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La Consacrazione nella Comunità dei figli di Dio.

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“Consacrazione” è un termine che nella storia della Chiesa ha indicato in genere lo stato religioso, identificandosi quasi sempre con l’emissione dei tre voti di povertà, castità e obbedienza. In termini più generali ci si consacra per devozione alla Madonna, al Sacro Cuore ecc. Non è facile dunque, a prima vista, dire come si intenda nella Comunità dei figli di Dio la Consacrazione che, segnando l’ingresso in un’unica famiglia religiosa, unisce i membri che appartengono a diversi stati di vita.

Invitandoci a consacrarci al Signore, don Divo, risalendo alla radice biblica e teologica del termine, ci ha spiegato che con la consacrazione offriamo consapevolmente a Dio quello che Egli ci ha dato e Lui lo rende sacro, lo fa ritornare in suo possesso. Ricevendo l’essere, l’uomo si è chiuso in una sua autosufficienza, ha preteso di vivere per se stesso, di possedere se stesso e si è sottratto a Dio. Il volere sottrarci a Dio, il volere vivere unicamente per noi stessi: ecco il peccato ed ecco quindi la necessità di un ritorno a Dio, che ha il suo compimento nell’Incarnazione del Verbo. Nel Verbo la nuova Umanità del Cristo in Sé assume tutti gli uomini, ridando loro accesso al Paradiso di Dio come figli adottivi. “Consacrato” vuol dire “riservato a Dio”, “possesso di Dio”… e questo avviene nel Battesimo che è come un trasferimento di proprietà. È nel Battesimo che si realizza per l’uomo l’incorporazione al Cristo ed egli diviene una cosa sola con Lui, partecipando alla vita divina per opera dello Spirito Santo.

Nessuna consacrazione può farsi che non abbia come sua prima radice il Battesimo. Venendo dunque consacrati a Dio con il Battesimo che ci inserisce nel mondo divino, ci viene aperta, per grazia, per amore gratuito, la via del ritorno alla proprietà del Signore. D’altra parte questa è una via da percorrere ogni giorno per una libera scelta continuamente rinnovata. C’è il rischio infatti che la vita cristiana rimanga, se non coltivata, ad uno stato embrionale, infantile.

Don Divo ci ha anche parlato di “consacrazione” non come di un atto meritorio dell’uomo, ma come di un atto divino che accetta il dono dell’uomo e lo trasforma. Come Elia aveva presentato le offerte al Signore, ma solo la discesa del fuoco del cielo consumò il sacrificio, così tutta la vita dell’uomo, anzi tutto il creato, deve tornare Lui ed essere da Lui assunto e trasformato per trovare il suo significato pieno. La consacrazione dunque è possibile solo se l’uomo si dona perché Dio operi in lui e attraverso di lui. Nella nostra preghiera di consacrazione don Divo ci fa dire: «…poiché l’oblazione non compie il sacrificio, distruggi Tu medesimo questa vittima, consumandola nel fuoco del tuo santo amore»

Certo è lo Spirito Santo che opera, però noi cristiani dimentichiamo spesso che, strappati al dominio del peccato in forza del Battesimo, non perdiamo l’inclinazione al male, ma rimaniamo creature che quotidianamente devono fare la scelta di separazione dal peccato e di appartenenza a Dio.

La nostra consacrazione religiosa nella Comunità dei figli di Dio è dunque la conferma piena della consacrazione battesimale, conferma volontaria, libera e cosciente da parte di chi voglia progredire nella vita cristiana e far posto all’azione dello Spirito.

 

Don Divo ci parla senza reticenze delle esigenze di Dio: «Una volta che tu sei divenuto veramente un uomo e che tu hai coscienza di quello che implica essere uomo, una volta che tu sei uomo e hai acquistato una perfetta libertà interiore e perciò una capacità di deliberazione riguardo alla tua vita, certo tu ora sei posto di fronte a una scelta, vuoi veramente confermare, ratificare quello che è stato il tuo Battesimo, e se vuoi ratificare, ecco, rinnova la tua consacrazione battesimale: assumi un impegno per la vita» (…) «Infatti, se noi dobbiamo essere una sola cosa col Cristo, noi vogliamo anche raggiungere questa nostra unione col Cristo attraverso un impegno preciso, chiaro, libero, di tendere alla perfezione dell’amore, tendere immediatamente, non di rimandare».

«Dio ci possiede nella misura che noi rinunciamo a vivere una nostra vita e ci lasciamo possedere da Lui (…).»

«Se noi vogliamo essere veramente coerenti, leali con noi stessi, è per noi impossibile, una volta fatta la consacrazione religiosa, una volta entrati nella Comunità, vivere una vita borghese. È sempre un impegno, per noi, di un trascendimento da una vita di puro benessere umano, ma non è questo soltanto che può voler dire per noi aver fatto una consacrazione religiosa. (…).»

Ogni consacrazione, si diceva, è in qualche modo partecipazione al mistero dell’Incarnazione divina per l’azione dello Spirito Santo che continua in noi questo mistero e ci inserisce in una dimensione soprannaturale. Anzi questo trasferimento è già avvenuto come dice l’inno dei Colossesi (Col 1, 13) e noi viviamo in due dimensioni, quella della realtà creata e quella divina.

Di fatto, come dice la Lettera a Diogneto, i cristiani vivono nel mondo, eppure sono stranieri, separati: lo Spirito Santo, se lo lasciamo operare, ci sottrae a noi stessi e ci fa appartenere a Lui. Non si sprofonda nel nulla. Per opera dello Spirito Santo viviamo la vita stessa di Dio… Dio vive in noi ed è la ricchezza della sua vita, non più soltanto la nostra, che noi siamo chiamati a vivere.

«In tal modo Egli ci possiede, da essere noi tutti una umanità aggiunta all’umanità del Cristo».

Per tendere alla perfezione dell’amore, i mezzi sono quelli di tutti i cristiani: innanzitutto la fedeltà ai doveri del proprio stato, che diviene il luogo della presenza di Dio che tutto assume e riconsacra, e poi più specificamente la lectio divina, la vita liturgica e sacramentale che si esprime soprattutto nella preghiera liturgica e nella partecipazione all’Eucarestia, e inoltre, nella famiglia religiosa che è nata dalla comune risposta alla chiamata, la vita comunitaria che ci aiuta nella carità e nella crescita spirituale; per alcune anime ci saranno anche i voti religiosi che le aiuteranno nel cammino, ma anche chi non ha i voti religiosi è sollecitato allo stesso modo a vivere lo spirito di povertà, castità ed obbedienza.

Don Divo nella sua predicazione sul tema della consacrazione ha insistito soprattutto sulla funzione della preghiera, in particolare della preghiera liturgica che ci permette di vivere il “rapporto” con Dio in Cristo in quello che lui chiama “l’esercizio della presenza”(Esercizi spirituali a Baida nel 1972): «Senza una vita di preghiera non esiste la vita di consacrazione, perché la vita di consacrazione non implica per te soltanto un rapporto con gli uomini, implica un rapporto, mediante l’Incarnazione del Verbo, col Padre, col Figlio e con lo Spirito Santo».

«Senza la preghiera il cristiano non esiste, senza la preghiera non esiste nemmeno il Cristianesimo, senza la preghiera si vive una pura vita umana. Il primo rapporto che il Cristo vive, e tu sei nel Cristo, è il rapporto col Padre celeste. Egli è essenzialmente questo rapporto: il Verbo divino è rapporto eterno di amore col Padre; perciò, se tu sei il Cristo in forza della consacrazione, sei assunto e strappato a te stesso per vivere la vita divina, e la tua vita si esprime con la preghiera». «Se non vi siete incontrati con Lui, se non avete battuto la testa nella testa di Nostro Signore, non ci siamo; avete voglia di moltiplicare i vostri esercizi di pietà! Gli esercizi di pietà di per sé sono esercizi della virtù di religione, non sono fede; e la vita cristiana è essenzialmente vita teologale».

«Se Dio è con noi, Dio è tutto per noi; dobbiamo vivere questo, questa è la preghiera vera, questo sentimento di una presenza di Dio che ci investe, che ci riempie, che ci colma di Sé; dobbiamo vivere questa continua preghiera, dobbiamo vivere questo rapporto con Lui. Questa è la vita, miei cari fratelli».

«La vita teologale implica un rapporto personale, concreto, vivo con la Persona di Dio, che è Cristo, che è il Figlio, che è il Verbo, che è il Padre, che è pure lo Spirito Santo (…) Noi dobbiamo vivere [oltre ai rapporti umani] un altro rapporto, che è rapporto con Colui che è l’Eterno, noi dobbiamo vivere un altro amore, che è amore che non termina quaggiù, ed è in questo amore che tutti gli altri amori saranno sublimati e trasfigurati, acquisteranno una dimensione, saranno l’espressione stessa della nostra vita divina». È «il rapporto con Dio che solo può fare eterno anche il nostro amore: l’amore per i figli, l’amore per la moglie, l’amore della moglie per il marito, l’amore che io ho per voi, l’amore vostro per me; solo Dio lo può rendere eterno». Questo è l’effetto della consacrazione che si estende a tutti quelli con cui il Signore ci pone a vivere.

Don Divo insegna infatti che lo “spossessamento” da noi stessi al fine di una “appartenenza”, deve sfociare in una “comunione” col mondo: «se tu sei veramente del Cristo, tu vivi una separazione dal mondo del peccato; sei però in ordine al mondo per salvarlo. È paradossale questo, ma dobbiamo tenere presenti tutte e due le cose, perché la separazione non ci isola, la separazione ci rende capaci di una missione di salvezza… possiamo vivere poi le nostre professioni nel mondo come una missione salvifica, come un proseguimento della missione stessa del Cristo per la salvezza delle anime e dei corpi. Ecco quello che ci dice la nostra consacrazione… È importante… tutto il resto è formale; la consacrazione vuol dire prima di tutto essere Cristo, vuol dire prima di tutto essere nel seno della Trinità, trascendendo infinitamente questo mondo, vivere una missione nei confronti del mondo, che ci impegna ad assumere tutti i pesi e a vivere unicamente per gli altri e per la loro salvezza».

Da questa concezione della missione deriva un altro importante insegnamento: «Io non posso separare nessun uomo nel mio amore, nel mio rapporto col Cristo, perché il Cristo è l’umanità fatta una, e se io vivo la mia consacrazione, io realizzo non solo il mio rapporto con Dio, ma debbo vivere anche il mio rapporto con gli uomini, in una comunione di amore che ha come sua radice l’unità di tutta l’umanità, divenuta, o per divenire, o chiamata a divenire un solo corpo. Molto spesso noi pensiamo che è il nostro amore che crea l’unità; è il contrario che è vero, è la nostra unità ontologica, il fatto che siamo già uno che può rendere possibile l’amore; è proprio questo il segno del Cristianesimo, il segno della redenzione avvenuta».

«Quello che compie infatti il Cristo incarnandosi è precisamente quella unità che rende poi possibile l’amore. L’amore del prossimo è legge cristiana, è il comandamento nuovo, dice Gesù [cfr. Gv 13, 34]. È comandamento nuovo perché è Lui che lo dà e che lo rende possibile. Non è soltanto perché è Lui che lo dà e perché Lui dice che dobbiamo amarci, ma perché Lui lo ha reso possibile questo amore; senza il Cristo, senza l’unità che in Cristo si è compiuta, questo amore è impossibile.

Si dice di amarci però nella vita di tutti i giorni non si vive facendo davvero esperienza di unità, viviamo un amore che invece ci rende sempre più inconsapevoli, e viviamo di fatto una separazione umana».

E allora la Comunità stessa, insegnando ad apprezzare la dimensione ontologica della Chiesa mistero, diviene palestra di unità: «Nella misura però che viviamo la nostra consacrazione a Dio, noi siamo chiamati a vivere un rapporto particolarissimo, nuovo, personale, con Dio stesso e un rapporto nuovo fra di noi. Siamo uno e nella comunità noi ci sforziamo di vivere l’amore, una medesima vita che si alimenta con l’ascolto della Parola di Dio, con la liturgia, con i Sacramenti, con l’incontro settimanale nel gruppo, con l’incontro mensile di tutta la famiglia locale, con gli esercizi spirituali: questa unità la stabilisce, precisamente, la nostra consacrazione a Dio.

Di fatto è impossibile per ogni cristiano vivere questa comunione di amore con tutti i cristiani; non si possono amare singolarmente, conoscere fino in fondo i loro problemi, servirli veramente fino in fondo, è necessario che questa comunione si viva, concretamente, in una comunità che è proporzionata alle nostre capacità presenti, dove però tutta la Chiesa è presente nell’atto liturgico. Ecco perché nascono le comunità nella Chiesa, non altre chiese nella Chiesa, come la parrocchia non è altra Chiesa nella Chiesa, come la diocesi non è una Chiesa opposta alla Chiesa universale, ma laddove vi è un vescovo là vi è tutta la Chiesa. Per noi si impone di vivere in perfetta unione in quella comunità che, per noi, a motivo della consacrazione, è sacramento di tutta la Chiesa…»

La vita consacrata dunque è un cammino che ci impegna all’amore, per realizzare sempre meglio sul piano anche visibile quell’unità di tutti i battezzati che il Cristo ontologicamente ha compiuto in Sé, e per essere segno, sacramento vivente della presenza di Lui nel mondo.

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