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Scuola: ripartiamo dalla dignità.

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di Stefania Macaluso

 

            La domanda è: dove va la scuola?

            La parola d’ordine: restituiamo dignità e speranza all’istituzione scolastica.

            A lanciare la questione la Fondazione Curella che si propone come osservatorio nell’ambito delle “giornate dell’economia del mezzogiorno”, col programma ambizioso di superare i concetti di ricchezza e crescita, imperativi dell’economia che guarda al PIL, e introdurre quelli di felicità e bellezza. Ce n’è abbastanza per reinventare la scuola italiana. Ma dove sono i maestri, dove i saggi, dove i ministeri per l’epocale impresa? Pensare la scuola nell’era della complessità è già difficile, pensare un futuro per la scuola del mezzogiorno sembra una mission impossible. Ma poiché si tratta delle nuove generazioni e dunque della speranza, non possiamo esimerci dal farlo. Già provare a parlarne è un buon segno.

            Nessuno crede più nelle “riforme”, innesti malriusciti che hanno reso la pianta più rachitica. Come ogni problema strutturale va affrontato in una prospettiva olistica, nel coinvolgimento reale di tutte le componenti, docenti e genitori, con al centro gli alunni, provando a individuare interconnessioni, concause, emergenze, sviluppi a breve e a lungo termine, e soprattutto ispirazioni. Non parliamo di valori, per carità, si potrebbe urtare la sensibilità laicista! E neppure di vocazione, né di missione che presuppongono azioni fondate su motivazioni individuali che oggi non è scontato trovino condivisione.

            Tuttavia su un punto bisogna intendersi: a quale ideale ispirare l’azione educativo-formativa cui è preposta la scuola? Che ben venga il riferimento a felicità e bellezza, a condizione che ci sia chiarezza sul fatto che non sono la novità da proporre alla scuola, ma la scoperta che la società civile s’impegna a fare grazie alla scuola, altrimenti di cosa noi insegnanti saremmo esperti? Intendo dire che in primis l’istanza di rinnovamento deve partire dall’interno della scuola e precisamente da coloro che ne hanno la responsabilità: insegnanti e dirigenti.

Da tempo agli insegnanti è fatto carico di ruoli vari per sopperire a emergenze sociali di tutti i tipi: prevenzioni e lotte in ordine alla droga, alla salute, alla legalità, alla mafia, all’ambiente, ecc. Ma come si può immaginare di dare senso a tale impresa se non a partire dalla chiarezza sulla motivazione essenziale di ogni azione educativa? Come far riaffiorare negli insegnanti la gioiosa coscienza della ragione fondante del loro operare? Come restituire dignità professionale se non nei termini di riappropriazione/riconoscimento del ruolo elevato di mediatori di bellezza? Come risvegliare negli insegnanti responsabile consapevolezza del modello di relazionalità interpersonale virtuosa, in grado cioè di generare felicità nei giovani che condividono con loro una gran parte degli anni più delicati della loro esistenza? In tal senso il tema della dignità è certamente centrale. Apprezzabile dunque il proposito del prof. Salvatore La Rosa, direttore del periodico quadrimestrale “Le nuove frontiere della scuola”, che ha dedicato l’ultimo numero al tema della dignità. Presenti alla tavola rotonda dal titolo Dove va la scuola siciliana, tenutasi giovedì sei novembre presso la sede palermitana della RAI, alcuni degli Autori che hanno dato il loro contributo al tema affrontato nella rivista.

            Per il prof. Bellingreri, docente di Pedagogia presso l’Ateneo palermitano al quale per primo Laura Grimaldi, la giornalista moderatrice del dibattito, ha dato la parola, educare equivale a sostenere il bisogno dei giovani di trovare risposte motivazionali per la propria strutturazione identitaria; un insegnante diventa educatore quando aiuta la persona a rispondere al proprio bisogno di riconoscimento. Tale puntualizzazione trova eco nel discorso di Maurizio Muraglia, docente di scuola superiore, da anni impegnato sul tema della qualità dell’insegnamento a partire dalla valorizzazione dei saperi, operazione che non può prescindere da un’adeguata attenzione relazionale, sia in riferimento alla “cittadinanza” (dare respiro attuale a ciò che s’insegna), sia tenendo in considerazione la realtà dei giovani, presentando i contenuti culturali secondo un modello formativo, non accademico (coniugare la cultura con i bisogni motivazionali dei giovani). Focalizzare così il ruolo docente, senza dimenticare che la dignità professionale si basa su una preparazione permanente fatta di lettura, informazione, riflessione. Queste linee direttrici non ci assicurano dall’inevitabile gap generazionale, ma ci mettono in guardia dal ritenere che l’insegnamento possa ancora esaurirsi nella lezione frontale secondo l’impianto gerarchico insegnante-libro, come da tradizione accademico-liceale.

Chiaramente non possiamo ridurre la questione-scuola all’insegnamento, come giustamente ha affermato il dirigente scolastico Leopoldo Ceraulo il quale, da esperto conoscitore dell’istituzione scolastica italiana, ha ben presente quali siano i nessi tra sistema-scuola e sistema-Paese, quali scollature si siano registrate tra il progetto politico dell’autonomia scolastica e la riforma del Titolo V della Costituzione, il primo, volto a decentrare, la seconda, devolutiva dei poteri organizzativi alle Regioni; se poi si considera la realtà locale del mancato pronunciamento da parte della Regione Sicilia riguardo al diritto all’istruzione, il quadro di disorientamento appare decisamente sconfortante. La situazione è ben nota all’assessora comunale all’istruzione, Barbara Evola, la quale ha ricordato i tristi primati delle nostre scuole relativi alla dispersione scolastica, le ricadute deleterie dei tagli economici imposti alla scuola e le difficoltà del rapporto tra amministrazione e istituzioni scolastiche. Il Comune sta provando ad affrontare l’emergenza attraverso la promozione di progetti in rete. Il modello della rete conferma che solo azioni sinergiche tra le agenzie territoriali impegnate sul fronte di progetti per la sostenibilità dell’ambiene e della società possono mirare a modificare atteggiamenti finalizzati a migliorare il livello di vivibilità della nostra città.

Il pessimismo non è virtù di educatore e pertanto vorrei concludere con due interventi nel segno della positività, emersi durante il dibattito che ha fatto seguito alla tavola rotonda: il primo del genitore rappresentante dell’Agesc, l’associazione dei genitori della scuola cattolica, il quale ha ricordato che all’interno del modello educativo salesiano di sua esperienza, è già in atto buona parte di quello che si prefigge la scuola statale, con particolare riferimento al tema della dignità declinata nei termini dell’attenzione alla persona dei discenti e della valorizzazione del ruolo degli insegnanti; l’altra nota speranzosa è stata offerta dalla dirigente scolastica Rita La Tona, che ha testimoniato la dedizione con la quale, pur in situazioni di frontiera, affronta il ruolo complesso di responsabile di un’istituzione scolastica, non secondo il modello di managerialità che da qualche parte si vorrebbe attribuire alla scuola, ma proponendo piuttosto un modello di comunità da  organizzare secondo un sistema organicistico basato sull’esperienza relazionale che riceve impulso efficace dall’amore, la vera forza motrice di qualunque azione educativa.

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