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Una scuola da ‘somari’. Sull’(ab)uso dei test INVALSI

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di Isabella Tondo

 

Riunione del Collegio Docenti. Alle spalle del Dirigente scolastico si staglia un grande schermo su cui appare in bella evidenza la nostra penisola, isole comprese, maculata di vari colori, regione per regione. Da lontano non si scorge la legenda dei colori, ma si nota fin da subito che la Sicilia appare in violetto insieme a Campania, Puglia, Calabria. In una gradazione simile, ma diversa, sono la Toscana, l’Umbria, l’Emilia-Romagna mentre in colori ancor più decisi si distinguono le regioni del Nord, come Lombardia, Piemonte, Veneto. “Ecco qui – annuncia il dirigente scolastico – il grafico nazionale dei risultati dei test INVALSI di italiano e matematica sottoposti agli studenti delle II e V classi primarie, del III anno di secondaria di primo grado e del II anno di secondaria superiore”. Ecco l’Italia unita ma scolasticamente spaccata in due, nel solito Nord e nel solito Sud. Sembra quasi la classifica sportiva della domenica con le squadre di serie A, B e C…

In quella macchia color violetto – ovvero la serie C-  c’è tutta la Sicilia, tutta Palermo, senza distinzione tra singole scuole o singoli quartieri. “Ma non erano andati bene gli INVALSI delle nostre classi l’anno scorso?”.

Forse sì, ma non importa. In quella macchia a tinta unita non c’è posto per le sfumature, o meglio, in Sicilia e nel Sud in genere le sfumature sono così poche che, nel complesso, quel viola rimane viola e basta. In quel colore, luttuoso, c’è il cordoglio di un Sud ancora povero e ancora tanto lontano da serene tonalità pastello. Nella legenda del grafico, però, non emergono i dati sul contesto delle singole scuole, sui disagi profondi di realtà sociali emarginate.

 

È noto che l’INVALSI miri ad una valutazione complessiva e sommaria di tutte le scuole italiane. Sommaria vuole dire superficiale, sbrigativa, non profonda e non attenta a tanti particolari; vuol dire usare un test unico per tutti, senza guardare però ai variabili livelli di partenza. Insomma, vuol dire l’esatto contrario della valutazione scolastica che i manuali del buon docente da sempre articolano in tre momenti (iniziale – in itinere – finale) e che, nel suo atto conclusivo, chiamano ‘sommativa’, perché ha sommato insieme tutti gli elementi di un percorso, con ogni auspicio calibrato e strutturato tenendo conto dei prerequisiti di partenza. 

Valutazione sommativa, non dunque sommaria. Va precisato, in verità, che la valutazione INVALSI non intende sostituirsi a quella del docente; come si legge nelle ordinanze ministeriali, essa intende essere solo uno strumento di ‘supporto’ al Ministero e, dunque, alla scuola. Può ben comprendersi, infatti, la necessità di avere un monitoraggio periodico su alcune competenze raggiunte dagli studenti italiani nei diversi cicli di istruzione. In tal senso, può rendersi funzionale somministrare a tutti lo stesso test senza curarsi del luogo in cui si agisce, ovvero senza curarsi se ad essere valutati con lo stesso metro siano il quartiere dei Parioli di Roma o lo Zen di Palermo.

Ed è proprio qui che “casca l’asino”! Qui a Palermo e al Sud, cioè, dove di somari sembrano cascarne parecchi[1]. Esiti prevedibili, tutto sommato, da tutti gli operatori scolastici che sono addentro ai problemi della scuola e delle diverse realtà sociali del paese. Esiti che possono però divenire utili nel quadro di un intervento serio di sostegno alla scuola e agli studenti del Sud in particolare. A questo punto verrebbe da chiedersi se siamo sulla giusta strada nella riflessione.

      

Quali competenze vengono valutate?

Pesanti e motivate appaiono le diffidenze che da più parti (anche dagli illustri Giorgio Israel e Luciano Canfora) sono state da sempre sollevate sulla qualità dei test INVALSI, che si ispirano ad una didattica appiattita su domande a risposta multipla e obbligata, banalizzando i contenuti di studio.

Eppure dovrà esserci qualcosa di didatticamente rilevante nei quiz a crocette, se è vero che negli anni, a partire dal ministero Gelmini, la somministrazione di questi test agli studenti è divenuta addirittura obbligatoria (art. 10 della legge 35/2012). A ciò si aggiunga che questa tipologia del quiz continua a proliferare sempre più nelle schede linguistiche e negli eserciziari dei manuali di testo, che oggi propongono allo studente prove singolarmente ispirate al ‘metodo Invalsi’. In alcuni manuali non è per nulla insolito trovare persino un’appendice dedicata all’Invalsi, mentre l’editoria scolastica si è anche dotata di eserciziari tematici preconfezionati di preparazione ai famigerati Invalsi, ormai presenti, sin dalle elementari, tra i sussidiari consigliati alle famiglie.

Il rischio è, dunque, trasformare il metodo statistico in metodo di valutazione delle competenze. Si addestrano, infatti, gli studenti ad un apprendimento dei contenuti non funzionale rispetto alle finalità generali di una scuola che intende educare alla complessità dei saperi e alla creatività. La crocetta da apporre ai quiz, già somministrata ai bambini, appare parecchio lontana da una risposta libera, capace di contenere le più improbabili sfumature. Senza peraltro pensare che per le risposte libere e articolate non c’è, poi, spazio alcuno. Troppo complessa, infatti, diventa l’operazione di valutazione di un test che, al contrario, deve essere semplice e sommaria. Queste sono le parole chiave per capire di più.Oggile competenze che il sistema Invalsi predilige e che lo studente deve accettare, devono rientrare in schemi semplici e sommari, più quantificabili e misurabili.

       Non è questo il luogo per approfondire temi tanto spinosi e complessi, come quello della valutazione. Si può provare a spingere, semmai, lo sguardo oltre la cartina maculata e chiedersi quale fine si propone l’Invalsi? quale lettura viene data degli esiti delle prove e, soprattutto, quali strategie si mettono poi in atto per intervenire? In altre parole, in che modo l’Invalsi svolge il suo ruolo di supporto all’istituzione scolastica? 

Quale fine si propone l’Invalsi?

Tutto sembra lasciar intendere che il fine dei test non sia la mera registrazione di dati relativi ai gradi di apprendimento raggiunti, bensì una valutazione – insieme agli studenti – anche dei loro docenti. Insomma, da generico strumento di misurazione statistica delle competenze l’Invalsi passa a divenire strumento di valutazione delle competenze dei docenti stessi, ovvero con il medesimo test sottoposto agli studenti si valutano alunni e insegnanti insieme. Il quadro generale e approssimativo si fa ora particolare: la valutazione statistica e orientativa diviene, per il Ministero, valutazione di qualità degli istituti fino a prevedere addirittura corsi di aggiornamento obbligatori per le aeree scolastiche che hanno fallito i test.  Il recente articolo 16 del D. L. 12 settembre 2013 n. 104 (Misure urgenti in materia di istruzione, università e ricerca) stabilisce, infatti, “attività di formazione obbligatoria del personale scolastico”, al fine di “migliorare il rendimento della didattica, particolarmente nelle zone in cui i risultati dei test di valutazione sono meno soddisfacenti ed è maggiore il rischio socio-educativo..”.

Come individuare, però, i docenti da inviare ai corsi obbligatori? Saranno solo quelli delle singole discipline? Saranno tutti quelli dell’area o della regione che ha raggiunto risultati insoddisfacenti? Cosa dire, poi, del lavoro educativo di molti docenti in scuole a rischio, per degrado culturale e criminalità, destinato a restare invisibile alle griglie dei test? Ed è qui che di asini ne cascano ancor di più. E sempre al Sud ovviamente.  

Viene da pensare che gli autori di tale proposta non abbiano mai messo piede in classe, o forse solo in alcune più semplici tipologie di classe. Potrebbe essere, questa, una buona occasione per ripensare la valutazione e trovare soluzioni diverse, comunque necessarie, per valutare la qualità del lavoro a scuola come all’Università, o in altra istituzione pubblica. Non saranno certo i tablet per gli insegnanti del Sud, originale proposta del Ministero scorso, a porre rimedio al disagio culturale e sociale.

E per le scuole i cui alunni hanno, invece, raggiunto soddisfacenti risultati? All’orizzonte si profilano i premi. Già nella Legge di stabilità 2013 si fissava che “a decorrere dal 2014 i risultati conseguiti dalle singole istituzioni sono presi in considerazione ai fini della distribuzione delle risorse per il funzionamento”. Espressione ambigua, su cui vale la pena leggere quanto lucidamente scritto a riguardo da Bruno Losito (Alla fine tanto tuonò che piovvearticolo apparso sulla rivista Insegnare 22/09/13 http://www.insegnareonline.com/istanze/valutare-capire/tuono-piovve ).

Intanto, mentre il nostro INVALSI si prepara a pubblicare nei prossimi giorni le date per la somministrazione dei test, a Londra esplode  la protesta degli insegnanti inglesi contro il ministro dell’istruzione Gove e il suo modello di scuola, fatto di quiz e competitività. In 189 firmano la lettera inviata al Times, tra cui professori universitari di Oxford, Bristol e Newcastle e scrittori come Melvin Burgess, Michael Rosen e Terry Jones, la poetessa laureata Carol Ann Duffy, che sottolineano che la spinta verso sempre maggiori risultati nei test nazionali porta inevitabilmente a un tipo di insegnamento appiattito sui test che restringe notevolmente la gamma delle esperienze didattiche, alimentando nei ragazzi un crescente senso di fallimento

(http://www.tecnicadellascuola.it/index.php?id=48916&action=view).

 Londra al momento è lontana. Al termine del Collegio docenti, una volta spento il grafico luminoso dell’Italia maculata, ci viene comunicato che non si terranno più riunioni nei prossimi giorni per via dello sciopero dei bidelli, da mesi senza stipendio, che non potranno forse tenersi corsi di recupero per gli studenti con insufficienze disciplinari e che non sono ancora certi i fondi per le ore di supplenza. La scuola non ha più risorse. Ne ha sempre meno.

Ma i soldi però, chissà perché, continuano a trovarsi sempre per l’INVALSI e i suoi valutatori.



[1] Con il termine ‘somari’ si vuole alludere al pungente articolo di Mario Giordano apparso sul quotidiano Libero del 15/10/13.

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