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La fede non è un bancomat

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di Dario Cataldo

 

   Il teatrino offerto negli ultimi giorni dai parlamentari è lo specchio di una società che ha voltato le spalle alla coerenza e al rispetto delle proprie convinzioni. Tra i rappresentanti del “popolo sovrano”, tanti sono quelli che non fanno mistero di essere cristiani. Proprio da loro ci si aspetterebbe una rettitudine di pensiero tradotta in proposte legislative in linea con la tradizione evangelica. La cronaca invece racconta un’altra storia, fatta di giochi di potere, ricatti e attaccamento all’agognato scranno.  Alla fiera delle vanità politiche, il contrasto alla deriva culturale arriva da inaspettati soggetti, i quali, nonostante una dichiarata lontananza dalla visione clericale, hanno avuto il coraggio di opporsi a squallide dinamiche della compravendita delle idee.

 

   Ai benpensanti Deputati che si riempiono la bocca di spirito cattolico, si vuole ricordare che la fede non è un interruttore da premere per accendere e spegnere la luce delle virtù. Non è uno sportello bancomat in cui prelevare il buon senso o l’etica comportamentale. Definirsi cristiani prevede il testimoniare con le azioni un proprio vissuto che non è circoscritto alla mera partecipazione al Sacramento eucaristico domenicale o nei tempi forti del calendario liturgico. La propria fede non è un cimelio da riporre in soffitta, per spolverarlo di tanto in tanto, bensì è un segno tangibile che si manifesta nella collettività, nel rapporto con gli altri. Attraverso l’esempio di integrità è possibile essere “il sale della terra”, alla sequela di colui che ha testimoniato con la propria vita l’amore per gli altri. Non un amore di convenienza, in nome del dare per ricevere, non è un sinonimo di egoismo o un “surrogato” in favore di mode passeggere.

 

   Il deterioramento degli schemi sociali è cominciato quando, a partire da chi professa a parole la propria fede, eclissa la sfera del sacro, considerandola marginale e privata. I cattolici della politica hanno perso di credibilità nei confronti dell’elettorato. Appoggiando scelte strategiche buone a saziare la sete di potere, si consolidano cliché dilaganti, in nome del materialismo sfrenato. La distruzione dei tabù per conto di uno Stato laico, non è garanzia di libertà. Si corre solo il rischio di modificare fondamenti antropologici che hanno accompagnato il cammino storico dell’uomo.

 

   Un intellettuale caro alla “sinistra italiana”, Pier Paolo Pasolini, di cui si celebra il quarantennale dalla morte, precorrendo i tempi disse: “E’ finita. Ha vinto il nuovo potere! Lo spirito della classe dominante ha dilagato. Il nuovo potere è completamente irreligioso; totalitario; violento; falsamente tollerante, anzi più repressivo che mai; corruttore; degradante (…). La tolleranza in campo sessuale ha allargato enormemente i mercati; perché essa è una componente essenziale della mentalità del consumo, in cui il soggetto deve essere moderno, laico, quindi anche sessualmente libero”. La lungimiranza di un Artista non etichettabile in cornici predefinite, è uno schiaffo morale che a distanza di anni continua a porre interrogativi (su chi è realmente immune dalla voluttà e dal piacere effimero) a tutti noi.

                

 

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