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Recensione a “L’infanzia di Gesù” di J. Ratzinger

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Recensione a Joseph Ratzinger, L’infanzia di Gesù, ed. Rizzoli 2013

Un libro vestibolare sospeso tra silenzio e parola, adempimento e promessa, racconto e interpretazione, il cui protagonista è a un tempo notissimo e sconosciuto: “l’infanzia di Gesù di Joseph Ratzinger” è tutto questo in un serrato confronto con l’esegesi antica e moderna.

Sorprende nell’opera la capacità di elevare ogni accenno scritturistico al suo significato teologico più profondo sondando con inarrivabile perizia i primi due capitoli dei Vangeli di Matteo e Luca. Un’esplorazione capace di stupire: se si notano semitismi nel III Vangelo che andranno scomparendo nel corso della narrazione, mentre la tradizione matteana ne è sostanzialmente priva almeno in questo nartece. Eppure i richiami al Ebraismo saranno la caratteristica principale del I Vangelo: dal silenzio di Nazareth germogliano le meraviglie della buona notizia che si completa in una rivelazione quadriforme in cui il prologo giovanneo entra di diritto.

In quel testo infatti, ogni aspetto è rivissuto e interpretato alla luce del Verbo inizialmente muto di cui qui discorriamo. Questo, a ben vedere, è il primo paradosso: una Parola infante cioè etimologicamente incapace di parlare, che per essere accolta chiede il consenso della libertà di una creatura, la Vergine Maria, e in lei quello di tutti gli uomini chiamati a interiorizzare lo scandalo supremo o a rifiutarlo, passando oltre.

Un’adeguata interpretazione dei racconti dell’infanzia di Gesù implica due momenti: occorre preliminarmente domandarsi cosa intendessero dire gli autori nel loro contesto storico, cioè più precisamente come le loro rispettive tradizioni abbiano riletto gli eventi che narrano. Ma occorre anche andare oltre: lasciare il testo nel passato infatti , non basta: è necessario che ciascuno si chieda se ciò che viene detto sia vero e, soprattutto, se lo riguardi personalmente. Un testo biblico il cui più profondo autore è Dio stesso non può limitarsi alla ricerca storica: deve necessariamente dilatarsi in un interminabile dialogo tra passato presente e futuro in cui la grandezza del racconto travalica ogni , pur necessario, sforzo interpretativo. Di dove sei tu? Lo chiede all’accusato Pilato nel bel mezzo del silenzioso interrogatorio di Gesù teologicamente ripercorso nel IV vangelo.

Domanda, questa banale solo in apparenza: da un lato infatti l’imputato che si era fatto re, era l’umile lavoratore di provincia, ma questa origine prossima non esauriva la sua Persona, comunque avvolta nel mistero. Quel carpentiere, figlio di Maria e Giuseppe le cui sorelle stavano presso gli abitanti del villaggio proclamerà un regno”non di questo mondo”, combattendo per una regalità diversa che alberga nel cuore di ogni uomo: apparentemente noto nelle sue origini prossime Gesù restava, per i suoi stessi contemporanei, un enigma. A ciò si aggiungeva una pretesa ridicola, quella di farsi re, che però spaventò il giudice razionalista romano: ed allora ecco altre due domande quella sul di dove e quella sul perché cosa. Di dove è Gesù, donde proviene? Cosa è venuto a fare? Anche in questo caso la risposta che troviamo a portata di mano si rivela insufficiente rimandando al mistero della Persona di Cristo.

Il di dove dal punto di vista fisico è Nazareth oscuro villaggio da cui non può venire nulla di buono,ma fin nella diversa collocazione delle genealogie presenti nelle due narrazioni, rimanda alla stirpe davidica e a un paradossale compimento delle antiche promesse che, mentre si adempiono, vengono rilette e completate. Non meno enigmatica è la risposta al per che cosa racchiusa nello stesso nome di Gesù che allude alla liberazione dai peccati, a una conversione, alla preparazione interiore per l’approssimarsi di una regalità nuova.

In un’Israele oppresso e umiliato le attese erano altre: generalmente ci si aspettava un eroe che ripristinasse la regalità davidica, circostanza temuta da Pilato, piccolo potente di provincia legato al dominatore politeista venuto da Occidente. Continua così a profilarsi la categoria del mistero che non è un’oscurità assoluta: ciò che sappiamo di Gesù dal punto di vista prossimo è una luce troppo fioca che non ci basta, più che dire allude, rinvia, e questo vale per ogni stilla della narrazione affidata alle due pericopi evangeliche. Si perché dalla stessa normalità del carpentiere di Galilea si può trarre anche l’argomento opposto. Nella discussione successiva alla guarigione del cieco nato,narrata nel Vangelo di Giovanni, gli astanti si stupiscono “ Noi sappiamo dicono -che a mosé ha parlato dio, ma costui Gesù non sappiamo di dove sia”, il dove qui non è fisico. 

Per questo a Cesarea di Filippo sarà lo stesso Figlio di Dio ad interrogare i suoi:” voi chi dite che io sia”?I Vangeli nascono proprio per rispondere a queste domande. Matteo collocando la genealogia all’inizio della sua narrazione pone il problema del origine del Messia; mentre Luca, inserendo una diversa elencazione di nomi agli esordi della vita pubblica , ne autentica la missione. La genealogia del III Vangelo discende dal cristo radice prima e ultima, inabissandosi nel umano fino ad Adamo, cioè etimologicamente a ciascuno di noi. 

Nell’elencazione matteana, invece, a spiccare è la ficura di Abramo, la cui vita è interamente un rimando: in lui si diranno benedetti tutti i popoli della terra./ A partire da qui lo sguardo si dilata verso l’universalità della missione e la  fine del Vangelo con il comando di fare discepole tutte le nazioni. Oltre Davide, sempre in Matteo è Gesù il Re che rimarrà in eterno, annunciato dal susseguirsi di 3 gruppi di 14 generazioni con evidente allusione trinitaria. Per il tramite di 4 donne non ebree entra nella genealogia del I Vangelo il mondo dei gentili. L’elenco culmina con la Vergine Maria dalla quale è nato Gesù: la madonna rappresenta un nuovo inizio suo Figlio infatti, pur appartenendo legalmente tramite Giuseppe alla stirpe di Davide, viene dall’alto, da Dio.

Lo stesso verbo  è nato allude a un intervento dell’Onnipotente, assente in tutti i nomi precedenti, contrassegnati con generò che indica invece uno sforzo solo umano. Le strutture di entrambe le genealogie sono simboliche: quella di luca contiene per 11 volte7 elementi e questa è una numerologia tipica del apocalittica. La stessa cronologia assume una valenza allegorica: se in Matteo il tempo è connotato dalla promessa davidica, nel III Vangelo Gesù ricapitola l’umanità dispersa dopo Adamo tramite i 70 discepoli che vennero associati ai 12.

In Giovanni non ci sono, come è noto, genealogie, ma fin dal prologo il Cristo è la tenda tanto del verbo quanto del incontro che inaugura un nuovo modo di essere uomini perché nati dall’alto, generati da Dio stesso. La fede dona ai credenti una nascita rinnovata: la sua origine diviene la loro origine noi proveniamo dal Nazareno oltre e prima che dai nostri genitori biologici. La genealogia matteana prelude all’incarnazione che si riconnette sia alla figura di Giovanni il Battista, sia, in lui, all’intera vicenda di Israele. In Luca  la presenza di semitismi farebbe ipotizzare la preesistenza di un testo ebraico che però narra una storia capace di spiegare la Scrittura, rendendo finalmente visibile ciò che la Prima Alleanza preannunciava in modo velato.

Soprattutto nel III Vangelo suggestiva è l’ipotesi antica ripresa da Ratzinger di una fonte mariana palesatasi dopo la morte della Vergine che, per tutta la sua esistenza, aveva discretamente serbato ogni cosa nel suo accogliente cuore di madre. Ipotesi questa che, pur se rigettata dall’esegesi storico critica, spiegherebbe la circostanza secondo cui i racconti dell’infanzia sarebbero stati aggiunti alla narrazione lucana in un momento successivo. Ma torniamo al concepimento: Gesù e Giovanni rappresentano un dittico, nonostante, dal punto di vista esteriore, le circostanze delle rispettive nascite siano assai diverse.

La genesi di Giovanni si colloca sul grandioso sfondo della classe sacerdotale radicandosi pienamente nel Antico testamento. In lui,però, l’intero sacerdozio veterotestamentario  diviene profezia di Gesù: è per questo che non vanno accentuate le differenze tra un culto dell’antico Israele presuntamente materiale e un’adorazione neo testamentaria asseritamente spirituale. Così facendo si perde  l’intrinseca armonia dei due Patti che il Battista annuncia. Come ogni giusto adempiendo la legge anche Zaccaria, padre di Giovanni , mentre compie la Torah crea spazzi nuovi ed inediti.

Il giusto, come vedremo più approfonditamente nella figura di Giuseppe, vive integralmente la legge compenetrando Antica e Nuova Alleanza, in vista di una storia inedita di Dio con gli uomini. Nell’ora serale, in uno spazio sacro come quello del tempio, Zaccaria appare un anonimo angelo  del Signore facendo così irrompere qualcosa di nuovo in un’universo antico. Come Isacco Giovanni viene al mondo  da genitori sterili per dimostrare che nulla è impossibile a Dio e la stessa origine  eccezionale di Gesù si inscrive in questo topos, pur travalicandolo poiché a entrare nella storia e una persona divina. 

Affinità, si diceva, ma anche  differenze tra le due nascite:Gesù, granello di senapa che annuncia la nuova alleanza è vaticinato non nella maestosità  di un tempio, ma in una casa ignota, situata in una piccola città, ad una fanciulla apparentemente anonima. Il contrasto tra il tempio e la casupola, la nobiltà del sacerdozio e l’oscurità della ragazza la cui stessa provenienza è  sconosciuta non potrebbe essere più Grande. Ma  Dio- come altre volte nel Antico Testamento si pensi al elezione di Davide o alla stessa chiamata di Geremia- sceglie l’umiltà di Maria per irrompere nel  mondo: lei è la porta attraverso la quale l’Altissimo si attenda presso di noi:Anche qui troviamo un angelo.

Elisabetta è già al VI mese di gravidanza quando il messaggero di Dio appare alla vergine. Nel saluto angelico colpisce il fatto che egli non augura pace, come tradizionalmente usava, ma: “Rallegrati”, un imperativo greco che apre il Nuovo Testamento, dischiudendo nello stesso idioma ellenico anche una prospettiva universalistica. E’ infatti la gioia il dono proprio dello Spirito Santo, tanto che il Vangelo stesso rappresenta una buona novella, una nuova libertà capace di compiere la stessa legge. 

Eppure “rallegrati” non è una parola nuova, ma tratta, in un complesso e allusivo gioco di rimandi, dalla profezia di Sofonia in cui  la gioia è annunciata ad Israele perché “il signore è nel suo grembo”. Il si di Maria rinnoverà ed adempierà  questa parola, moltiplicando la letizia: anche la Vergine  infatti concepirà nel grembo, lei è la nuova arca, luogo dell’inabitazione di Dio stesso.

Oltre alla gioia la promessa ha un contenuto proprio: la Madonna darà alla luce un bimbo cui l’angelo stesso attribuisce due titoli quello di Figlio del Altissimo e quello di Figlio di Dio. Egli regnerà per sempre, ereditando il trono di Davide suo padre: il messaggero divino appare in una nube, segno dello Spirito Santo. Le sue parole veterotestamentarie ricevono dagli eventi e, allo stesso tempo, offrono ai fatti una luce nuova in una storia il cui parametro resta però soteriologico. Nel saluto dell’Angelo Maria è la piena di grazia, colei che eccezionalmente è colmata del privilegio indicibile di far nascere, non generare il Messia celato nei secoli e atteso da Israele.

La risposta della fanciulla si articola in tre sezioni: la vergine certo fu inizialmente turbata ma, a differenza del muto Zaccaria, entrò in dialogo con quella ancestrale paura e, riflettendo sulla parola divina divenne- in certo modo-icona della Chiesa stessa. La seconda  reazione della giovane  si palesa  in una domanda densa di significato: chiede come avverrà questo poiché non conosce uomo. Anche in questo caso l’atteggiamento appare diverso da quello del sacerdote veterotestamentario: egli infatti adducendo l’età avanzata dubiterà sulla possibilità stessa dell’evento, mentre Maria si soffermerà sul come accettando in anticipo l’assioma che “nulla è impossibile a Dio”. 

Domanda enigmatica perché la ragazza era già promessa a Giuseppe, non essendo però ancora entrata nella sua casa, cosa che sarebbe avvenuta solo dopo il matrimonio. Mentre gli esegeti discutono su questo dilemma, è l’angelo stesso a scioglierlo, affermando che la vergine sarà madre in modo non naturale. Cronologicamente ultimo il terzo momento della reazione mariana è teologicamente il primo  che però non si spiegherebbe senza gli altri due: è il semplice si della Madonna: Dio chiede il si di una fanciulla, bussando alla porta della sua casupola. Creando la libertà l’Altissimo stesso accetta il rischio e nella figlia di Sion il cielo e la terra trattengono il respiro: sarà una ragazza, certo umile ma anche magnanima  perché capace di concepire attraverso l’ascolto del pio ebreo, a inverare lo stesso azzardo dell’Onnipotente. A questo punto l’angelo si allontana: sola con il suo compito che supera ogni umana capacità Maria deve affrontare molte oscurità.

Preannunciata dall’angelo come una gioia la missione conosce, fin dal suo esordio l’esperienza costitutiva della croce. Alieno da una legalità meramente formale, Giuseppe cui la notizia andava data, era un uomo giusto: viveva in radicale intimità con la legge, simile a un albero piantato in prossimità di un corso d’acqua dal quale riceve nutrimento, indicando, con la sua sola presenza, oltre che con l’ombra diffusa attorno a se l’alto. La sinfonia evangelica ci conduce ora alla narrazione matteana: É lui a porsi nella prospettiva del falegname. Il narratore ci informa che “ Maria era fidanzata con Giuseppe”, non ancora moglie, la donna restava sotto la patria potestà passando solo con il Matrimonio a quella dello sposo.

Giuseppe dovette constatare che la sua futura moglie era incinta e, secondo la legge,  supponendo che avesse rotto il fidanzamento avrebbe dovuto abbandonarla: da uomo giusto lo avrebbe fatto in forma privata e non con una lettera di ripudio per non esporre la fanciulla al pubblico ludibrio. Il falegname aveva già deciso in cuor suo quando anche a lui apparve in sogno un angelo. Il sogno è per natura sua ambiguo: può avere un’origine semplicemente naturale o celare un messaggio di Dio. Proprio questa forma di apparizione del Messaggero ci parla della cifra spirituale di Giuseppe: essendo giusto, così intimo con la legge da farla divenire Vangelo, l’uomo sa decriptare l’origine divina del vaticinio. Una lettura che implica, a sua volta, una fede sovrumana.

L’Angelo chiede al figlio di Davide di non temere  in un duplice senso:  di prendere Maria come sposa poiché la gravidanza non ha origine naturale; ma anche il compito immane che gli è assegnato custodire Dio stesso. Adottato da Giuseppe Gesù libererà  il popolo dai suoi peccati collegandosi direttamente al potere salvifico dell’altissimo. Il carpentiere accetta la sfida e adempiendo la promessa radicata nel capitolo VII del profeta Isaia, il Dio lontano diviene Emanuele.

Una promessa non più legata a un contesto storico quello del patto tra Israele e la grande potenza assira, ma capace di estendersi a ogni uomo e a tutti gli uomini. La parola di Isaia diviene realtà nella nascita di Gesù: l’Emanuele è venuto e il vaticinio del Profeta appare simile a un buco di serratura miracolosamente predisposto nel quale la chiave Cristo si incastona perfettamente. Un incastro reso possibile dall’assoluta originalità del  racconto del parto verginale rispetto alle coeve narrazioni della nascita presenti, solo per fare un esempio, nell’antico Egitto.

Queste infatti sono delle legittimazioni teologiche del potere politico e avvengono in scenari maestosi mentre Dio, parola creatrice, nasce nella povertà di una stalla e questo fatto diventa oggetto della riflessione credente. La dimensione storica non è però totalmente assente dall’orizzonte di un avvenimento tanto straordinario sia per il nuovo ordine del mondo annunciato ab integro nella pax augustea, sia per la sua prefigurazione letteraria che Virgilio, vate di quell’età affida alla IV Ecloga. Complici i numerosi sommovimenti che precedettero la sua ascesa, Augusto, cui verrà attribuito il titolo di salvatore, aveva suscitato speranze di pace in un impero scosso da lotte intestine.

In questo quadro si inserisce, prescindendo da accidentali problemi di datazione, anche il primo  censimento di tutta la terra, cui accennano le narrazioni evangeliche. La grandezza della nascita di Gesù al  contrario della stessa speranza virgiliana di un nuovo e pacifico ordine, risiede non tanto in una svolta cosmica, quanto in uno scenario umile. Il Dio cristiano non si muove, cosa che lo spirito moderno sarebbe disposto anche a concedergli, nel etereo mondo delle idee: tanto la nascita quanto la resurrezione ci dimostrano che il Cristo ha potere sulla materia. Gesù viene al mondo nel luogo della promessa, durante un viaggio necessario affinché sia censita tutta la terra: una lingua universale, un governo unico, la stessa pace consentono a Dio di entrare nell’umanità anche se l’Imperatore non sa nulla di quanto sta avvenendo in quella remota provincia del suo dominio.

La storia è a un tempo adempiuta e capovolta proprio dal registro soteriologico cui si è accennato. Per questo cercare conferme che si situino al di fuori della narrazione evangelica appare poco utile per il nostro fine che è piuttosto quello di seguire il dedalo di rimandi interni alla stessa scrittura. Resta il fatto che Gesù come irrompe nella materia redimendola, così è inscindibilmente legato a un tempo e a dei luoghi che hanno valenza teologica. Egli è il forestiero: nasce fuori della città, avvolto in fasce deposto in una mangiatoia dove nell’allegoresi della comunità cristiana le prime alludono alla sua morte, mentre la seconda prefigura l’eucarestia.

È vegliato dai pastori che, soprattutto nel esegesi orientale rappresentano i monaci, archetipi di coloro che restano desti nel mondo. E ai pastori, marginali ed emarginati, sono i cori angelici ad annunciare simultaneamente la gloria a Dio nel alto dei cieli e la pace in terra agli uomini del suo compiacimento: non di buona volontà, secondo una esegesi tradizionale troppo moralizzante, ma neppure che egli ama, come traduce oggi la Conferenza Episcopale Italiana, instillando- almeno implicitamente- il dubbio che vi siano uomini non amati dal Signore.

Non è però questo il luogo per indugiare in simili sottigliezze esegetiche: ci basterà seguire le linee narrative essenziali. In Luca Gesù è offerto al tempio preannunciando con ciò la sua missione senza che, come previsto dalla legge, sia stato riscattato con un tributo dovuto per ogni primogenito. Nel suo caso, in uno stupefacente capovolgimento della norma, non si presentano oblazioni: sarà egli stesso a donarsi sulla Croce. Il Bimbo è quindi offerto nel tempio, poiché egli appartiene solo a Dio e non principalmente ai suoi genitori.

Prima di abbandonare la prospettiva lucana per guardare gli stessi eventi da quella di Matteo accenniamo solo al tema cruciale del riconoscimento di Gesù: il vecchio Simeone, uomo Pio che attendeva il Signore, si scioglie  in un cantico vedendo in quel incontro compiute le attese della sua  vita: per lui il Cristo  è la luce, metafora questa che verrà più volte ripresa soprattutto nel IV Vangelo. Subito  dopo la nascita Matteo pone una delle pagine più misteriose dell’intero Nuovo Testamento cioè il racconto dei Magi, sapienti venuti da Oriente, per adorare al seguito di una lucentissima stella, il piccolo Re.

Già il significato del termine greco Magoi si dispiega in un’infinità di iridescenze che abbracciano gamme semantiche vastissime: il vocabolo può indicare un saggio o, al contrario un impostore e in entrambe le accezioni viene usato nel Nuovo Testamento: Matteo si riferisce al primo dei due sensi. Allegoricamente interpretati in molti modi questi uomini rimandano oltre se stessi. Rappresentano quindi non solo le religioni ma anche le filosofie e le scienze profane, tutte incamminate verso Cristo, sapienza unica e definitiva. Il questa prospettiva i saggi possono simboleggiare: il mondo, raffigurato dai re dei 3 continenti allora noti Europa, Asia, Africa.

In un’ottica più antropologica  la Chiesa ha letto nei magi  anche la prefigurazione delle 3 età dell’uomo: giovinezza, maturità, vecchiaia unificate dall’adorazione del Cristo. Anche sulla stella si è molto discusso: alcuni astronomi dando credito alla lucentezza di cui parla l’evangelista, la identificano con una supernova avendo anche calcolato che nel VII  a.C., anno in cui verosimilmente Gesù è nato ,si sarebbe verificato un fenomeno eccezionale. Rispetto alla mentalità  dei popoli pagani appare importante rilevare la diversa prospettiva sia di Israele sia della chiesa nascente nei confronti delle potenze astrali:il cosmo parla di Cristo, suscitando sia l’attesa del creatore, sia la consapevolezza che ogni uomo è chiamato ad andargli incontro.

La Stella che conduce i Magi fino in giudea è quindi in realtà guidata dalle Sacre scritture, perché i Sapienti si erano inizialmente recati presso il palazzo reale, e sarà la bibbia a indicargli il luogo in cui giaceva il Salvatore. Lungi dal condurre  le vicende umane, come credevano i pagani, la Luna e il Sole- fin dal racconto della Genesi- sono lampade, illuminate da Dio stesso. E’ quindi il Bambino che, nella prospettiva neo testamentaria, segna il corso della stella e non l’astro a decidere delle sorti degli uomini. Per questo il mondo biblico non attribuisce ai pianeti nomi di divinità essendo il tetragramma il loro Creatore. Uno sguardo conclusivo all’epilogo dedicato alla vicenda di Gesù dodicenne smarritosi nel tempio ci aiuta a decriptare anche la concezione del  libero arbitrio propria  del Nazareno.

In lui la libertà non è  quella del liberale o dello sradicato, ma anche la “disobbedienza” ai suoi genitori si correla  con una radicale obbedienza alla  sua missione. La stessa famiglia nucleare, ignota nell’antico Israele, si lega inscindibilmente a una comunità  più vasta che Luca, con parola greca chiama sinodia: tradurre questo termine con carovana non ci fa giungere al suo vero significato che è appunto quello di comunità di cammino, persone, legate da parentela, che percorrono insieme un iter, con tutti i pericoli che i viaggi allora comportavano. E la compagnia di questa sinodia, proprio l’essere una comunità di cammino e al contempo in cammino è il tesoro più prezioso che questo piccolo libro porta con se, un tesoro da riscoprire, anche meditando gli enigmatici segni dell’infanzia di Gesù da un lato  alla luce della futura missione e dall’altro a quella del suo radicamento presso il Padre celeste.

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