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La crisi ucraina: l’Europa senz’anima?

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Photo by Max Kukurudziak on Unsplash

Al lupo al lupo…

A più di vent’anni dai conflitti che avevano lacerato il territorio della ex Jugoslavia, la guerra è tornata a divampare sul continente europeo. È difficile in questo momento fare previsioni, ma, quali che siano gli sviluppi dei prossimi giorni, è ormai chiaro che l’azione della Russia nei confronti dell’Ucraina si configura come un’invasione militare di ampia portata. 

Da settimane il presidente americano Biden l’aveva preannunciata, insistendo sulla sua imminenza, malgrado le solenni smentite e i sarcasmi con cui da parte russa le sue previsioni venivano accolte sistematicamente. Anche molti osservatori occidentali pensavano che l’imponente assembramento di truppe e di mezzi alle frontiere dell’Ucraina, pur non potendosi certamente catalogare nei termini di una semplice esercitazione, avesse soprattutto la funzione di esercitare una pressione psicologica per ottenere garanzie che l’ex repubblica sovietica rimanesse fuori dalla NATO.

Perfino il presidente ucraino Zelens’kyj aveva mostrato un certo disagio per il clima di allarme che i reiterati avvertimenti dell’amministrazione statunitense stavano creando nel suo Paese, lasciando intendere che li riteneva esagerati. Anche le ultime notizie di un ripiegamento dei militari russi sembravano confermare che i segnali provenienti da Washington altro non fossero che un isterico “al lupo al lupo” privo di consistenza.

Inquietanti analogie

E, invece, i fatti hanno dimostrato che Biden aveva ragione. Ed ora ci troviamo qui a parlare di una situazione di emergenza che ricorda tristemente un passato che ci sembrava di esserci lasciati per sempre alle spalle. La politica di Putin nei confronti della repubblica ucraina assomiglia in modo impressionante a quella di Hitler quando, nel 1938, dopo aver annesso l’Austria alla Germania, pretese di fare la stessa operazione con una vasta regione della Cecoslovacchia, i Sudeti, facendo leva sul fatto che in essi viveva una forte percentuale di tedeschi. 

Già nel 2014 la Russia aveva annesso la Crimea. Anche in questo caso la giustificazione era la presenza in questa regione dello Stato ucraino di una forte percentuale di filo-russi. Ora lo stesso copione è stato riprodotto nei confronti della regione del Donbass, che presenta caratteristiche simili, ma questa volta estendendo l’offensiva all’intera Ucraina. 

Ad allarmare, però, non sono solo le scelte militari: forse ancora più inquietanti sono le motivazioni, deliranti, avanzate da Putin per giustificarle. A cominciare da quella, iniziale, secondo cui ad attaccare era stata la Repubblica ucraina. Un’argomentazione che fa venire in mente quella del lupo della favola di Fedro che, trovandosi a bere dal ruscello a monte dello sfortunato agnello, lo accusò di intorbidargli l’acqua…

Sulla stessa linea le altre accuse, rivolte dal Cremlino al governo ucraino, di essere nazista e di aver praticato nei confronti dell’etnia russa del Donbass un vero e proprio genocidio. Quando tutti sanno che il vero problema della Russia è la svolta che ha portato ultimamente l’Ucraina – a lungo rimasta nell’orbita russa anche dopo la proclamazione della sua autonomia – su posizioni vicine al mondo occidentale, lasciano intravedere addirittura un possibile ingresso nella NATO. 

Insomma, siamo davanti a una politica che, come al tempo di Hitler, non teme di invocare argomenti palesemente irrazionali per compiere gli atti più estremi. Questo rende impossibile il dialogo, che infatti è stato a più riprese iniziato – prima con il premier francese Macron, poi con il cancelliere tedesco Scholz, poi con lo stesso Biden – e poi sempre si è interrotto.

La logica del machiavellismo

Qualcuno legge in questi estremi il segno di una disperazione di Putin, destinata a sfociare nella crisi finale del suo regime. Francamente, sono più propenso a vedervi una lucida applicazione dei dettami del machiavellismo. Non è una novità. Mentre nel mondo greco la politica veniva pensata in continuità con la morale – per Aristotele ne è il culmine – , nell’età moderna, da Machiavelli in poi, la politica è stata considerata come qualcosa di estraneo alla coscienza e alla morale.

Reciprocamente, queste ultime sono state sempre più interpretate da tutto il pensiero moderno in termini esclusivamente intimistici e soggettivistici, che ne rendevano impossibile la trasposizione sul piano della vita pubblica. Da qui una concezione della politica come insieme dei mezzi idonei a raggiungere un qualsiasi fine e quindi come arte puramente strumentale, mero esercizio del potere, sganciato dal problema del valore dei fini in se stessi. Da qui, simmetricamente, una concezione della coscienza che stabilisce i suoi fini – si tratti della felicità che caratterizza una vita buona, o della virtù che accompagna quella giusta – in chiave rigorosamente privatistica.

Per Machiavelli i principi etici sono importanti, ma non valgono per la sfera pubblica. La famosa espressione secondo cui «il fine giustifica i mezzi» non è un principio della morale privata – sarebbe la sua distruzione – , ma vale là dove la morale non ha più giurisdizione, vale a dire in politica, dove sia fine che mezzi sono destituiti di ogni significato valoriale. E’ quanto si pensa anche nelle nostre democrazie liberali. L’incubo dello Stato etico hegeliano, con le sue ricadute totalitarie, ha fatto guardare con sospetto ogni richiamo al bene e al male nella vita politico-istituzionale, rendendo improbabile un ritorno all’idea di “bene comune”.

Si preferisce usare la formula molto più asettica di “interesse generale”, che non riguarda la sfera etica, ma quella utilitaristica, sia pure concepita come equilibrio e bilanciamento dei diversi interessi particolari. L’equivoco è estremamente diffuso. «Oggi, sembra che solo una democrazia formale sia “funzionalmente” possibile, mentre ogni via o soluzione “sostantiva” sarebbe da collocare tra le forme arcaiche e dogmatiche della organizzazione politica della società. Parimenti, la cittadinanza non consisterebbe più in fini comuni (in un comune “destino”), ma solo in regole (strumenti, procedimenti) concordate insieme» (Donati).

Ma «le regole, pur necessarie, non possono rappresentare da sole (…) quel punto di unificazione, di cui ogni società (anche, e per certi aspetti a maggior ragione, la “società complessa” della post-modernità) ha bisogno per dare un senso alla convivenza fra gli uomini. Si impone pertanto, necessariamente, una rinnovata ricerca di valori comuni e condivisi, grazie ai quali possa essere raccolta e superata la sfida della complessità» (Campanini).

L’Europa alla ricerca di un’anima

Si capisce così perché l’Occidente si trovi in difficoltà a resistere all’offensiva di Putin. In particolare l’Europa, che la mancanza di un vero orizzonte di fini comuni valoriali rende incapace di passare dal mero coordinamento funzionale a una effettiva unità politica, condizione indispensabile per quella militare. Mancando i fini, rimangono le regole procedurali. E gli interessi economici, che però, come tutti gli interessi, sono particolari e, piuttosto che unire, dividono.

Non sono in grado di fornire un’anima che unifichi le varie membra e ne faccia un unico corpo. Non c’è perciò da stupirsi se l’Europa, al di là dei proclami, si trova spiazzata davanti alla minaccia del colosso ed è costretta a puntare su sanzioni economiche tanto problematiche quanto più dannose anche per l’economia di chi le adotta… Basti pensare che la sua dipendenza dal gas russo rende in parte velleitarie le sue bellicose dichiarazioni di embargo commerciale e bancario.

Così, gli europei sono costretti ad affidarsi agli americani per essere tutelati dall’espansionismo russo e a cercare, con sortite diplomatiche estemporanee di questo o quel leader, di avere un peso politico che di fatto viene loro negato. Se l’Europa non troverà un’anima è molto difficile che il futuro dei suoi rapporti con la Russia possa essere quello di un dialogo da pari a pari. La politica non è solo tecnica e un’unità su questo terreno sarà possibile solo quando, al di là dei divergenti interessi, i Paesi del continente saranno capaci di incontrarsi in una unica prospettiva valoriale.

 

 

 

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