta alla sua opera, così come anche l’8Xmille degli introiti degli spettacoli dei gladiatori a Roma, molto seguiti in quegli anni…”. Finalmente un nuovo editto: “…educare e non punire dicevano. Ma come educare senza ripulire le strade da tanta sozzura che offendeva la sensibilità di tutti? Il samaritano ne fece una crociata. Anzi non capiva come tanta gente si ostinava a non comprendere la bontà della sua opera e del fatto che pur con qualche costrizione, i lebbrosi cacciati dalla strada, sottratti agli occhi di tutti, lavati, nutriti e ripuliti acquistavano una nuova dignità […] che spettacolo vederli! Tutti sorridenti, a migliaia, quando nel circo di Gerusalemme si festeggiò l’approvazione del nuovo editto. Consoli, pretori, governatori con le consorti cariche di gioielli, facevano da degna corona a tanto eroe della carità. […] Squilli di tromba, così tramandarono, annunciarono la cerimonia dell’alloro. Purtroppo fu Erode e non Pilato a porre il mitico serto sulla testa ormai canuta del buon samaritano. Pilato purtroppo lasciò la cerimonia anzitempo. A presenziare al supplizio di un pericoloso esaltato che crocifiggevano là vicino. Sul Golgota”.

La Medicina delle migrazioni nasce in Italia alla fine degli anni ottanta dalle riflessioni di medici e altri operatori della salute (pubblici e del volontariato sociale), che in varie parti d’Italia si impegnavano per garantire diritti negati e nascosti, consapevoli che “il ruolo principale del privato sociale è quello politico. Un ruolo che significa: riproposizione dei bisogni, stimolo all’intervento, denuncia delle inerzie” come ricordava il compianto don Luigi Di Liegro, allora direttore della Caritas di Roma, testimone autentico della carità cristiana che promuove la società tutta e non solo chi ha bisogno relegandolo per sempre nel limbo della vita.

L’uomo ferito è il vero protagonista della parabola, ci ha spiegato il cappuccino P. F. Cucinotta presentandoci l’Icona del Buon Samaritano ed il “và e anche tu fa lo stesso” è rivolto proprio a Lui che si aspettava di essere aiutato solo dal sacerdote o dal levita e non certamente dal samaritano, lo straniero per definizione irriducibile alle leggi del giudaismo. Non a caso – ha aggiunto P. Cucinotta – il papa definisce il racconto “la parabola dell’uomo ferito”, ferito nella sua capacità di relazionarsi senza barriere né confini.

 Mario Affronti

 

Direttore Ufficio Regionale per le Migrazioni

 

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