Oltre i campi di detenzione, ritrovare un’anima da condividere

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Foto di Markus Spiske su Unsplash

Le violazioni dei diritti dei migranti

La sentenza con cui, qualche giorno fa, la Corte europea dei diritti umani (CEDU) ha condannato l’Italia per la detenzione illegale e il trattamento «inumano e degradante» di quattro migranti minori (tre gambiani e un ghanese), nell’hotspot di Taranto, nel 2017, non è che l’ultima di una serie di pronunzie a carico del nostro paese da parte del Tribunale di Strasburgo – un organismo giudiziario del tutto indipendente dal Consiglio e dal parlamento della UE e dunque non sospetto di portare avanti un discorso politico.

Lo scorso ottobre una analoga condanna nei confronti dell’Italia era stata emessa dalla CEDU per le stesse violazioni dei diritti umani, questa volta a danno di tre migranti tunisini, nell’hotspot di Lampedusa. E poco prima, in agosto, una sentenza della Corte europea aveva riguardato la mancanza di un’adeguata accoglienza e tutela di una ragazza minorenne originaria del Ghana. Ma già nel luglio 2022 ce n’era stata un’altra per i maltrattamenti ai danni di un minore del Gambia.

Tutti gli episodi in questione riguardano il 2017, e sanzionano dunque la gestione dell’accoglienza dei migranti da parte del governo Gentiloni. Lo stesso che, grazie al ministro dell’Interno Minniti, in quello stesso anno ha stretto accordi con la Libia perché trattenesse i migranti in centri di detenzione che, secondo la denunzia dell’ONU, sono dei veri e propri lager, dove tutti i diritti umani sono sistematicamente violati.

Già allora, dunque, con una maggioranza parlamentare e un esecutivo di centro-sinistra, che a parole si pronunziavano a favore di una politica di integrazione, non solo non si faceva praticamente nulla per realizzarla, ma si mantenevano in piedi strutture di “finta accoglienza” – in realtà più simili a campi di concentramento – dove la dignità delle persone veniva calpestata.

Le cose potevano solo peggiorare – e sono infatti peggiorate – con l’avvento del governo di destra, il quale aveva messo tra i punti qualificanti del suo programma elettorale la «difesa dei confini nazionali ed europei» e il «controllo delle frontiere e blocco degli sbarchi per fermare, in accordo con le autorità del nord Africa, la tratta degli esseri umani». Dove l’espressione «difesa dei confini nazionali ed europei» implicava, già di per sé, l’assimilazione dei migranti a invasori da respingere.

E su questa linea si è mossa – anche se con scarsissimo successo – l’esecutivo guidato dalla Meloni, adottando misure fortemente restrittive nei confronti delle navi delle Ong impegnate nel salvataggio dei naufraghi nel Mediterraneo, rinnovando e rafforzando gli accordi con la Libia, stringendone di nuovi (poi disattesi dall’altra parte) con la Tunisia e lanciando, ultimamente, il fantasioso progetto di “deportare” i migrati adulti in Albania.

È in questa logica ostile e penalizzante che il consiglio dei Ministri, il 6 ottobre 2023, con decreto legge, ha consentito il collocamento di migranti minorenni con più di 16 anni nei centri detenzione riservati agli adulti.

Una prassi già purtroppo ampiamente in voga e che si è voluto così rendere legale, favorendo una promiscuità che tutti gli esperti ritengono rovinosa per i più giovani, tanto più che quei centri sono già di per sé sovraffollati, con servizi igienici assolutamente inadeguati (si parla di due per quaranta persone) e privi di assistenza legale e psicologica e di insegnamento dell’italiano.

Anche attualmente a Taranto – denuncia l’Asgi (Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) – , «nell’hotspot allestito su un parcheggio nel porto, completamente isolato dal contesto urbano e sociale locale, e assolutamente inadatto ad ospitare minori, attualmente ci sono 185 minori stranieri trattenuti di fatto in assenza di ogni base legale e di vaglio giurisdizionale, alcuni addirittura da agosto».

Ora, la prima delle violazioni dei diritti umani sanzionate dalla Corte europea con la sua più recente sentenza è proprio che i quattro minori africani fossero stati alloggiati, nel 2017, nell’hotspot di Taranto, previsto per soli adulti!

Aspettiamoci dunque altre condanne, questa volta non nei confronti di una prassi occasionale, ma di una legge che nasce all’insegna del misconoscimento delle più elementari esigenze delle persone più giovani.

Insomma, sia la sinistra che la destra – al di là dei proclami di segno opposto – hanno ampiamente dimostrato la loro mancanza di un vero progetto di accoglienza e di integrazione, capace di trasformare il fenomeno migratorio da drammatica minaccia in risorsa.

Certo, sulla carta l’atteggiamento del PD è stato molto diverso dall’accanimento xenofobo della Lega e di Fratelli d’Italia. Ma è significativo che, nel tempo in cui è stato al governo, questo partito non abbia neppure provato a smantellare quei “decreti sicurezza” che avevano costituito la gloria dell’ex ministro dell’Interno Salvini.

Una politica suicida dal punto di vista economico

E che questa sia una politica autolesionista, da parte de nostro paese, lo dice il dato incontestabile che, nella misura in cui gli stranieri vengono messi in condizione di inserirsi nella nostra società – invece di esserne tenuti ai margini, isolati in campi di detenzione fuori dei circuiti civili – , sono già oggi in grado di dare un apporto decisivo alla nostra economia.

Questo è vero per esempio, se si guarda al loro ruolo nel sistema pensionistico. È dell’aprile scorso l’intervista su «La Stampa» in cui il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, ha detto chiaramente che, per quanto riguarda il rapporto tra lavoratori e pensionati, con l’attuale andamento demografico «dopo il 2040 arriviamo alla soglia dell’uno a uno, un numero che definirei davvero critico» e aveva indicato come unica soluzione l’apertura all’ingresso degli stranieri: «Le economie ricche», spiegava il presidente dell’Inps, «hanno tutte molti migranti».

E, facendosi interprete delle pressanti richieste degli imprenditori, che chiedono l’allentamento delle restrizioni all’ingresso di lavoratori stranieri, aveva aggiunto: «Anche noi abbiamo l’esigenza di coprire lavori medio-bassi da Nord a Sud con gli stranieri.

La soluzione non può che essere l’accesso di immigrazione regolare e fluida». Così, del resto, è stato altrove. A questo proposito Tridico si è appellato all’autorità del premio Nobel americano Paul Krugman: «Krugman segnala come negli Stati Uniti gli immigrati siano stati la leva più dinamica nel contributo alla crescita dell’economia».

Ma perché questo inserimento degli immigrati nel mondo del lavoro sia possibile non basta, ovviamente, lasciarli arrivare, evitando che affoghino nel Mediterraneo: bisogna anche insegnare loro la nostra lingua, valorizzare le abilità e le competenze di cui spesso sono portatori, renderli partecipi di una vita sociale in cui le relazioni tra di loro e quelle con gli italiani siano sviluppate e diventino normali.

Qualcosa che finora non è stato mai organicamente perseguito dai governi precedenti ed esattamente il contrario di ciò che quello attuale sta cercando di realizzare.

Ritrovare un’anima per condividerla

Tutto ciò però riguarda ancora solo l’aspetto economico. Il problema di fondo che si prospetta è più generale, e ha come suo punto fondamentale la questione culturale. È soprattutto sotto questo profilo che la politica inconcludente della sinistra e quella risolutamente ostile della destra sono suicide. In particolare, la linea ferocemente difensiva di quest’ultima appare ispirata alla preoccupazione di evitare una «sostituzione etnica» – come l’ha chiamata il ministro Lollobrigida in un suo discorso, – , che sarebbe anche una “sostituzione” culturale .

Ed è vero che la percentuale di stranieri, in Italia, pur essendo nettamente più bassa che in altri paesi europei, come la Francia e la Germania, è destinata a crescere abbastanza rapidamente, anche solo per effetto del differente tasso di natalità tra essi e gli italiani.

In particolare preoccupa il fatto che la maggior parte di loro è di religione islamica (anche se non mancano, anzi sono numerosi, i cristiani!) e sono dunque portatori non solo di una fede, ma anche di una cultura molto diversa dalla nostra.

Ma proprio per evitare uno scontro di civiltà da cui alla fine usciremmo perdenti, la sola politica adeguata non è quella dei muri e dei campi di concentramento, bensì quella basata su una ragionevole accoglienza (nessuno ne vuole una indiscriminata) e soprattutto su una capillare opera di integrazione culturale, che consenta ai nuovi arrivati di diventare non solo lavoratori, ma cittadini italiani.

E per questo un’attenzione speciale dovrebbe essere dedicata proprio ai minori, più suscettibili di essere educati in questo senso. Dove lo scopo non dev’essere di cancellare la loro identità con una assimilazione forzata, ma di valorizzarla in tutti gli aspetti che possono favorire un dialogo costruttivo e una cooperazione – non solo una convivenza! – civile in funzione di un unico bene comune.

Solo che, per sperare di realizzare questo, l’Italia stessa – come del resto tutta l’Europa – deve uscire da un vuoto spirituale e valoriale che la sta desertificando e di cui purtroppo sono evidente espressione sia la classe politica della sinistra che quella della destra.

Il nostro paese – e non solo quello – deve ritrovare un’anima. Come potrà, altrimenti, chiedere a chi arriva dall’esterno di condividerla?

Si tratta di ricostituire un tessuto di valori comuni, una prospettiva di senso condivisa, che consentano di uscire dalla logica dell’individualismo selvaggio e del consumismo oggi dominanti.

Continuare a puntare sulla difesa disperata di questo vuoto, alzando barriere e costruendo campi di concentramento, non fa che evidenziarlo e rendere sempre più reale il pericolo che si vuole esorcizzare.

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