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Modelli di uomo a confronto

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di Giuseppe Savagnone

 

Mi chiedo se sia una coincidenza puramente casuale quella che ha visto, negli stessi giorni, trionfare in Irlanda i “sì” al matrimonio tra omosessuali e approvare in Italia – anche qui con maggioranze bulgare (398 voti favorevoli, 28 contrari e 6 astenuti) – il cosiddetto “divorzio breve”, la norma cioè che riduce da tre anni a sei mesi il tempo necessario, dopo la separazione, perché il matrimonio si sciolga definitivamente. Senza andare a cercare un collegamento inesistente fra due eventi così lontani nello spazio, si possono però notare alcune corrispondenze che  possono essere significative.

Tutte e due le innovazioni legislative si verificano in paesi di forte tradizione cattolica, anche se entrambi scossi da una forte secolarizzazione. Tutte e due riguardano un istituto, il matrimonio, che di questa tradizione era un cardine indiscusso e – fino a poco tempo fa – indiscutibile. Tutte due si realizzano senza quel parossismo di conflittualità che aveva caratterizzato, in Italia, i referendum sul divorzio e quello sull’aborto, quasi che ormai gli oppositori siano stati in partenza rassegnati alla sconfitta. E, in effetti, tutte e due registrano un consenso nettissimo, la prima a livello popolare, la seconda in parlamento. Tutte e due, infine, state salutate con entusiasmo dall’opinione pubblica come una conquista civile e una vittoria della civiltà sull’oscurantismo.

A fronte di questo quadro, stanno il duro giudizio del segretario di Stato vaticano, il card. Parolin, secondo cui l’esito del referendum irlandese «è una sconfitta per l’umanità», e la valutazione critica del giornale dei Vescovi italiani, «Avvenire», che, a proposito della nuova legge sul divorzio, parla di «incivile traguardo». Ancora una volta, anche nel tempo di papa Francesco, la divaricazione tra la prospettiva etica proposta dalla Chiesa, sia ai singoli che alla società, e la scala di valori della cultura contemporanea, si manifesta in tutta la sua evidenza.

Forse, però, la chiave di lettura più corretta di questo contrasto va cercata al di là del piano puramente giuridico e di quello morale. La differenza di vedute è in realtà più profonda e riguarda innanzi tutto il modo di concepire l’essere umano. È su questo piano che i dissensi sulla regolamentazione legislativa del matrimonio e, più a monte, sull’etica   a cui questa legislazione deve ispirarsi, trovano  la loro vera, ultima radice. Comprenderlo non rende più facile trovare una composizione, ma almeno può evitare che  ci si scontri sul terreno sbagliato.

Che cosa hanno in comune la rivendicazione del matrimonio tra gay e la ulteriore riduzione del tempo per sciogliere il matrimonio etero? Risposta: nell’uno e nell’altro caso ciò che si chiedeva e si è ottenuto è il rispetto, da parte dello Stato, delle esigenze  e preferenze soggettive dei singoli, considerate come prioritarie rispetto ad ogni altro fattore. Così, per ciò che riguarda il matrimonio tra omosessuali, quello che è considerato una conquista è il pubblico riconoscimento del suo orientamento sessuale e delle unioni contratte in base ad esso, con tutto ciò che questo riconoscimento comporta (per esempio, la possibilità di adottare dei bambini). Quanto al caso del divorzio, si sancisce il diritto degli sposi di revocare il consenso che avevano dato, in altri tempi e altre circostanze, sotto la spinta di nuove motivazioni che – si sottolinea – la comunità non ha alcun diritto di sindacare.

In entrambi i casi l’essere umano di cui si parla è un individuo la cui libertà  consiste nel poter seguire i propri bisogni e le proprie emozioni senza esserne impedito da regole sociali vincolanti, siano esse derivate da situazioni di fatto (la caratterizzazione sessuale)  o da impegni assunti precedentemente (il consenso matrimoniale). Si è liberi se si può fare ciò che si vuole, purché non si usi violenza ad altri. E, se i due individui che si uniscono o che si separano, desiderano entrambi farlo, perché la legge  o la morale dovrebbero condannare la loro legittima aspirazione a essere felici, opponendo il proprio divieto?

Diversa è l’ottica della Chiesa. Nella sua concezione gli esseri umani sono se stessi solo nelle loro relazioni con gli altri. Il single è un’invenzione ideologica senza fondamento.  Perciò ogni nostra scelta ricade su tutta la comunità, anche quando apparentemente è del tutto privata. I “fatti propri” non esistono. Il medico che non si aggiorna, il docente che si lascia andare, il figlio che si droga, non stanno facendo solo i “fatti loro”, ma anche, rispettivamente, quelli dei loro pazienti, dei loro alunni, di tutta la famiglia. Perfino chi si limita a disinteressarsi di ciò che gli accade intorno contribuisce, senza rendersene conto, a determinare la sorte comune (è accaduto con il nazismo!).  Nessun uomo è un’isola. Perciò la libertà non mai solo libertà di scelta, ma anche responsabilità verso gli altri che questa scelta inevitabilmente coinvolge. Soprattutto verso i più deboli.

Se così è, le preferenze individuali non possono essere l’unico criterio per stabilire se una cosa è giusta e neppure legittimarla a livello giuridico. Così, nel caso del matrimonio tra omosessuali, il loro comprensibile desiderio di avere dei bambini dovrebbe essere confrontato con il bisogno dei figli (fino a ieri teorizzato da cento anni di studi psicoanalitici) di crescere rapportandosi alle figure strutturalmente diverse di un padre e di una madre. Né bastano certo delle interviste ai figli di famiglie omosessuali a smentire una dottrina che si basa sull’analisi dell’inconscio.

Quanto al divorzio breve, anche qui i singoli possono avere esigenze rispettabilissime, che però forse andrebbero bilanciate con quelle di una società per cui la stabilità del matrimonio – che  la nuova legge certo non favorisce – era garanzia di tutela e di educazione delle nuove generazioni.

Questa visione dell’essere umano, della libertà, dei legami personali, oggi è talmente minoritaria che perfino molti cattolici sono imbevuti dell’altra e vivono in base ad essa, e non solo per quanto riguarda il matrimonio. L’eclisse del senso del bene comune, rispetto alla logica degli interessi individuali o corporativi, rispecchia in modo più generale la stessa tendenza. È questa la civiltà? Chi inneggia, in questi giorni, ai nuovi passi avanti fatti in questa direzione lo dà per scontato. A chi, come me, non lo pensa, resta la libertà-responsabilità di fare del proprio meglio per sollevare almeno qualche ragionevole dubbio.

 

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