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Le proposte dei “Saggi” per una scuola migliore?

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 di Luciana De Grazia

Nella Relazione del Gruppo di lavoro in materia economico-sociale ed europea elaborato dai saggi nominati dal Presidente della Repubblica si affronta anche il tema dell’istruzione e dalla formazione, in un paragrafo intitolato “Potenziare l’istruzione e il capitale umano”.

Il documento evidenzia dei principi importanti, non scontati, che si auspica possano essere presi in considerazione nelle linee programmatiche del nuovo governo, almeno per due tematiche fondamentali: l’importanza del merito e del tipo di formazione che la scuola può elargire agli studenti e lo sviluppo di una politica di inclusione sociale.

Nel principio della relazione si sottolinea infatti che “tutte le analisi condotte sul tema della crescita economica indicano nella disponibilità di un capitale umano di qualità uno degli ingredienti fondamentali per sfruttare appieno le nuove tecnologie, per favorire l’innovazione e l’aumento della produttività” e che “migliorare le performance dei sistemi di istruzione e formazione è fondamentale per assicurare nel medio termine una crescita economica”.

 

Quanto riportato sottolinea l’importanza del merito, collegandolo con la crescita sociale ed economica. Finalmente! E’ importante che si prenda posizione in ordine all’idea che l’istruzione a qualsiasi livello, scolastico e universitario, non è solo un costo, ma un investimento indispensabile e prioritario per lo sviluppo della società. Sono anni che si sottolinea quanto poco si investa nel campo dell’istruzione e della cultura nel nostro paese, fanalino di coda di tutte le statistiche europee, senza valutare che la crescita di una società è strettamente dipendente dalla qualità di una formazione che punti allo sviluppo di competenze, di senso critico e di capacità di giudizio. Questo rimanda ad un altro aspetto: al tipo di formazione che le istituzioni scolastiche devono essere capaci di offrire. Impone di soffermarsi sulla qualità dell’apprendimento degli studenti, da valutare con criteri idonei ad apprezzare lo sviluppo di capacità di approfondimento e di autonomia, non valutabili con gli strumenti attualmente previsti. La scuola deve riuscire ad offrire non solo conoscenze, oggi facilmente reperibili da tutti grazie agli strumenti informatici di cui i ragazzi sono ben padroni.

Nel documento si propone di prolungare la scuola nel pomeriggio negli anni del primo ciclo, senza duplicare le attività del mattino, per cercare di contrastare il fenomeno della dispersione scolastica, che sembra emergere in modo particolare nel sud dove il tempo pieno nella scuola primaria è inesistente o poco diffuso. L’idea non è sbagliata, ma diventa fondamentale individuare l’offerta da rivolgere agli studenti, ritornando sul tema del tipo di investimento che si vuole realizzare nel campo scolastico. Attualmente le materie cd. non prevalenti nella scuola primaria, che dovrebbero favorire lo sviluppo di capacità non strettamente collegate al sapere leggere, scrivere o fare di conto, come la musica, l’attività motoria, l’arte e immagine, non sono svolte da docenti che hanno una specifica competenza in tali materie e che spesso sono prestati svogliatamente a coprire le ore. Il tempo pieno va bene, purchè non diventi un baby parking per contrastare la dispersione scolastica, obbligando i bambini a star a scuola senza un reale, valido e formativo programma di apprendimento. Il tempo gioco è ben più prezioso che stare in aula a non fare nulla!

Si osserva anche che “La mobilità sociale si è drasticamente ridotta, al punto che le generazioni nate negli anni ’80 hanno molte meno opportunità di evolvere nella scala sociale rispetto alle generazioni precedenti. La condizione della famiglia di origine condiziona pesantemente l’esito scolastico e i percorsi di vita”. Anche questo riferimento è fondamentale per svolgere alcune considerazioni sulla rilevanza di una politica realmente inclusiva: tale politica deve permettere, indipendentemente dalle condizioni economiche della famiglia di origine, la possibilità di una crescita culturale che favorisca lo sviluppo di ogni singola personalità, in modo che possa poi trovare espressione nel campo lavorativo. Le istituzioni scolastiche non si possono accontentare del raggiungimento di risultati minimi, né devono in alcun modo svolgere una funzione selettiva, ma devono mirare ad obiettivi che siano in grado di includere anche chi ha difficoltà di integrazione per motivi economici, sociali o fisici. La limitata mobilità sociale è collegata a dei livelli di investimento pubblico estremamente ridotti che non consentono lo sviluppo di una società sostanzialmente eguale e la differenza sul piano dell’istruzione è accentuata dal fatto che le famiglie benestanti sopperiscono con risorse private ai deficit del livello formativo.

Il documento suggerisce che “la Conferenza Stato-Regioni vari, quanto prima, il decreto sulla definizione dei livelli essenziali delle prestazioni e dei requisiti di eleggibilità per il diritto allo studio universitario. Inoltre, il Fondo Integrativo Statale delle borse di studio, recentemente ridotto a livelli minimi, va aumentato in modo consistente, anche per sottolineare che lo Stato intende offrire reali opportunità verso gli studenti meritevoli provenienti da famiglie meno abbienti”. Appare giusto il collegamento tra i livelli essenziali delle prestazioni e il diritto allo studio, a cui si aggiunge il riferimento ad un aumento dei fondi per le borse di studio da garantire agli studenti meritevoli meno abbienti. Poiché il talento e il merito non sono collegati al censo della famiglia di origine è indispensabile prevedere una politica che ne agevoli l’emersione.

Si auspica, ovviamente, che tutto ciò non resti solo un programma o una definizione di principi, ma che i nostri governanti possano acquisire la consapevolezza che solo investendo sulla cultura può esserci reale sviluppo.

 

 

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