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La vita è meravigliosa: ce lo ricorda il papa

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di Giuseppe Savagnone

Corrisponde allo stile pastorale del suo autore, papa Francesco, che il primo documento integralmente di sua mano (l’enciclica Lumen fidei, pur pubblicata con la sua firma, era in gran parte opera del suo predecessore), l’esortazione apostolica Evangelii gaudium, abbia come tema la gioia. Fin dal suo sorridente saluto, dal balcone dove si era affacciato subito dopo l’elezione – «Cari fratelli e sorelle, buonasera!» –  il nuovo pontefice si è sforzato di avvicinare la Chiesa istituzionale alla gente, alla sua quotidianità, alle sue aspettative. Il suo tono semplice, anche se incisivo, la sua cordiale immediatezza, la sua capacità di mettersi sullo stesso piano dei suoi interlocutori, hanno offerto un’immagine nuova, diversa, dell’identità del vicario di Cristo.

Non sono, si badi bene, soltanto i tratti caratteriali di un “buon uomo”, che si fa voler bene per la sua costitutiva dolcezza, come qualcuno all’inizio ha creduto. È un programma, consapevolmente voluto e coerentemente perseguito. Parlavo all’inizio di uno “stile pastorale”, che Francesco sta proponendo e che chiede a tutti membri  della comunità cristiana, primi fra tutti vescovi e presbiteri,  di adottare nella loro vita personale e nella loro opera evangelizzatrice.

Alla radice di questa scelta c’è, evidentemente, la convinzione che insistere sui grandi temi teologici, sugli irrinunciabili princìpi etici, sulle metodologie da adottare per modernizzare l’annuncio del vangelo, sia del tutto sterile, se prima non si cambia l’immagine che la grande maggioranza degli uomini e delle donne del nostro tempo – credenti compresi – hanno della Chiesa. Troppo a lungo  l’istituzione ecclesiastica è stata vista come la roccaforte di verità tanto assolute quanto scarsamente significative per i problemi reali delle persone nella vita di ogni giorno. Troppo a lungo la si è percepita come l’enunciatrice di comandamenti divini da cui scaturivano obblighi, e soprattutto divieti, limitanti e difficili da rispettare. Non a caso alla lontananza delle dottrine di fede (“teoremi celesti”, li ha chiamati qualcuno) faceva riscontro, sul piano pratico, una morale, privata e pubblica, sganciata da quella fede e sentita da molti, perciò,   come soffocante.

Se la verità è triste, se il bene è opprimente, non è meglio lasciarseli alle spalle e vivere in pienezza? Questo molti hanno pensato e ancora pensano davanti agli insegnamenti della Chiesa. E’ ad essi che papa Francesco si rivolge, fin dalle prime parole che danno il titolo al suo messaggio: «La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento. Con Gesù Cristo sempre nasce e rinasce la gioia» (n.1).

Questa, non l’elenco dei precetti, è la novità cristiana, questo è il contributo rivoluzionario della Chiesa  a società  – quelle occidentali – che tendono ad emarginarla, nella pretesa di poter vivere, così, più felici. Il pontefice ha buon gioco nel far notare che questa pretesa è smentita dai fatti: «Il grande rischio del mondo attuale, con la sua molteplice ed opprimente offerta di consumo, è una tristezza individualista che scaturisce dal cuore comodo e avaro, dalla ricerca malata di piaceri superficiali, dalla coscienza isolata» (n.2). 

No, la sovrabbondanza delle cose che è possibile comprare e consumare, l’affermazione sfrenata delle proprie esigenze e dei propri interessi, a costo di calpestare gli altri, le mille comodità e i mille piaceri che sono ormai alla portata di chi ha i soldi per permetterseli, non riempiono il cuore umano di gioia. Forse per questo i volti dei passanti, per strada, sono chiusi, talora cupi.

Attenzione: ciò non riguarda solo gli atei o i “lontani”! «Anche i credenti» – sottolinea il papa –  «corrono questo rischio, certo e permanente. Molti vi cadono e si trasformano in persone risentite, scontente, senza vita. Questa non è la scelta di una vita degna e piena» (n.2). «Ci sono cristiani che sembrano avere uno stile di Quaresima senza Pasqua» (n.6).

Eppure è la gioia che Dio ci ha promesso! Tutta la Bibbia è piena di questa esultanza, che non viene da doti eccezionali o da particolari successi ottenuti (nessuna “ansia da prestazione”!), ma si può trovare nella semplice esistenza che ognuno conduce, se lo fa accettando umilmente e serenamente se stesso e gli altri. «È la gioia che si vive tra le piccole cose della vita quotidiana, come risposta all’invito affettuoso di Dio nostro Padre: “Figlio, per quanto ti è possibile, tràttati bene… Non privarti di un giorno felice” (Sir 14,11.14). Quanta tenerezza paterna si intuisce dietro queste parole!» (n.4).

 Noi, infatti, non dobbiamo conquistare la salvezza: siamo stati già salvati (è questo l’annuncio del Natale!). Si tratta solo di prenderne coscienza e di mettersi in sintonia con essa, che già opera nelle nostre giornate. «Nessuno potrà togliervi la vostra gioia» (Gv 16,22), dice Gesù ai suoi, che pure erano esempi di fragilità e di incoerenza.

Ciò non significa, certo, che dobbiamo rassegnarci alla mediocrità. Ma bisogna solo lasciarsi aiutare da Dio a diventare quello che fin dall’inizio portiamo in noi come un germe: «Giungiamo ad essere pienamente umani quando siamo più che umani, quando permettiamo a Dio di condurci al di là di noi stessi perché raggiungiamo il nostro essere più vero» (n.8).

I comandamenti non vengono cancellati, ma sono come le regole da rispettare nel rapporto con una persona che si ama. Non sono le regole l’importante, esse costituiscono solo la condizione, ovvia, di una vita che si svolge nell’amore.

 

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