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“Palermo lu Tempu” – respiri sepolti in via Porta di Castro

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di Valentina Frinchi

Fatale fu quell’umidità che dipinse una crepa di colori sulla parete di quella stanza che affaccia in via Porta di Castro, al numero 239: lì dove un tempo scorreva il fiume Kemonia, potevano scorgersi per caso  dei piccoli straordinari disegni, apparentemente arabi, dipinti in argento e con la cornice in oro; gli stessi si ripresentavano sui sopraporta del medesimo ambiente invertendo le sfumature  cromatiche: le scritte dorate e le cornici argentate…

Protagonisti dei nostri giorni  sono Giuseppe e Valeria Cadili, i quali realizzano il loro sogno al centro storico, acquistando un rudere proprio  in prossimità del Palazzo Reale, ignari del mistero che avrebbe avvolto una Stanza. Quella che doveva essere la cameretta di Tancredi diventa il luogo incantato dal passato, un vano che durante i lavori di restauro, per uno strano scherzo della storia, sarebbe rimasto isolato dal resto di quella che sarebbe diventata la loro lussuosissima dimora. E’ proprio in quell’ambiente che pian piano viene restituito tutto il patrimonio culturale rappresentato da un intreccio di simboli tutelati da un Genio che ne ha protetto il “tempo”.

E’ proprio Ballarò uno dei simboli di Palermo, creata dai mercanti arabi che provenivano dalla vicina “Balhara” (la nostra Monreale) e che coniarono il termine “balalah” per intendere la confusione, quei rumori di folklore che ancora oggi ci riportano  alle “abbanniate” dei venditori del prezioso mercato e dove si avverte la più suggestiva tra le atmosfere di questo dedalo di viuzze; le grida dei mercanti o degli attuali venditori ci ricordano le preghiere cantate dai “muezzin” che   con un richiamo cantilenante invitavano i fedeli a  riunirsi nelle moschee islamiche.

Socchiuso quel portone di ferro della via Porta di Castro, saliti quei gradoni in quel buio che sa di mistero, con paura, emozione e tanta curiosità, raggiunto quel terzo piano e varcata la soglia della casa vissuta dai nostri avi, sulla destra si entra subito nella stanza scoperta dalle sue stesse mura dove il disegno, in realtà, si presenta grossolano, mancando di quell’assoluta precisione che solo un buon Arabo avrebbe potuto compiere. Del resto, ogni dubbio permane sull’autenticità della matrice araba, dove l’architettura trova la sua tipicità nelle pareti completamente piastrellate. Nella Camera delle Meraviglie, invece, le pareti, man mano che il restauro veniva completato si svelavano interamente decorate da geroglifici arabi o arabeggianti. Il senso della scritta pare non volesse avere una logica; si ripetevano, in maniera costante, quasi ossessiva, gli stessi caratteri, simboli arabi e siriaci insieme, che riportano ad una convivenza della cultura ebraica , islamica , e cristiana! L’alienante ripetizione del simbolo può condurre ad una sorta di “litania” tipica di ogni religione e restituisce a quell’ambiente tutta la sua sacralità. Il disegno si completa poi con dei sigilli,  simbolo di  un’invocazione divina, con un valore di talismano, di portafortuna, al sol fine di far prevalere “la forza del bene” dentro la sacra stanza. Poteva quindi essere anche  un luogo occulto, un posto nascosto e sicuro, dove esercitare pratiche esoteriche, poiché secondo l’Islam era ritenuta eretica l’invocazione di forze divine. Poteva trattarsi allora di una“stanza segreta”?!

Assolutamente emozionante, e a volte inquietante, lo stupore degli addetti ai lavori, che stuccando dolcemente quelle mura, in quattro strati diversi, assistono, con la luce del sole che viene dal cielo di Ballaro’,  alla scoperta di quei caratteri sepolti da diversi colori,  ritrovando la storia di quella Stanza, ridonandole tutta la sua identità e tinteggiandola per l’ultima volta, con il suo unico vero colore, il Blu!

La storia si ferma al 1860 quando il proprietario dell’immobile risultava essere Stefano Sammartino, Duca di Montalbo, che non era affatto un discendente arabo, ma un palermitano del tempo che verosimilmente amava ritrovarsi in una sua meditazione familiare, nella stanza del mistero, come se fosse una piccola moschea, ispirandosi ad una sorta di ideologia arabeggiante.

Nessuna ricostruzione certa riconduce ad una verità, ma si sente un odore di passato, è il profumo del “tempo” che riaffiora da quelle pareti, quei simboli riportano ad un’identità, ad un immaginario Genius Loci, “Palermo lu Tempu”  che tutela la nostra storia, perché come diceva l’antico esegeta di Virgilio,  Servio, nullus locus sine Genio ovvero “nessun luogo è senza un Genio”  e quella storia non si ferma in via Porta di Castro, ma abbraccia tutti noi, noi di quella Palermo che non sempre si vede, che a volte è persino incomprensibile, ma è una Palermo che esiste, respira, muore e riaffiora.

Ed è il Tempo autore di tutto… “il Genio nutre gli stranieri e divora i suoi figli” è la frase che spesso si può leggere tutt’ora nelle targhe del Genio di Palermo che riconduce alla triste realtà che riguarda il modo di accogliere gli stranieri della nostra città divorando al contempo  i suoi stessi cittadini. Il Genio in quanto Tempo ha la capacità di generare qualcosa di nuovo dal consumo che lui stesso ha generato… Ma “Palermo lu Tempu” , per strada, in quella via Porta di Castro, si vuole rivolgere ai suoi palermitani, vuole gridar loro, “lasciate stare…  non dormite piu’…” in questa viuzza, ci sono io, che aspetto voi, passo qui fuori tutte le nottate… aspetto che vi svegliate… aspetto da decenni, da generazioni, voi che avete coperto i simboli della vostra identità con tutti i colori possibili, che avete soffocato tutto il divenire, avete impolverato  l’oro dei vostri nonni, avete dato spazio a coloro che ignorano la vostra storia, avete rinnegato le vostre origini, vi siete mescolati con chi è senza identità, ma il Tempo è un cerchio, e nella sua circolarità non esiste né un inizio né una fine, tutto gira, ruota si rimescola e incredibilmente riaffiora!

Nella cultura dell’apparenza che regna nella Palermo di oggi, al di là di una realtà visibile di una città ancora poco conosciuta, ci sono dei simboli che nella loro più profonda comprensione riportano ad un’identità che combacia perfettamente con quello che ritroviamo nei tesori sepolti; li riconosciamo come battiti di respiri che ci appartengono, e se ci fermiamo per un attimo con fiducia verso ciò che non è facilmente riconoscibile, ascolteremo il rumore del TEMPO, che è l’unica risorsa che sconfigge quella pigrizia che ha impedito di ascoltare la verità, che ci difende da ogni tipo di contaminazione e che ci rende finalmente pronti a quel dinamismo culturale che ci aspetta.

E’ con “Palermo lu Tempu”  a via Porta di Castro, che riaffiora l’anima, simbolo di una Palermo che pulsa, si scopre, si rivela e non muore…

 

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