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La Quaresima di Benedetto e del Conclave

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13 febbraio 2013

 

Un tempo straordinario da guardare con gli occhi della fede. Per ripensare davvero (e con sobrietà) che cos’è la Chiesa

Andiamo avanti a parlarne. Sì, abbiamo assolutamente bisogno di continuare a parlare delle dimissioni di Benedetto XVI. Però – vi prego – almeno stavolta non buttiamola (come invece stiamo già facendo) sulle solite domande: ha fatto bene o ha fatto male? O addirittura: di chi è la colpa? Chi lo ha lasciato solo? E non fermiamoci neppure ai sentimentalismi: tu sei più o meno dispiaciuto di me?

Se abbiamo capito qualcosa di questi quasi otto anni in cui Benedetto XVI ha servito la Chiesa come successore di Pietro, dovremmo almeno coltivare il desiderio di guardare come lui la storia con gli occhi della fede. Cioè con quello stesso sguardo che – come ci ricorda bene padre Lombardi – Joseph Ratzinger da Papa continuerà ad additarci fino al 28 febbraio. E allora la domanda per il cristiano oggi può essere una sola: in che modo il Signore ci parla attraverso questo gesto?

La domanda è evidentemente molto grande e credo che la prima cosa sia custodirla nel cuore: questo è un passaggio che non possiamo avere la pretesa di incasellare subito con i nostri ragionamenti. Anche la vita della Chiesa ci parla di Dio e allora questo deve essere prima di tutto un tempo in cui porsi in ascolto. Ad esempio credo che potrebbe essere molto utile riprendere in mano in questi giorni quei brani del Vangelo che ci raccontano di come i discepoli molto spesso non capivano quanto stava facendo il Maestro. Questa è la situazione normale del cristiano; mi fanno sempre molta paura quanti anche di fronte ai gesti più grandi e più densi di novità non si sentono almeno un po’ tremare le gambe.

Fatta questa premessa – ma cercando di rimanere su questa stessa lunghezza d’onda – provo a balbettare un paio di idee. E la prima è legata alla giornata di oggi, il mercoledì delle Ceneri. Lo sottolineava bene già ieri Luca Bortoli, ma voglio esplicitarlo ancora di più: se provo a guardare con gli occhi della fede l’annuncio del Papa il primo aspetto che mi colpisce è il fatto che questo tempo di passaggio per la Chiesa avverrà tutto dentro il tempo forte della Quaresima. Credo che questo sia già di per sé un segno importante (e oso credere che Benedetto XVI ci abbia pensato). Un successore di Pietro si ritira per dedicare l’ultimo tratto della sua vita alla riflessione e alla preghiera proprio nel tempo durante il quale queste due dimensioni della vita cristiana ci vengono poste davanti come la strada maestra per l’incontro con il Signore Risorto. È come se oggi stessimo cominciando una Quaresima speciale. Perché stavolta – anche quando sarà finita – nel silenzio di un monastero in Vaticano sarà rimasto qualcuno ad accompagnarci e a ricordarci che quel passo in avanti, quel cambiamento che è chiesto alla nostra vita, non può subito spegnersi aspettando comodamente i buoni propositi della Pasqua successiva.

È la Quaresima del primato della vita spirituale rispetto a tutto il resto, di Maria che rispetto a Marta sceglie la parte migliore che non le sarà tolta. Tra i miei ricordi professionali più belli c’è la sera dell’elezione di papa Ratzinger: la chiave di lettura che personalmente scelsi fu partire non dal Ratzinger teologo o dai suoi vent’anni in Vaticano, ma dal nome di Benedetto. Nome sorprendente – scrissi allora – ma soprattutto programmatico su quale fosse il tipo di risposta alla crisi della fede che il nuovo Papa aveva in mente. Ecco: credo che a quel nome dobbiamo tornare anche oggi. È un successore di Pietro che ha scelto di chiamarsi Benedetto quello che – non sentendosi più nelle condizioni per dare il massimo nel labora – sceglie di concentrarsi sull’ora. Nessuna fuga, nessun abbandono.

Questo riguardo a Joseph Ratzinger. Ma permettetemi di aggiungere un’ultima idea: anche il Conclave nel cuore della Quaresima a me pare un segno grande. Dopo la stagione ecclesiale che abbiamo vissuto, dopo gli scandali, i dossier sulla Curia e Vatileaks, che cosa meglio del cammino verso la Pasqua può aiutare i cardinali a ritrovare l’unico centro che può permettere di vivere in profondità questo momento? Perché – al di là dei racconti giornalistici – un conclave non è solo la scelta di un nome; è un momento in cui la Chiesa si guarda allo specchio, verifica il suo cammino. Ed è necessariamente anche un tempo di conversione, dal momento che da duemila anni sappiamo quanto grande sia – sempre – la distanza tra ciò che siamo e la fedeltà al Vangelo di Gesù. Certo, oggi non c’è più l’austerità delle cellette di appena qualche decennio fa, ma il Conclave resta comunque un tempo di grande sobrietà per chi vi partecipa. Non è che forse è proprio questo ciò di cui la Chiesa oggi aveva più bisogno?

 

Giorgio Bernardelli

 

da http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=1157

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